24 dicembre 2017

Parole di connessione

Quest'anno le lucine le ho messe su all'ultimo momento, ma la parola "lucine" mi ha fatto tornare in mente che anni fa avevo scritto in 20 minuti un pezzo per Gallizio perdendone poi le tracce. Ora, grazie alla Wayback Machine, l'ho recuperato e lo ricopio qui:
Ho riacceso le lucine.

Il periodo è di nuovo quello, l’eterna vigilia, ma le parole avevano iniziato il loro andirivieni un po’ prima, scivolando sul ghiaccio dei polder e dei canali di campagna, prendendo la rincorsa dalle terre basse per giungere fino a qui. Un “qui” doppio, visto che stavo con un piede in ciascuna staffa: di giorno in una casa, di notte in un’altra, da solo solissimo, ma per scelta.

Un commento inatteso, una risposta, altri commenti, e poi g-talk. Una membrana che si apre e inonda i pixel di caratteri che già sorridono, perché niente si cerca. Poi, se una svolta dev’essere individuata, ci fu un tragitto in cui le parole restarono sospese per i venti minuti necessari a raggiungere l’altro computer. In attesa della nuova connessione, però, la connessione si rafforzò in modo decisivo. Ti aspetto. Ti porto con me. Rieccomi. Rieccoci.

Senza ancora saperlo, di persona ci si era già avvinghiati quella sera. In carne e ossa fu questione di qualche settimana più in là, quando le lucine si riaccesero ovunque e senza bisogno di elettricità. Je maakt me blij, vlinderfee.

18 dicembre 2017

Libri, che vizio

Hanno chiesto qual è stato il libro dell'anno:
Chiara Balzani a Il libro sul comodino
Forse è il momento di fare il thread: "libro dell'anno 2017". Potete sceglierne uno, letto quest'anno ma non per forza uscito quest'anno. Via.
Ho risposto:
Se valgono anche i saggi: Kate Fox, Watching the English (spassoso e illuminante)
Per la narrativa, quello che sto rileggendo: Sara Gruen, Water for Elephants
Riguardo a quest'ultimo, riporto qui le brevissime recensioni che scrissi dopo averlo letto nel 2008:

- questa è su anobii:
Dennis was right to say that it is a great story. Strong, moving, true, it goes back and forth in time, between an elderly house and a train circus. Two distinct time sets, two different narrative lines, but one voice, able to speak of life and death, hard times and real friendship, hate and wrath, love and passion, in a way that does not fail in capturing the reader till the very last line. At least.
- questa è su Letture e riletture:
Forte, commovente, autentico. La narrazione si alterna tra due diversi scenari cronologici e ambientali: il circo degli anni '30, una casa di riposo dei nostri giorni. La voce però è unica e sa parlare di vita e di morte, tempi duri e amicizia vera, odio e ira, amore e passione, in un modo che non manca di catturare il lettore fino all'ultimissima riga, come minimo.

17 dicembre 2017

Il gelo e il palo

Ho dovuto sghiacciare il parabrezza per la prima volta l'altro ieri sera. Sono grato di potermene stare al calduccio. Sembra scontato, ma ogni volta mi vengono in mente i senzatetto e il freddo che si trovano costretti a patire.

Il freddo mi ha un po' bloccato con la bici, nel senso che siccome mi sentivo un po' così così e temevo addirittura l'influenza, per un paio di mattine ho rinunciato a pedalare verso il lavoro, rassegnandomi a usare l'auto. Poi ci ha pensato una gomma a terra, che ho fatto riparare solo ieri, a far rimanere la rossa al palo.

Al palo non sono rimasto a lungo con il tango: ho saltato una lezione con la Caju, ma abbiamo recuperato seguendo una pratica guidata la sera successiva; riguardo alle serate in milonga, se venerdì mi sono rintanato, sabato ho invece partecipato al "Night&Day Solidale" organizzato da Oltretango allo Spazio A. Ci siamo divertiti e il ricavato questa volta è stato devoluto all'associazione Wondy sono io.

14 dicembre 2017

Reti di memoria

A proposito di memoria, mi piace poter contare su qualche ausilio per richiamarla, aiutare a evocarla, ravvivarla.
Per quel che concerne la rete, ogni scritto e ancor più ogni interscambio di cui vada persa traccia mi pare motivo di rammarico. Talvolta non c'è nulla da fare, ma per fortuna esiste l'archivio di internet, dotato di una "macchina per tornare indietro". Mi riferisco al sito archive.org e alla sua Wayback Machine.
L'organizzazione non governativa Internet Archive, che se ne occupa, non ha scopo di lucro e si basa sul contributo volontario di chi voglia donare anche pochi spiccioli, come ho fatto io oggi. Mi hanno mandato la ricevuta, eccola:
Your Internet Archive receipt [#1318-9155]
Thanks for your $10 payment to Internet Archive.
$10 at Internet Archive
Giulio Pianese —
December 14, 2017 #1318-9155

13 dicembre 2017

Fermo mezzo giro

La notte più lunga, l'inverno, le lucine per esorcizzare il buio sempre più incombente, tutte quelle cose lì, e santalucia, quest'anno sono giunte per dirmi di rallentare, anzi di fermarmi un momento, di prendermi il tempo per recuperare. Con una sorta di minaccia d'influenza, oggi il mio organismo mi ha suggerito e poi imposto di mettermi un po' giù, di riposare e rimandare tutto quanto.
Ho ubbidito, confidando che poi piano piano si possa di nuovo procedere spediti, pronti a soddisfare la sete di luce, che sappiamo tornerà, tra pochi giorni, a essere sempre più abbondante, rosicchiando minuti di giorno in giorno all'alba e al tramonto.

12 dicembre 2017

Attualizzare la memoria

Se ci sono cose, intendo cose accadute anche al di fuori della nostra cerchia ristretta, da non dimenticare, una di queste è sicuramente la strage di piazza Fontana.

Se posso permettermi un suggerimento, una maniera di attualizzare il ricordo è sostenere l'informazione indipendente.
Ne conosco un esempio valido e interessante: si chiama Radio Popolare e proprio in questi giorni è in campagna abbonamento (abbonato io lo sono da diversi lustri, e me ne vanto).

Certe cose, dicevo, vanno ricordate:
Milano, ore 16.37 di venerdì 12 dicembre 1969: un ordigno, composto da sette chili di tritolo, esplode nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana, a Milano. Il bilancio è atroce: 17 morti e 88 feriti.
Anche attraverso la musica.

11 dicembre 2017

Sopraffusi ma non sopraffatti

Anche se c'è sempre un'altra lavatrice da far andare, un nuovo mucchio di vestiti da riporre, un'altra catasta di piatti da lavare, quel tot di lavori da svolgere e le solite o insolite commissioni da espletare, ricordati di non arrenderti mai all'apparente impossibilità di poter soddisfare o almeno inseguire la sete di conoscenza, sia essa sotto forma di lunghe letture o di piccole curiosità: datti sempre la pena di voler imparare, datti sempre l'opportunità di ascoltare e cogliere, qua e là, nuovi fiorellini di bellezza e inutilità.
Oggi, grazie a giarina (alias Francesca Ferrari, pittrice e blogger) c'è stata occasione di venire a sapere che cos'è la calabrosa (galabrusa in vernacolo parmense). E se ti par poco, hai il cuore coperto di gelicidio.

10 dicembre 2017

La neve e le feste

Uno spruzzino di bianco, decorativo. Qualcuno magari tirerà fuori le ormai mitiche nevicate dell'ottantacinque, con Milano davvero ammantata sotto una coltre spessa. A me invece tornano in mente un paio di nevicate legate a feste che avevamo organizzato noi amici.

Una un po' tardiva, che verso la fine degli anni settanta ci spiazzò l'11 febbraio a Seregno, quando, adolescenti, nell'intento di dare vita a una "compagnia", avevamo allestito il seminterrato di un caro amico, con tanto di luci colorate, divani e stereo, acconsentendo a suonare l'odiata musica disco pur di accontentare le ragazze che avevamo invitato. Riuscimmo comunque a mandarla in porto, ma ho ancora presente la sensazione di restare intrappolato fino a metà polpaccio ad ogni passo, nel tragitto verso il "nostro locale".

L'altra, nella prima metà degli anni ottanta, fu invece in dicembre. La festa era la prima organizzata da me e dal Paio in una discoteca, ai tempi della scuola interpreti. Una nevicata imprevista decimò le presenze, ma non riuscì ad annullare la festa, né a rovinarcela, anche se poi alla fine rincasammo coi piedi bagnati dopo una lunga camminata notturna in una Milano semibloccata.

09 dicembre 2017

Desde hace muchos años

Lo spagnolo cominciai a masticarlo da giovinetto in Inghilterra, perché un gruppo di messicani e alcuni iberici mi rispondevano in castigliano sebbene fossimo tutti lì per imparare la lingua d'Albione.
L'anno successivo, quello del Mundial vinto dall'Italia, arrivai in autostop fino in Spagna insieme al mio amico Massimo, e i miei corrispondenti spagnoli erano stupiti dal fatto che mi ricordassi un sacco di espressioni dall'anno precedente. Vocabolario e modi di dire si ampliarono un pochino anche quando, qualche anno più tardi, tornai a Barcellona (per la finale di Coppa dei Campioni del Milan) e a Formentera (in vacanza con Licia). In seguito, continuai ad ascoltare quanto mi capitava e a leggere di tanto in tanto (un po' di tutto, dai fumetti ai porno, dalle poesie ai romanzi) e nel tempo me la sono sempre cavata, acquisendo anche qualche conoscenza grammaticale, seppure non in modo sistematico.

Negli anni '90, utilizzai la lingua anche per scrivere un paio di canzoni, quando cantavo nei Pontebragas. Oggi ho voglia di ricordarle qui, anche se non le canto da tantissimissimo tempo:
- una è Flor Andaluza (cliccaci su se vuoi leggere testo e traduzione)
- l'altra è Vida de alquiler (clicca qui per testo e traduzione, clicca invece qui per ascoltarla).

08 dicembre 2017

Da divano

Molto, nel godersi le cose, dipende dalle aspettative. Se inizi a vedere un film senza pretese (tu, non il film) in un orario inconsueto, perché tutta la giornata sta procedendo a orari inconsueti, e se poi risulta gradevole e di un certo qual spessore (il film, non tu dopo il pasto), la soddisfazione è maggiore del previsto e comunque sufficiente ad avvolgerti del piacevole tepore proprio della gratificazione.
Così è stato per The Majestic, con Jim Carrey e, tra gli altri, un grande Martin Landau. Il tema di fondo (ignobile maccartismo) è analogo a quello di Guilty by Suspicion (uscito dieci anni prima per la regia di Irvin Winkler e con Robert De Niro), del quale non raggiunge certo la portata, ma al quale, per oggi e dal divano, l'ho preferito perché volevo una cosa un po' tranquilla, con tanto di lieto fine. Inoltre, il motivo della perdita di memoria e d'identità (come ne L'uomo senza passato di Kaurismaki), non può non affascinare.

07 dicembre 2017

Desco e dischi

Un altro privilegio è quello di pranzare a metà settimana con entrambi i figli. Un po' fatto in casa (verze e broccoli stufati, straccetti di tacchino marinati in olio soia curry e cumino), un po' dalle magiche mani degli Antichi Sapori (arancini come Trinacria comanda e poi qualche dolcino siculo), il pasto è stato come dovrebbe sempre essere: un momento conviviale reso bello dalle reciproche presenze. Né più, né meno. Condimento aggiuntivo: musica varia. E stasera, la "prima" di Francesca alla milonga del Treno.

06 dicembre 2017

Kozmic Janis

Trovo sia un bel privilegio poter selezionare e ascoltare quasi qualsiasi pezzo ti venga in mente. Stasera, mentre salivo le scale, è stata una canzone di Janis Joplin a tornarmi intorno. L'avevo risentita oggi alla radio e con una breve googlata ne ho individuato il titolo, che al momento non ricordavo. Tratta dall'unico album solista pubblicato mentre era ancora viva, ecco Kozmic Blues. Di Janis che la canta, fa impressione pensare com'era giovane e come, da un certo punto di vista, non sembra lo fosse. L'energia, come il testo, è un misto di forza e disperazione, convogliate attraverso l'arte in un'espressività coinvolgente e travolgente, ancora e sempre.

05 dicembre 2017

Nomea culpa

Con il freddo e poche ore di sonno, ogni restrizione calorica diviene difficile da praticare volontariamente. Onomastico, mastico troppo, ma domani è un altro giorno e dopo il dolce dormire anche il calduccio ravviverà l'estate della volontà, giusto?

04 dicembre 2017

G 8

A Padova, Giotto mi ha deliziato vista e gola.
La prima, con gli affreschi e i dipinti. La seconda, con il gelato tra due fette di panettone caldo.

Rivolgersi, rispettivamente, alla meravigliosa oltremisura Cappella degli Scrovegni (e ai musei civici annessi), e alla gelateria di via degli Eremitani, che propone anche la pasticceria realizzata nel laboratorio del carcere di Padova, ottima ed efficace base di partenza per la riabilitazione e il recupero dei detenuti.

Le modalità di svolgimento della visita, con l'ingresso contingentato che avviene solo dopo una sosta nella sala di compensazione, permettono di gustarla ancora meglio, perché si è indotti a prepararsi, vuoi seguendo i filmati proposti, vuoi accedendo alla sala multimediale per opportuni approfondimenti. Una volta ammessi all'interno, sapendo di avere non più di un quarto d'ora a disposizione, si rimane concentrati e assorti, pienamente intenti all'ammirazione.

In verità, sono stato goloso anche con la vista.

03 dicembre 2017

Concentrazione

Vai in cortile e raccogli una foglia da terra; torna in classe, poggiala sul banco, osservala e scrivi cinque pensierini.
Più o meno con queste parole la mia amica Laura ricordava i tempi della scuola in bianco e nero, quella dei grembiuli e della maestra unica, con classi numerose di bimbi rispettosi e attenti.

Di questo compito semplice riconosco la modalità e apprezzo la qualità didattica diretta e indiretta: si induceva ciascun allievo a produrre quel che poteva rientrare nelle sue capacità e nello stesso tempo lo si obbligava a concentrarsi su un particolare e a spremerne più di quanto non potesse immaginare prima di provarci.

Una sorta di educazione alla densità attraverso piccoli passi compiuti tra minuzie immediatamente raggiungibili e disponibili. Quotidianamente, ogni piccola consistenza arricchiva il bagaglio di un'entità ponderale. Giorno dopo giorno, di densità in densità, d'intensità si arricchiva, imparando quasi senza accorgersene ad apprezzare la ricchezza intensa di tutto ciò che la semplicità avrebbe poi saputo recare in dono.

02 dicembre 2017

Meglio se uno a venticinquemila

Da sempre, messo davanti a una cartina geografica, mi c'incanto. La percorro con lo sguardo e la mente, la esploro, mi ci sposto, la riguardo e vi indugio, ne voglio sapere di più, la voglio capire, afferrare, comprendere in un abbraccio mentale, penetrare attraverso gli itinerari più diversi, perlustrare ricorrendola nei sensi più vaghi e vari, in un misto tra astrazione e aspirazione alla realtà cangiante del viaggio.

Alla fine poi non viaggio molto, ma le volte in cui riesco a farlo, mi piace sfruttare ogni opportunità di perdermi per ritrovarmi, tangendo rotte inusitate, deviando da quella principale per godere di soste e poste aggiuntive a quanto previsto inizialmente.
Bada: lo si può fare anche nella propria città. E per quanto abbracciare lo spazio evochi una messinscena, per quanto illusoria sia la potenza di quell'abbraccio, illusione più o meno pari a quella di potervi comprendere il tempo, la sensazione che ci si regalerà merita ogni slancio.

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bonus: la pagina Fappatori di mappe su frenf.it; le mappe di Reddit, ovvero MapPorn

01 dicembre 2017

Nel palazzo incantato

... e così stanno,
che non si san partir di quella gabbia;
e vi son molti, a questo inganno presi,
stati le settimane intiere e i mesi.
(Orlando Furioso, XII, 12)

Così l'Ariosto, e sembra che parli di noi quando ci colleghiamo, chessò, a facebook. Stiamo lì cinque minuti e scopriamo che è passata un'ora: ci mangiamo il tempo e ce ne facciamo mangiare, troppo spesso senza costrutto. Scorriamo su e giù e qua e là pagine e link e like e post e profili e filmati e canzoni, ma in cerca d'altro, in realtà, in cerca d'altro: perciò quel che troviamo ci lascia insoddisfatti e indugianti.

Incappiamo talvolta in qualcosa di bello e interessante, ma a quel punto il difficile è decidere di dedicarvi il tempo necessario, quasi sempre più di quanto siamo disposti a impegnarne, quasi sempre più di quanto crediamo di averne a disposizione. Sì, perché se manca il qui e ora, il tempo fugge e ci sfugge come non mai: solo laddove ce lo prendiamo, insieme al coraggio di volerne perdere un po', quello si adagia e si schiude, ricoprendoci di minuti con l'aprirsi dei suoi infiniti petali. Ciascuno di essi sarà leggibile tramite il sentire, con la dovuta calma, sedimentando percezioni al ritmo del respiro, e a quel ritmo s'assaporerà un momento voluto e davvero goduto.

17 novembre 2017

Pedala forza vai

Vale sempre la pena far aggiustare la bici, quella quasi gloriosa carretta rossa che mi permette di infilarmi tra il traffico anticipando i pesanti e puzzolenti quattroruote (li chiamo così quegli animaloni brutti solo quando non sono io a usarli) e di arrivare a destinazione un po' sudato ma con un senso di tonicità e qualche grado di soddisfazione.
Vale la pena gelarsi le mani perché non si trovano i guanti al mattino, vale la pena asciugarsi il naso al semaforo, vale faticare un po' per procedere spedito anche nelle rare salite. Vale ancora di più andarsele a cercare, quelle salite, attraversando il parco per tornare a Cinisello dalla Bovisa dopo un pranzo troppo lauto e con tanto sapore affettivo.
Vale tantissimo godersi le immagini attraverso il parco, con lo specchio del laghetto di Niguarda colorato dai riflessi degli alberi, bellimbusti che esibiscono spettacolari chiome provvisorie. Chiome simili si moltiplicano procedendo oltre e abbracciano lo sguardo assommandosi in foresta fatata che chiama a farsi esplorare.
Va, va, ma nel frattempo il buio si fa strada, il buio ti sorprende e a nulla valgono le lucine del Decathlon se le hai lasciate a casa sul comodino antiquato vicino all'ingresso. Una bianca una rossa, capaci di lampeggiare o di fissarti e di farsi notare comunque fino a 300 m, nientedimeno. Vai, vai, che sembra che arrivano i pompieri, diceva Gino il ciclista l'altra sera, dopo avermi raddrizzato la ruota: abilità che in questo caso vale più di un congiuntivo.

28 ottobre 2017

Ora e ancora

Il CD World Without Tears di Lucinda Williams me l'aveva regalato Wes, un americano che accompagnavo dai suoi clienti italiani facendogli da interprete. Se voglio ascoltarlo, però, mi tocca ricorrere a YouTube, perché il supporto fisico l'ho perso; evento per me più unico che raro, questo, nel caso di dischi, CD o anche cassette.

Tra i pezzi in elenco, quello che mi catturò fin da subito è il primo: Fruits of My Labor, sicuramente per la generosa dose di dolciastra malinconia che lo avvolge e che si porge all'orecchio amante di quegli unici momenti, all'animo vagante dai perduti struggimenti.

Ora, mentre lo ascolto e riascolto masticandone il testo, lascio che il lenzuolo del tempo svolazzi schiaffeggiando l'aria più o meno limpida degli spazi ampi, sentendomene lambire con levità, con levità. Lieve il sorriso, dolce lieve giunge una notte che sa di luna con un'aura che sa d'aurora, lattescente notte che sa già di alba, ora dopo ora e per un'ora ancora.

21 ottobre 2017

Euforica pienezza

A raccontarti una cosa di quando non c'eri mi sembrerebbe di farti ascoltare una cover dei Nouvelle Vague, quelli capaci di appiattire qualsiasi bella canzone capiti loro sotto gli spartiti.
Metti che nel racconto ci siano i tempi giusti: comunque mancherà lo spessore; magari c'è la storia, ma sciapidiscono i sentori; oppure ci sono le sensazioni, però mancano i riferimenti condivisi. Tante tante tante volte la condivisione non è facile, in taluni casi nemmeno ipotizzabile.

Eppure esistono e si verificano preziosi contatti umani con chi sa (quasi) esattamente quel che abbiamo provato e come lo abbiamo provato. Meglio ancora, ma lì si arriva al sublime, con chi riesce a leggere oltre, a leggerci oltre, più di quanto saremmo mai riusciti a fare da soli.
Lì si raggiunge un livello di crescita interiore, non necessariamente un'evoluzione, ma di sicuro una stupefacente dose di piacere e riappropriazione, con la capacità di andare a occupare i nostri interstizi nascosti, le nostre cavità emozionali meno frequentate, le parti a lungo trascurate del nostro immenso piccolo essere.

A metà strada, un intrico di scorciatoie ci facilita le cose: il compimento di percorsi in compagnia, la pratica comune di discipline o divertimenti, la compartecipazione ad attività, l'espressione di passioni, il fare insieme, l'essere per davvero.
Essere e fare vanno bene insieme, così come ascoltarsi l'originale.

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bonus: Blister in the sun, Violent Femmes (1982)

08 ottobre 2017

Domande da blogger a blogger

Maximiliano Bianchi (Strelnik) chiede:
Blogger della vecchia guardia (2002-03) cosa volete? Di che cosa vi fate? Dov'è la vostra pena? Quale è il vostro problema? Perché vi batte il cuore?
Rispondo di getto:
1) armonia e intensità.
2) di tango.
3) nei limiti della capienza del vivere e nelle distanze spaziotemporali degli affetti.
4) sanare il conflitto tra pulsioni ludico-epicuree e necessità economiche.
5) perché ho il sangue caldo e sorridente.

[qui le risposte degli altri]

27 settembre 2017

Visione periferica

"Third time lucky", si dice in inglese, la terza volta è quella fortunata. È un invito a provarci e riprovarci, ed è quello che mi ha permesso di ritirare finalmente il certificato penale, che mi serve per uno dei miei lavori. Oggi, inforcata la claudicante bici rossa, quella coi lucchetti che valgono più di lei, ce l'ho fatta a portarmelo a casa.

L'avevo ordinato on-line alla Procura di Monza, ma la prima volta non avevo le marche da bollo e tutti i tabaccai nei dintorni erano in pausa pranzo (cosa impensabile a Milano). Così, nervoso e deluso, ero tornato al parcheggio sotterraneo a pagamento per poi infilarmi nel dedalo dei sensi obbligati, fastidiosa trafila di chi è così stupido da voler raggiungere un centro storico in automobile.

La seconda volta, dopo essermi procurato le marche da bollo, c'ero andato in bici, evitando il delirio delle zone non accessibili e dei parcheggi rari e cari, solo che avevo letto male gli orari di apertura e sono arrivato un quarto d'ora dopo il tempo utile. Ero partito tardi per via di una gomma bucata (no, niente cavallette), due volte dal ciclista in un mese e stavolta proprio all'ultimo minuto. Diciamo che dopo aver trovato la porta del casellario sbarrata, c'era di che battezzare la giornata come infausta, e invece.

Invece mi sono aggirato per un po' tra le zone pedociclabili del capoluogo brianzolo, dove vagheggiavano e albeggiavano intensi e golosi ricordi, poi ho deciso di concedermi un giretto un po' casuale sulla via del ritorno, seguendo istinto e pedali e guardandomi intorno.
A guardarmi intorno, in verità, avevo cominciato già all'andata, ché la bassa velocità questo permette e invita a fare. Lì mi ero ritrovato esattamente nell'inesatto territorio di mezzo instabilmente ubicato tra zona urbana e campagne. Case e campi, un prato verde incolto e un capannone, due sterrate e un deposito di rottami spropositatamente elevato al di là di un muro, sorprendente metallico montone luccicante al sole del primo meriggio, corrusco come un mucchio di lucidi scudi guerrieri.
Una strada chiusa, così dice il cartello, ma non cambio rotta, la percorro e ne esploro le piccole ramificazioni, costeggiando dimore di foggia diversa, dai residui di antiche cascine a case e villette, talvolta perfino graziose. Proseguo tra sfondi diseguali fino al termine ultimo, un cantiere col cancello aperto dove un cane grasso aggressivo slegato mi induce a fare dietrofront, pedalando via dalla sua corsa abbaiante e riguadagnando con ostentata tranquillità la via di casa.
Per orientarmi, usavo le montagne: Grigne e Resegone come stelle polari, ma su fondali celesti attraversati da qualche bianca nuvoletta.

Il pensiero trovava analogie con le camminate extraurbane raccontate da Carlo Molinaro, un po' a zonzo e con poesia, e con gli sguardi posati da Gianni Biondillo sulle periferie.
Posare lo sguardo è un'arte, nel senso artigiano del termine, un mestiere quasi come quello di vivere, è un modo per preservare il respiro lungo e la capacità di far rilucere gli occhi anche di rimbalzo, grazie a un'inquadratura scandita da un giro di pedali che abbraccia il cielo e l'asfalto, le sterpaglie e il sole che si sdilinquisce su dei rottami. Non è tutto idillio quel che luccica, e nemmeno il resto, ma quando il soffio d'intorno te ne porge il pulsare, captalo, e sèntitici dentro. Sei tu e il mondo, e il mondo è tu.

31 agosto 2017

Memorabilia

Il giorno in cui tu sei nata mi stavo baciando con una davanti al Tudor Hall. Un bacio memorabile, scambiato con sensualissima allegria, perfetto ancorché unico, memorabile quanto il complimento poi ricevuto, vorace e morbido ad un tempo e come quello, gratis. Quella sera, perché fu di sera, non potevo sapere che stavi venendo al mondo, né che di lì a 26 anni mi sarei lasciato fotografare dai tuoi baci, flash scaturiti da complici risate condivise.
All'epoca ero già viaggiatore del tempo e fu probabilmente questo a suscitare la scintilla che riaccese d'allegria l'iridescente iride, facendoci sguinzagliare pulsioni con illogica tranquillità di spirito. Rispondendo alle tue di labbra mi riconoscevo nella polvere di stelle che ci aveva accompagnati, anticipavo la polvere di spezie che avrei incontrato più oltre, noncurante della polvere alla polvere che non riusciva più a spaventarmi.
Sarei poi ripartito, dopo un commiato di reciproca ilarità appassionata, verso rotte solitarie, inframmezzate da altri flash e rievocazioni, perle sul filo tralfamadoriano dei ricordi passati e futuri. Un giorno ci saranno di nuovo, un giorno ci sono già stati, un giorno ci furono e ci sono nuovi baci memorabili, ciascuno a caccia di un presente eterno nel tempo e nello spazio.

29 luglio 2017

Di grappa e altre bellezze

Ho usato due litri di Grappa Franciacorta Morbida per riempire i boccacci nei quali ora riposano alcoliche le ciorciole e i rametti di cembro che mi ha dato Walter della Baita Caserina perché potessi provare a farmi la grappa al cirmolo.
Non so quale sarà il risultato finale: intanto sto facendo il possibile, trasferendo ogni mattina i barattoli sul balcone perché si possano crogiolare al sole per tutto il giorno e riportandoli in casa la sera. Lo zucchero aggiunto si è già sciolto completamente, il colorito rosaceo è già stato acquisito, ma la pazienza è la virtù primaria per chi voglia sorbirsi dei bicchierini all'altezza delle aspettative.

Il colpo di fulmine gustativo era avvenuto quando, dopo una passeggiata in cresta sul Cornon, ero sceso col mio amico Franz a rifocillarmi alla Caserina. Qualche giorno più avanti, insieme a mio figlio Lorenzo avevamo ripetuto la camminata, allungandoci a percorrere il panoramicissimo monte Agnello prima di inoltrarci lungo il grazioso sentiero tra pini mughi e stelle alpine che dai "Cornacci" sovrasta da un lato la val di Fiemme e dall'altro l'ampio anfiteatro verde di Pampeago, incorniciato dalla magnificenza del Latemar, ma che offre alla vista, tra l'altro, anche l'intera catena del Lagorai, le Pale di San Martino, la Marmolada, il Piz Boè. In questa occasione, ripassando dalla Caserina per una fortaia di metà pomeriggio, insieme alla degustazione mi sono stati offerti gli onori boschivi atti alla produzione casereccia dell'ambita acquavite.

Mi rendo conto, scrivendone, che non si tratta solamente di voler ottenere una leccornia fine a sé stessa, ma di una sorta di tentativo di catturare la bellezza sensoriale promanante da un'intera area geografica che parla ai ricordi e alle voglie, comunicando quindi attraverso il tempo, dal passato al futuro, e che regala istanti sempre presenti grazie all'intensità della sua bellezza.

29 giugno 2017

Il pezzo

Ero lì in auto, mi accingevo a valicare il cavalcavia di Sesto quando ho avuto un'epifania euforizzante: dalla radio (Lifegate, in quel frangente) era partita poco prima Somebody to Love dei Jefferson Airplane, canzone che ascolto dalla fine degli anni settanta, quando acquistai il vinile del 1967 da cui è tratta, ossia Surrealistic Pillow, con tutta la band in posa sulla copertina rosa.

Il cielo era minaccioso, tanto da rievocare certe scene di A Serious Man, film dei fratelli Coen in cui proprio di questa canzone, che fa parte della colonna sonora, viene citato il testo da un rabbino come perla di saggezza ammannita a un ragazzino da redarguire.

Ebbene, mentre percorrevo in su e poi in giù quel cavalcavia, dopo essere stato catturato e trascinato dalle miscele vocali, con la vigoria di Grace Slick e il calore di Marty Balin, mi sono lasciato elettrizzare dagli intrecci strumentali, con la potenza del basso di Jack Casady, le irresistibili acidità della chitarra di Jorma Kaukonen e il sovrapporsi di tutti quanti, un proliferare di livelli d'ascolto che nel giro di tre minuti tre ti danno e ti tolgono tutto.

Lì mi sono detto: questo è IL pezzo. Ce ne sono tanti che mi emozionano e mi accompagnano da sempre, ce ne sono diversi che mi prendono totalmente, alcuni che ho addirittura sigillato come preferenze assolute, ma in quel momento, con forza, ho percepito e sentito così.

Subito m'è venuta voglia di scriverlo, ma non potevo fermarmi (ero di pronto soccorso tanguero, chiamato a far da cavaliere d'emergenza per una lezione cui partecipava anche mia figlia) e allora mi sono detto, e l'ho fatto: chiamo la Mi e glielo dico. Per fortuna m'ha risposto e così ho potuto condividere la sensazione, raddoppiando istantaneamente il piacere (e il sorriso, con questa romagnola che non vedo da quasi dodici anni).

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Signori e Signore: Jefferson Airplane, Somebody to Love

21 giugno 2017

Un pezzo

È arrivata oggi l'estate, eppure ne ho già vissuto un pezzo.

M'è successo qualche giorno fa, quando stavo estasiato in acque trasparenti e cilestrine, trasparenti e turchesi, trasparenti e blu, acque salate assolate, acque avvolgenti e beanti, le stesse che accarezzavano la spiaggia dove avevo lasciato maglietta costume e asciugamano, il cappellino da legionario e gli occhiali scuri nella loro custodia rossa, prima di avviarmi nudo verso l'iniziale contrasto termico che presto si sarebbe mutato in soave totalizzante carezza.

A Koufonissi pochi giorni ma intensi, ai quali ancora mi sento appeso, sebbene le circostanze m'abbiano obbligato a un rientro scandito da necessità incalzanti da incastrare tra gli impegni che già popolavano l'agenda. Preda della burocrazia per essere stato un sans papiers per via della destrezza di una mano disonesta calata nel mio marsupio il primo giorno di vacanza, nella calca sulla linea rossa della metropolitana, tra Syntagma e Panepistimio.
Per questo, dopo le vicissitudini tra la polizia turistica greca, i servizi consolari dell'Ambasciata italiana ad Atene e il recupero di lì a qualche giorno del documento provvisorio di viaggio (ETD) in quel di Paros, ho bussato qui da noi all'ufficio anagrafe e alla Polizia per ottenere, intanto, i certificati sostitutivi per poter esistere e guidare e mi sono procurato un cellulare, in attesa di una nuova carta di credito e della tessera sanitaria. Sì, perché ovviamente mi sono fatto rubare tutto il possibile.

Per fortuna c'era Martina ad aiutarmi e, la sera stessa, il tango a rapirmi: siamo andati in milonga nel quartiere di Psirri, raggiungibile a piedi dal nostro albergo, ed è stato davvero rinfrancante. Vaggelis Hatzopoulos, gentile quanto bravo, ci ha accolti molto cordialmente e ci siamo trovati subito benissimo per l'atmosfera, la musica, le persone e il pavimento perfetto. Il ballo, oltre che divertimento, si è confermato lingua franca, stendendo ponti comunicativi a ogni nuovo abbraccio, con in più l'effetto dei gol in trasferta nelle coppe europee.
Il tutto è stato una bella sorpresa, acuita dal contrasto con alcuni stradoni del centro (zona Omonia), abbandonati al degrado edilizio, sociale e anche economico, a giudicare dalla quantità di saracinesche serrate per sempre, o più probabilmente fino al momento in cui gli speculatori decideranno che i prezzi degli immobili si saranno abbassati a sufficienza per acquistare e mettersi a "riqualificare".
Quella sera, comunque, godemmo di una cenetta a Exarchia, quartiere vivacizzato da un sit-in studentesco, oltre che dai numerosi localini e ristoranti, prima di spostarci ad Agatharchou 15 per andare a ballare alla milonga El cabecéo che si tiene ogni giovedì (musica tradizionale, stile milonguero, età media un po' più bassa che da noi, parecchi tangueri e tanguere di ottimo livello).

03 giugno 2017

Piove col sole

Piove col sole. M'affaccio: una pioggerella allegra, rumorosa a intermittenza, rada e circoscritta. Dal cortile promana lo stesso odore che, in altro cortile, sentivo da piccolo. A pensarci, è lo stesso odore che sale sempre dall'asfalto in queste occasioni.
Piove col sole: tempo d'arcobaleni. Iridescente il futuro lo so immaginare, come la maglia dei ciclisti campioni del mondo dentro le biglie di plastica che facevamo rotolare sulla sabbia, prima al mare e poi in montagna, con tutti i bambini del luogo, noi unici villeggianti a comunicare nel dialetto locale.
Piove col sole. Smette e ricomincia, come un solletico al terreno riarso, come a stuzzicare le piante e i giardini qua sotto, che ora s'agitano al venticello reclamando, forse, più acqua. Il clima è di quando la brezza che t'agita la maglietta risulta carezzevole come uno sgrisolo.
Piove col sole: di certo non potrà durare fino a sera inoltrata. O nubi, o stelle, o tutt'e due.

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bonus d'obbligo: Creedence Clearwater Revival, Have You Ever Seen The Rain

23 maggio 2017

Mondo bombo

Il mondo non è quello che vogliono dipingere coloro che fanno esplodere ordigni (della grossa e cinica industria militare o del meschino terrorismo dei deficienti disperati).

Il mondo è un insieme di colori e di respiri. Voglio continuare a crederlo e a dirlo.

Anche per questo, oggi segnalo un libro suggerito dall'Apprendista libraio:
This is how we do it, di Matt Lamothe, illustra la vita quotidiana di sette bambini provenienti da sette paesi: Giappone, Italia, Uganda, Russia, Iran, Perù e India.
Qui sotto il breve video che lo presenta:



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bonus musicale e un pensiero a Manchester: Joy Division, Love Will Tear Us Apart

08 maggio 2017

Ke koan

Al koan "Qual è il suono di una mano sola?" qualche bravo jazzista avrebbe potuto rispondere: "Una rullata."
Qualcuno tipo Buddy Rich (qui con Charlie Parker, che a un certo punto gli sorride).

24 aprile 2017

Tempo al tempo

Il fatto che "ora" sia il punto medio del segmento che va da "10 anni fa" a "tra 10 anni" un po' di vertigini le dà. O forse sono brividi, come quelli che danno i colpi di calore determinati da un'esposizione prolungata all'azione del sole.

Vertiginoso è lo sguardo che affonda nel tempo se questo si estende bidirezionalmente. Siamo quasi perfettamente in grado di gestire proiezioni nel passato, anche molto remoto, o nel futuro, anche infinito; laddove però la proiezione si fa duplice, l'intendimento smette di funzionare: è la capienza a sfondarsi, per azione delle due aste telescopicamente allungate in versi opposti, è il capire a perdere i sensi, è la comprensione che cessa di afferrare per mancanza di presa.

Se invece "ora" è centrato nel mirino del sentire, i brividi sono più simili agli sgrisoli, il calore accarezza l'epidermide insieme all'aria che s'attraversa una pedalata dopo l'altra, gli occhi riconfezionano scorci già visti regalandoli allo sguardo goloso di semplicità e felice d'innocenti intense condivisioni.

Centrandosi nel mirino del sentire ci si toglierà forse un po' di prospettiva, ma con generosità verso di sé e gli altri ci si potrà e si potrà donare un meraviglioso effetto di sorridente soddisfazione. Per colmo d'immediatezza, potranno bastare, nell'ordine, ingredienti quali: Hangar Bicocca, bikemi, Wan Jiao, bikemi, passeggiata, Castello Sforzesco, bikemi, rientro.

E un bonus musicale, come (Nothing but) Flowers dei Talking Heads (1988).

31 marzo 2017

Alla sera

Il mondo rimpianto è un mondo perduto: erede del passato, erode il presente uccidendo ogni neonato nuovo momento. Tale strage d'innocenti istanti continuerà finché uno spiraglio di luce non giungerà a farsi salvatore del tempo per la vita a venire.

Ho visto una fessura nel cielo, disegnata in giallo: falcetto sottilissimo nel blu cobalto, abile a stagliarsi tra la promessa della ventura notte e il retrogusto crepuscolare figlio d'un tramonto sereno.

Ci ho infilato il dito e come una linguetta ho sollevato il velo dell'invisibile: sotto c'era un altro cielo uguale a quello, senza ancora nemmeno un tremolante brillio. Tempo d'uno sguardo, d'un'occhiata panoramica e il falcetto sottilissimo s'era fatto più intenso, più intenso il blu di sfondo, più vicina la promessa della notte, ma non una stella a rilucere.

La mano ha provato allora a rispalmare il velo dell'indicibile: la sfasatura della visione striava l'intera volta di sfumature incongrue, e il tremolante brillio che molteplice si proponeva alla miratura era come sdoppiato, con un lacerante effetto di finzione.

Un flashback improvviso, scarto temporale minimo ma efficace, m'ha quindi riportato alla vista iniziale: una tavola da favola, mirabilmente densa di promesse per l'occhio capace di paziente attesa. Ho visto una fessura nel cielo, disegnata in giallo: falcetto sottilissimo nel blu cobalto, dolce visione che si ridisegnava sul mio volto ardentemente sereno, ironico e sorridente.

Giorno di fine trimestre, giorno 90 da inizio anno, roba da angeli ubriachi.

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Lucinda Williams, Drunken angel

14 marzo 2017

Linea punto

Sto sfruttando la quaresima. Non si tratta di una vera e propria dieta, tant'è vero che ho cominciato di domenica e non, come nel più classico dei cliché, di lunedì. Comunque sia, da più di una settimana mi sto moderando nell'alimentazione: a dire il vero, lo sto facendo moderatamente, nel senso che non mi sono certo trasformato in un asceta, però di fatto mi sto astenendo dai dolci e soprattutto dai fuori-pasto. Erano soprattutto questi ultimi ad aver acquisito la capacità di moltiplicarsi per numero, qualità e quantità, contribuendo non poco ad arrotondarmi in modo abbondantemente indesiderato.

Chissà quanto mi ci vorrà per riacquisire una linea tale da non farmi sentire in imbarazzo con me stesso e con qualche "voce affettuosamente critica". So che a Pasqua mangerò la pastiera, ma l'obiettivo è quello di riuscire a mantenere la capacità di controllarmi anche a medio-lungo termine, così da stabilizzare eventuali conquiste di forma e peso. Naturalmente sono consapevole della necessità di incrementare l'attività fisica e so che lo farò, pur senza farne necessariamente un totem. L'importante, per qualsiasi percorso, è compiere il secondo e il terzo passo dopo il primo, di modo che questo non risulti un'eccezione, ma l'inizio di un bel cammino.

Giorno di metà marzo, quasi, e mentre scrivo riascolto dopo tanto tempo un CD che mi è caro per colei che vi canta: Welela.

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bonus per te che leggi: Miriam Makeba, Hapo Zamani

08 marzo 2017

Mimose

Servirà lo sguardo dell'antropologo, quello che ti fa apparire vicino ciò che è lontano e lontano ciò che è vicino. Quello che serve a sottolineare le ingiustizie e discriminazioni che sono talmente sotto gli occhi di tutti giorno dopo giorno da diventare invisibili.

Servirà insegnare o ricordare a noi stessi e ai figli maschi che uguaglianza non significa appiattimento, ma parità di diritti e riconoscimento delle proprie e altrui particolarità.

Servirà abbracciarsi, uomini e donne, esseri umani.
Servirà essere umani, sempre.

Buon otto marzo.

26 febbraio 2017

Sudiciume

L'incitazione cieca alla violenza avviene quando non si riesce a riconoscere l'altro come essere umano. Quando non solo non si vola, ma nemmeno si cammina, e anzi probabilmente si striscia nel proprio sudiciume morale.
Se ci si elevasse un pochino, con un minimo di distanza critica, ci si riconoscerebbe nell'altro e risulterebbe piuttosto difficile azzannarlo, o aizzargli contro altri cani striscianti nel medesimo sudiciume e a loro volta colpiti da cecità.

Come puoi invocare il tritacarne per "punire" delle azioni che alla fin fine non avrebbero danneggiato nessuno?

Sono molto disgustato. Se non si fosse capito, mi riferisco alle reazioni scomposte scatenatesi tra molti commentatori, noti e sconosciuti, nei confronti di due persone (malvestite e forse puzzolenti, ma persone come te, ricordalo) colte sul fatto mentre frugavano in cassonetti proibiti.
Nei cassonetti ci sta la spazzatura e allora vi chiedo: come si può essere gelosi dei propri rifiuti? Siete messi male, ma proprio male.

Giorno qualsiasi di un anno qualsiasi: era moderna, medio evo, età della pietra, prossimità all'estinzione o chissà che.

19 febbraio 2017

La mente corre per conto suo

Era importante per me tornarci entro oggi, al parco, per trasformare un episodio nell'inizio di una sequenza virtuosa. Ho ripetuto lo schema dell'altro giorno, mezz'ora in tutto tra camminata sostenuta e corsetta, ma questa volta mi è sembrato più agevole.

A riprova di ciò, il fatto che perlomeno nei primi venti minuti il pensiero vagava altrove, fino a lasciarsi abbracciare dalla moltitudine di tanguere che mi sono venute in mente (oltre a Martina, ovviamente). Ebbene, come ho già avuto modo di esternare conversando in milonga, noi maschietti del tango siamo piuttosto fortunati, giacché le tanguere sono tantissime, bravissime, bellissime, in sé e per come disegnano arpeggi nel mondo, sull'onde della musica e in armonia con la guida di chi sta con loro nell'abbraccio.

Ho anche ridacchiato tra me e me rilevando un'analogia con un meccanismo che mi si accendeva durante i turni di guardia ai tempi della naja in quel di Bolzano: per farmela passare, scorrevo mentalmente in ordine alfabetico le ragazze che conoscevo (non necessariamente in senso biblico) e passo dopo passo il fucile in spalla mi pareva più leggero e il turno meno noioso, sebbene in qualche caso mi risultasse in un certo qual modo ostacolata la camminata.

Giorno 50: quasi sotto il segno dei pesci, ma che importano i segni se puoi seguire altri indizi?

16 febbraio 2017

Le riserve stanno ancora tutte lì

Se è vero quanto ho sentito stamattina alla radio, e cioè che il grasso inizia a intaccarsi dalla mezz'ora di corsa in avanti, posso dire alla panza di non angustiarsi ancora per un po', visto che la sgambata al parco Nord l'ho fatta durare mezz'ora in tutto, alternando camminata veloce e corsetta (5 e 10 minuti) per due volte. Comunque, è sempre più che il nulla e inoltre già mi sento un po' meglio. E a proposito: le corde vocali sono pulite, me l'ha detto la laringoscopia fatta l'altro giorno al Niguarda.

Verso il Carnevale: ti maschererai? Se sì, come?

09 febbraio 2017

Memo

Ci sono foglietti vari e numerosi post-it ad affollare il paesaggio visivo di prossimità: dovrebbero fungere da promemoria e da sprone, ma rimangono lì così a lungo da risultare a un certo punto letteralmente invisibili, come se si mimetizzassero con lo sfondo (esiste una parola svedese su questo fenomeno: hemmablind, letteralmente "casa-cieco").

Oggi però me ne sono accorto e con una certa soddisfazione e perfino un pizzico di orgoglio ne ho eliminati un bel numero (nella raccolta differenziata, ovviamente, dopo aver strappato via la parte adesiva).
Tra di essi, quello che mi imponeva di provvedere ad anticipare la visita di controllo per la gola, così da contrastare le ansie di chi standomi intorno percepisce e talora patisce il mio perdurante abbassamento di voce. Domani si saprà già qualcosa al riguardo, presumibilmente.

Ora ne ho appiccicato uno nuovo: "torna a correre", dice.

325 giorni alla fine dell'anno: non è che ci sia poi tutto questo tempo.

06 febbraio 2017

In sbatta per la musica

Se ti senti giù di giri, mettine su quarantacinque.

Qualora non cogliessi immediatamente il senso di questa frase, ti toccherebbe viaggiare un po' a ritroso nel tempo, fino a incontrare solchi neri apparentemente circolari, ma in verità disposti a spirale su un materiale plastico chiamato vinile e utili a trasmettere l'informazione sonora, attraverso l'azione della puntina e della testina fonografica, per far uscire dalle casse la musica selezionata.
I 45 giri erano i singoli, con una canzone per lato, in genere quella di maggior successo più una mezza sorpresa. Tale successo veniva un tempo misurato settimanalmente da una classifica che si ascoltava alla radio, la Hit Parade presentata da Lelio Luttazzi (ReAnto R la sta riproponendo sul suo blog).

Pensa che sbatta, dover inserire ed estrarre un disco dal mangiadischi, o addirittura sistemarlo sul piatto dello stereo posizionando poi la puntina sui primi solchi, solo per sentire una canzone.
Personalmente, l'ho fatto molte più volte con i 33 giri, grazie ai quali per lo meno ti ascoltavi un'intera facciata, variabile come lunghezza tra il quarto d'ora abbondante e la mezz'ora scarsa. Il gesto, però, quello è rimasto nella memoria tattile, con le mani attente ad allargarsi per non far capitare i polpastrelli sulle tracce sonore nel momento in cui si estraeva l'ellepi dalla copertina, usando il pollice per il bordo esterno e il medio per sostenere il disco dal centro, dove stava l'etichetta. In un pomeriggio di studio liceale, mettevo come sottofondo parecchi tra i miei preferiti dell'epoca (che in alcuni casi continuo a preferire anche ora, per esempio Neil Young o i Jefferson Airplane) e mi alzavo di conseguenza dalla scrivania tutte le volte che serviva.
Con la pigrizia attuale, viziati dal clic facile, quella piccola fatica costituirebbe già un vaglio selettivo severissimo.

Sesta settimana: tu per quali dischi faresti volentieri quella piccola fatica?

03 febbraio 2017

Ricordi a voce

Ti ricordi, mi ricordo... Un verbo che se illumina il passato potrà essere fruttuoso per il futuro. Ripercorrere insieme pezzetti anche dolorosi per colmare buchi, riattraversarli per capire meglio e per guarire le ripercussioni delle ferite antiche.

Ti ricordo, mi ricordi? Un semplice ammicco, un cenno rassicurante sulla propria unità, così diluita nel tempo trascorso e nel vorticare di immagini sconnesse, di sequenze disgregate, di associazioni contraddittorie.

Ti ricorda, una voce amica e carissima, di fare i suffumigi, altrimenti la gola e la voce te le sarai giocate, a meno di non avere santi in paradiso e in calendario.

San Biagio: e se sei rimasto senza panettone?

02 febbraio 2017

Bene, grazie

Parlami di come si possano avere pensieri di ampio respiro mentre si sta tossendo.
No, però, oltre a ricordarti che poi passa, so che conosci l'opportunità di sfruttare ogni momento di pausa forzata come occasione per ricentrarti.
Bah, vedremo.

Candelora: cosa puoi ricavare dalla contraddittorietà dei proverbi?

01 febbraio 2017

Piressia?

'Sto mese, ci sarà un motivo se si chiama così, mi dicevo. Allora me la sono provata e non ce l'avevo. Però un po' conciatino mi sento e lo sono: tra un colpo di tosse e l'altro saluto dunque il mondo anzitempo e vado a rintanarmi sotto le pezze, sperando in una dormita ristoratrice.

Inizio del secondo mese: al risveglio hai pronunciato "rabbit, rabbit, white rabbit"?

31 gennaio 2017

Ci s'ingentilirà

Gli abbracci che sto piano piano migliorando sono quelli tangueri. Lo faccio continuando a seguire i corsi del mio primo maestro Antonio Iantorno e della sua Anna Parker, lo faccio andando a ballare ogni volta che posso (poco o tanto, dipende dalla prospettiva), lo faccio anche prendendo qualche lezione extra dall'artista Beatriz Mendoza. L'affinamento non finisce mai, un po' come quando si impara a suonare uno strumento musicale o a padroneggiare una lingua straniera: più si progredisce, più si avverte l'enormità degli abissi da colmare. È come una spirale, positiva, e come in una spirale, ad ogni giro si ripassa sullo stesso punto, ma a un diverso livello.

Gli abbracci che non hanno bisogno di essere migliorati, ma solo praticati, invece, sono quelli affettivi. L'affettuosità non manca e non è mai mancata, ma le sue manifestazioni dipendono da diversi fattori. Uno fra tutti, la delicatezza dei cambiamenti evolutivi delle persone, segnatamente quelli dei figli. Però sappilo, tu che magari stai patendo le ritrosie della tua prole adolescenziale: quelle manifestazioni, talora sospese per lasciar posto agli scontri da crescita e da ricerca di autoaffermazione di giovanotti e giovanotte, poi torneranno, più belle che mai, perché nutrite di nuova consapevolezza.

Giorno trentuno: occhio, che imbarbarirsi è un attimo!

30 gennaio 2017

Non solo una canzone

"One of my all time faves", una delle mie preferite in assoluto, ho scritto su blip rilanciandola, ma potrei anche adottare le parole del mio amico Enzo Favoino, che a proposito dei Jefferson Airplane (e dei Jefferson Starship) dichiara: "li adoro. Da sempre e per sempre".
Di come da ragazzino l'ascoltavo di notte con le cuffie ho già scritto.
Wild Tyme, come tanti altri pezzi della West Coast di quell'epoca, per me il tempo lo abbraccia dentro e fuori.

Giorno trenta: provare ad abbracciare il futuro come si sa abbracciare il passato, provare a fare in modo che i tempi migliori siano quelli a venire.

29 gennaio 2017

Cinema da divano

Un po' di tosse e un residuo di saggezza mi hanno indotto a rinunciare alla serata di tango con musica dal vivo che mi ero pregustato in quel di Desio, a Villa Tittoni, con la già apprezzata 3T Tango Orchestra.

Mi sono consolato con un capolavoro di Billy Wilder del 1957, Witness for the Prosecution (Testimone d'accusa), con Tyrone Power, la mitica Marlene Dietrich e l'immenso Charles Laughton, finalmente ascoltato in lingua originale grazie al DVD preso in prestito dalla biblioteca civica di Cinisello Balsamo, il Pertini.

Giorno ventinove: attenersi ai fatti.

28 gennaio 2017

Piccoli esercizi d'impermanenza

Vedendo su facebook il nuovo slogan di Esselunga per la prima colazione, mi è tornata in mente una sciocchezza che avevo scritto in rete.
Immaginavo una scenetta con la moglie di Kronos, che secondo il mito divorò i suoi figli, che parlando di lui diceva: "Al mattino ha loro in bocca".

Oggi di questa sciocchezza non riesco a trovare traccia né sul blog né su twitter.
Vuoi vedere che l'avevo pubblicata su friendfeed, il piccolo ma vivacissimo social network che un paio d'anni fa fu sciolto come un bambino nell'acido dai suoi nuovi padroni?

In compenso, a oggi so di essere stato il primo e l'unico ad aver usato l'espressione "contendendomisi", in un twit del 2009:
Bella passeggiata e giretto a Villa Ghirlanda coi pargoli che ora stavano appiccicati contendendomisi, ora giocavano come noi da piccoli.

Giorno ventotto: esercizi d'impermanenza, per la serie "lacrime nella pioggia".

27 gennaio 2017

Far inciampare le bufale

Per rilanciare una bufala ti basta un clic, così, senza verificare, senza pensare, talvolta senza nemmeno leggere quello che stai pubblicando. Sì, perché rilanciare significa pubblicare, pensaci: è come se controfirmassi quell'affermazione o quell'accostamento arbitrario di immagini e parole buttate lì a caso. A caso per noi, naturalmente, perché chi invece le ha inizialmente approntate lo ha fatto e continua a farlo per un qualche scopo, sia esso dettato dall'avidità di un tot per clic o da un malato calcolo politico-ideologico.

A caso tu rilanci, con un clic, e per quel singolo clic a me ne occorrerano almeno una decina anche solo per segnalarti l'infortunio di aver diffuso una bufala. Dovrò copia-incollare i termini chiave e inserirli nella casella di ricerca di google insieme alla parola "bufala" (oppure hoax, in inglese), trovare il link che la smaschera, copia-incollare suddetto link e piazzartelo a mo' di commento sotto il tuo improvvido intervento pubblico.
Uno sbattimento sproporzionato, se dovesse moltiplicarsi per gli innumerevoli episodi che si moltiplicano in rete, e segnatamente su facebook, grazie a te e alle persone che come te non verificano alcunché e paiono staccare il cervello quando hanno a portata di mano una tastiera e un mouse oppure uno smartphone.

Una sproporzione di sforzi comunque minima rispetto a quella necessaria a smontare personalmente una bufala o un'affermazione assurda che, tentando di promuoversi come verità, ignora qualsiasi ragionamento articolato e i lunghi studi e le ricerche condotte e gli approfondimenti operati da tante persone che prima di te, prima di quel tuo stupido clic, si sono date da fare con serietà e applicazione per chissà quante ore, giorni, mesi, anni.

Ad ogni modo, quel piccolo sforzo di provare a farti riflettere voglio continuare a farlo. Voglio essere la tua pietra d'inciampo, un monito e un ostacolo all'obnubilamento, alla negazione, alla piattezza della pigrizia lobotomizzatrice.

Una pietra d'inciampo voglio esserlo soprattutto oggi, ventisette gennaio.
Gli stolperstein sono lì, non li si può ignorare, si può evitare di leggerli ma si sa bene che ci sono incisi sopra un nome, una data di nascita, una data di morte e un campo di concentramento, perciò inducono all’attribuzione del dolore dell’Olocausto a dei singoli individui e non al numero sei milioni di, che è sempre impressionante ma mai quanto un solo nome e cognome. (dal blog di Totentanz)
Ricordiamoci di essere individui, ricordiamoci di essere umani.

Giorno ventisette: giorno della memoria.

26 gennaio 2017

Arigato gosai mas

Il trailer mi aveva già attratto e sono contento di essere stato amabilmente trascinato a vedere Your Name di Makoto Shinkai.
Lo scambio delle vite, il tema della ricerca, gli sfasamenti sarebbero stati già sufficienti ad affascinarmi, ma ho apprezzato molto anche l'intreccio, le rese grafiche e le soluzioni di regia, spettacolari e aggraziate ad un tempo.
L'incontro e la miscela degli opposti tra modernità e tradizione si ritrova nell'accostamento dell'estetica millenaria che si nutre di elegante attesa al dinamismo audace ed esplosivo della metropoli. La natura stessa riassume in sé entrambi gli aspetti e sa farsi spettacolo nella quiete o nella deflagrazione cosmica.
Anche da un profano come me, non certo appassionato o conoscitore di anime e manga, tutto ciò si lascia gustare. Forse perché è bello e commovente poter essere, come canta la sigla, "tàim furàia", graziosa spronuncia giapponese di time flyer, volatore del tempo.

Giorno ventisei: con la memoria e l'immaginazione si viaggia nello spaziotempo passato, futuro e anche presente.

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P.S.: la nipponista Martina mi segnala che la traslitterazione corretta è "Arigatō gozai masu", mentre io avevo trascritto la pronuncia.
Arigatō gozai masu, dunque. キス

25 gennaio 2017

Ufficio recupero validità

La burocrazia è un mostro mangiatempo peggiore di... di facebook, per dire. Compilare moduli in modalità sia cartacea sia elettronica, archiviare e riarchiviare originali e copie, attestare l'inattestabile, perdersi in mille rivoli inessenziali vie più lontani dal nucleo della questione che conta davvero: tutto ciò lo si sperimenta anche o soprattutto in ambiti importanti, quali ad esempio il sistema educativo e quello sanitario. Per fortuna, se la fortuna la sai guardare, in mezzo alle scartoffie puoi trovare volti comprensivi e non ancora scarichi della loro dose di umanità. Ed è allora che puoi respirare, pensando che riuscire a vivere anche quello che dapprima pare tempo perso è un autentico e necessario successo.

Giorno venticinque: la fortuna occorre volerla guardare, occorre saperla vedere.

24 gennaio 2017

Cantata per la memoria

Venerdì sera a Desio nel giorno della memoria e poi sabato sera a Cesano Maderno in replica, ci sarà uno spettacolo cui avrò in minima parte contribuito anch'io, avendo partecipato alla traduzione dei testi.
Si tratta di Holocaust Cantata, Songs From The Camps, ovvero Canzoni dai campi dell'olocausto alternate a brevi letture che raccontano storie minime e terribili di quei giorni mesi anni di orrore.

Giorno ventiquattro: ventiquattr'ore che in realtà sembrano sempre qualcuna in meno.

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Coro Santuario del Crocifisso di Desio
Holocaust Cantata, Songs From The Camps
Cantata per coro misto (S.A.T.B), pianoforte e violoncello
Testi di canti e letture tratti in gran parte dall’archivio musicale “Aleksander Kulisiewicz” ‎dell’United States Holocaust Memorial Museum (USHMM) di Washington
- venerdì 27 gennaio 2017 ore 21:00 all'Auditorium Scuole Pertini (scuole Blu) in Via Milano 345 a Desio
- sabato 28 gennaio 2017 ore 21:00 all'Auditorium Paolo e Davide Disarò - Antica Chiesa di Santo Stefano in Piazza Mons. Arrigoni a Cesano Maderno

23 gennaio 2017

Latitango

Tornando a casa di notte ripensavo alle tande ballate e per un momento m'è venuta voglia di mettermi a fare la recensione delle milonghe frequentate, menzionandone i dati oggettivi e quelli soggettivi. Poi mi sono reso conto che questi ultimi sono di gran lunga preponderanti in una serata di tango e allora mi limito a giubilare al ricordo dei gradevoli abbracci e delle musiche dipinte dai movimenti corporei di due che si fanno una cosa sola, almeno per un po'.
Finora in questo gennaio sono stato, e stato bene, al San Telmo, alla Mariposa, al Tangoy e al Principe, tutte a Milano. Rispetto alle medie di tante persone appassionate di tango che vanno a ballare quasi tutte le sere, io sono quasi un latitante, ma si fa quel che si può, e poi credo di compensare godendomela davvero molto, nel corpo e nello spirito.

Giorno ventitré: per sapere dove andare a ballare, si può sempre consultare FAItango.

22 gennaio 2017

Autospettinature

Per ironia, il senso di inadeguatezza che tanto spesso e talvolta quasi facilmente riesci a smontare negli altri, ti si ripropone insieme a un participio francese che rende bene l'idea del tuo sentire: tiraillé, tirato, diviso, quasi dilaniato dalle plurisollecitazioni cui risulti sensibile.
L'ubiquità non è data, proroghe temporali nemmeno: la cronologia degli eventi procede più spedita dei tuoi proponimenti e sgattaiola incurante delle tue carenze di determinazione. Pensi a ciò che avresti dovuto e voluto fare ma che non facesti o non facesti ammodo, a quanto sia tardi e inutile pensarci dopo. Pensi a ciò che potresti fare ora e a come si mischi e confonda con quanto vorresti e con quanto dovresti. Fai, infine, un po' qui e un po' lì, un po' tiraillé, per l'appunto, tirato in tutti i sensi e a più riprese, sballottato e forse anche per questo un po' più stanco del dovuto.

Giorno ventidue: tutti i nodi vengono al pettine, anche dopo aver perso i capelli.

21 gennaio 2017

Strump

Ho pubblicato un twit in inglese, poi ho visto che la piattaforma ne propone in automatico una traduzione in italiano: frustrante. D'altronde, è normale constatare la resa insoddisfacente di un gioco di parole da parte di un programma. La transumanza di senso da una lingua all'altra è spesso già difficile di per sé, figuriamoci se i sensi sono doppi.
Avevo scritto:
Trump swore yesterday. We'll keep swearing for a while.
La difficoltà della traduzione nasce dal doppio senso del verbo to swear (swore al passato), che significa "giurare", "prestare giuramento", ma anche "imprecare" o "bestemmiare".
Dunque:
Trump ha giurato ieri. Noi continueremo a imprecare per un bel po'.

Giorno ventuno: si cercano doppi sensi sperando di trovarne almeno uno.

20 gennaio 2017

Domani poi si vedrà

A dar retta alla stanchezza e al daffare non ci si concederebbe mai niente di attivamente bello, ma è bene non lasciarsi sopraffare. Dunque, per esempio, stasera vado a ballare.

Giorno venti: abbracciandosi nella musica talvolta si disegnano nuove note.

19 gennaio 2017

Dar voce al respiro

L'abbassamento di voce continua come su un ottovolante e malgrado il mio solito ottimismo da cuorcontento, non posso negare qualche preoccupazione che riaffiorando punge in gola, tanto da non capire bene se i fastidi e le dolenzie provengano dall'interno o dall'esterno.

Certo l'aria mefitica dell'area metropolitana e dell'hinterland non aiuta: più che mai in questi momenti anelo alla purezza di un respiro montano, soprattutto quello delle amate Dolomiti. Tra quelle valli e qualche vetta pulsa per me sempre un sorriso di felice serenità, e a quanto pare l'intreccio degli eventi mi porterà di nuovo a occuparmene anche per lavoro, come è già successo in precedenti occasioni. Applicare le mie capacità di scrittura e traduzione, editing e copywriting ad ambiti tanto apprezzati è quasi un privileggio per me, ma è anche un vantaggio per i committenti, che di volta in volta ricevono testi rilucenti di autenticità.

Giorno diciannove: va bene sperare in bene, va ancora meglio fare del proprio meglio.

18 gennaio 2017

Note di notte

Fuori tempo massimo, ascoltando Stella nera di Pino Daniele, lasciandomi trascinare giù nelle profondità notturne del testo da contrabbando, cullato malinconicamente dalle onde marine nelle parole e nelle note di questo Musicante che tanti e tanti momenti ha accompagnato, per giornate e notti distanti nel tempo e nello spazio. Frattanto, il cielo a sorpresa orla una nube di luminescenza rossastra. La luna amoreggia con l'umidità atmosferica che la fa bella di raggi altrui.

Giorno diciotto: un bagliore riflesso può ricondurre alla fonte luminosa, ma è anche già bello di per sé.

17 gennaio 2017

Falò

Oggi è sera di falò, modo contadino di punteggiare il calendario di rosso vorticante calore, segno di energia e cambiamento, di esaltante benvenuto a quel che verrà di nuovo di buono.

Un falò di cui ricordo con dolce affetto l'euforia energizzante fu quello che accompagnò un concerto dei Blubaluba in quel di Cogliate, nello spazio esterno del Garibaldi. Di solito era un locale di passaggio, ma mentre suonavamo la gente arrivava e non si schiodava più, e via via aumentava l'entusiasmo nostro e loro.

Giorno diciassette: con l'augurio che le fiamme siano sempre per "segno di festa e d’allegrezza" e non altro, e soprattutto non dolore né dolo.

16 gennaio 2017

Due lune

Ho visto due lune, due lune ho visto: una ieri sera su sfondo blu scuro, bassa a est, l'altra il mattino dopo, alta nell'azzurro, a far da specchio al sole nascente.
Due lune ho assaggiato, di due lune ho assaggiato il sapore: una sapeva di miele, l'altra di malìa. Sfiorate con le ciglia due lune, prima l'una e poi l'altra, con le ciglia bagnate ho sfiorato: una sfavillava di antichi dolori, l'altra di piantoriso brillava.
Luce riflessa e riflesso di luce, le due lune abbracciavano gli ultrasensi orbitando in un'orbita, una. Un'orbita, una, due lune, ma l'una delle due, o l'altra, strizzando l'occhiolino diceva: son qui, son io, son lì dove la luce m'intercetterà.

Giorno sedici: guardando dall'azzurro al blu e dal blu al nuovo chiarore senza staccare lo sguardo, il giorno non si stacca dalla notte, né la notte dal giorno.

15 gennaio 2017

Reti sociali

Oggi prima uscita per la mia mamma dopo la caduta dell'ultimo dell'anno, quando piombò faccia a terra sul marciapiede senza nemmeno la scusa di aver voluto fare il verso a qualche papa.

Si è portata una stampella e l'ho fatta attaccare al mio braccio, alternando il lato di tanto in tanto. Prevedevo cinque-dieci minuti e invece è stata una lunga passeggiata: con un paio di pause lungo il percorso, siamo stati in giro circa tre quarti d'ora.
Per paio di pause intendo quelle sulle panchine, perché in verità il cammino si è interrotto anche altre volte, per due o tre chiacchierate con vari conoscenti.

Con lei è sempre così: impossibile percorrere più di trecento metri senza incontrare qualcuno. Praticamente, è come se avesse Facebook formato real life. Mio padre, come di consueto, in questi casi si defila e approfitta di qualche passo di distanza per mettersi a fumare: non dovrebbe, ma la sigaretta è come fosse il suo Instagram.

Giorno quindici: una tanda estemporanea è pubblicare su twitter, una serata in milonga è scrivere sul blog.

14 gennaio 2017

Dall'arco all'occhio

L'arco prealpino innevato scocca frecce mirabili perfino all'occhio del viandiante automunito in superstrada direzione Meda. Ne ho approfittato, beandomene durante la guida.
Nel contempo, disprezzavo mentalmente l'abuso generalizzato dell'aggettivo "mozzafiato"* per etichettare panorami godibili fino alla letizia interiore: viste del genere, ancor più se ravvicinate, il respiro non lo troncano; semmai lo esaltano, ossigenandoti materia, mente e spirito.

(*) nei miei testi turistici credo di non averlo mai usato: in un sito web che avevo curato lo si trova, ma si tratta di una pagina aggiunta dal cliente anni dopo.

Giorno quattordici: le meraviglie sono le cose di cui stupirsi e sono sempre tante se l'occhio rimane bambino.

13 gennaio 2017

Chiamarsi in causa

Hai mai letto un libro di Pennacchioni?
Lo spunto offerto dal sito L'apprendista libraio alimenta un sorriso, ma anche un po' d'imbarazzo: quello richiamato dalle occasioni in cui ci sentivamo tanto sicuri e solo in seguito abbiamo scoperto di esserci sbagliati di brutto, magari dopo avere insistito con superiorità quasi sprezzante.

Uso la prima persona plurale innanzitutto per diluire il senso d'inadeguatezza, e poi perché al momento non mi viene in mente un episodio esemplare e magari invece a te o a te sì, e allora raccontacelo.
Naturalmente la probabilità di situazioni del genere è massima nella tarda adolescenza e prima giovinezza, mentre dovrebbe attenuarsi e scendere sempre più con l'ampliarsi della prudenza acquisita, ma non voglio porre limiti alle nostre vaste possibilità.

Giorno tredici: anche un dialogo diluito nel tempo, purché goda di nutrimento genuino, potrà mantenere pregnanza e densità piacevolmente gustose.

12 gennaio 2017

Termodinamica

Mi hanno regalato un'altra maglietta termica e così ho detto che non appena mi passerà la tosse, riprenderò a correre (o corricchiare, vedremo). Ripropormelo mentre mi sento in affanno per tutte le incombenze sembra velleitario, ma da qualche parte mi par di capire che sia il dire il primo passo verso il fare.

Giorno dodici: scoprire che non è un disonore mettere una coperta in più.

11 gennaio 2017

Teletrasporto

Stasera in auto stavo per metter su Now's the time di Charlie Parker, recuperato in Bovisa dai miei vecchi CD copiati da quelli della biblioteca, quando è partita la radio con una canzone di David Bowie, Loving the alien, seguita da altri suoi pezzi: Radio Popolare stava ritrasmettendo un bel JackSet e non me lo sono voluto perdere.
Tornato a casa, tra le altre cose ho scartabellato in rete ritrovando il titolo dell'album da cui è tratto. Era il 1984, usciva Tonight e fu così che insieme al Paio intitolammo una delle feste in discoteca che organizzammo in quel periodo, quello della Scuola Interpreti di via Silvio Pellico a Milano.
Un'altra, ispirati da un Bowie annata '76, la chiamammo "Golden Years", anni dorati. Dorati però non furono solo quegli anni, dorati furono sono e saranno anche mille altri momenti, mille altri sorrisi, e un'animadorata cui va stasera un grosso in bocca al lupo.

Giorno undici: anche con il teletrasporto guasto, le parole giungono e talvolta congiungono.

10 gennaio 2017

E dunque

Di certe cose, poche o tante o troppe, ti accorgi solo o soprattutto quando ti vengono a mancare. Vale in diversa misura per le persone, il cibo, gli affetti, il riscaldamento, gli amori, la voce, le connessioni sottili, la connessione telematica, il tempo, la salute, la serenità e qualsiasi altro esempio possa venirti in mente.

Giorno dieci: soffermarsi più su quanto c'è che non su quanto eventualmente sia distante, remoto, mancante o assente.

09 gennaio 2017

Brindo

Idealmente brindo a chi, trovandosi a dover attraversare dolori più profondi e gelidi delle acque più ardue, ha reagito permettendo che la vita di nuovo trionfasse ricominciando a pulsare, dal cuore ai muscoli del sorriso e fino alla condivisione di cose belle, sempre capaci di riaffiorare purché si lasci loro il tempo e la possibilità di farlo. Un brindisi anche musicale, con Roll Another Number di Neil Young.

Giorno nove: gli abbracci funzionano anche a distanza, da vicino però sono meglio.

08 gennaio 2017

Polvere di stelle

I numeri, o meglio le loro sequenze, me li raffiguro nello spazio. Lo stesso mi succede, anzi, ancora di più, con quelli del calendario. Così, gli anni i mesi i giorni si sgranano nel passato o nel futuro in varie e variabili forme davanti agli occhi della mente.

Forse è da lì che viene la voglia di abbracciare il tempo, quello vissuto, intendo, fino al momento presente, e magari di lanciare una carezza a quello di là da venire. So bene che tutto ciò altro non è che suggestione, ma il tentativo di comprensione, come quello di capire, già contengono nei termini utilizzati il desiderio di acchiappare e di contenere.

La verità probabilmente è che si tenta, quasi inutilmente, di fissare ciò che di più sfuggente ci troviamo costantemente ad affrontare dopo averlo immaginato: il tempo. Quasi inutilmente. Quasi, perché qualcosa resta, come polvere di stelle dopo un'esplosione galattica, o come lustrini dopo una festa. Festa che magari, seppure in qualche altra forma, prima o poi si riproporrà.

Giorno otto: provare a conciliare la capacità di vivere un giorno ogni giorno e di lasciare agio a un orizzonte temporale decentemente più vasto.

07 gennaio 2017

Rilucere

Ancora un po' di ore concesse a lucine e luminarie, che ci hanno accompagnato nelle settimane con meno luce diurna. Ora che le giornate si sono visibilmente allungate, possiamo salutarle e piano piano smontare anche le decorazioni.

Giorno sette: rievocare la storiella di Dumbo e della piuma per ricordarsi che la luce vera la si emana dagli occhi e attraverso le affettuosità, anche in assenza di energia elettrica.

06 gennaio 2017

Doni da lontano

Ieri sera, aspettando il penultimo metrò, due senegalesi alti alti mi hanno assolutamente voluto offrire un caffè alla macchinetta presso i binari a Porta Venezia. Mi hanno insegnato un saluto di pace (si porta il dorso dell'altrui mano alla propria fronte) e quando li ho ringraziati (Grazie, Merci, Jërëjëf!), mi hanno risposto che erano loro a dover ringraziare me perché erano loro ad aver regalato.

Questo mi ha immediatamente riportato alla mente una storiella dal già citato libricino 101 storie zen: "Dovrebbe essere grato chi dà" (qui trovi il pdf di tutto il libro), chiudendo così a Oriente il cerchio della serata, che con la mostra di Hokusai, Hiroshige e Utamaro già mi aveva offerto bellezza.

Giorno sei: secondo la tradizione spagnola, a portare i doni ai bambini sono Los Reyes, i Re Magi, gente policroma che viene da lontano.

05 gennaio 2017

Jazz senza ghiaccio

Batti un cinque se anche a te piace Charlie Parker!

Giorno cinque: riconoscere i propri simili grazie alle affinità, e sorridendosi sorriderne.

bonus: Charlie Parker Quintet, Scrapple From The Apple

04 gennaio 2017

Fantasticherie

Tra i supereroi della Marvel che leggevo da ragazzino, i miei preferiti erano i Fantastici Quattro. Sono sempre stato per il gioco di squadra, sarà per via della famiglia numerosa o dei pomeriggi in cortile con tutti gli altri bambini del palazzo.

Inoltre mi attiravano tantissimo le interrelazioni e le collaborazioni di tutti quei colorati personaggi dai superpoteri così specializzati e che spesso risultavano complementari, ma soprattutto gioivo se i personaggi di una testata comparivano nelle storie di un'altra.
Oltre ai Fantastici 4, seguivo regolarmente L'Uomo Ragno e mi piacevano anche i Vendicatori, i Difensori e gli X-Men. Devil di per sé non lo preferivo, ma una delle storie più belle in assoluto di quell'universo fu per me la doppietta "Un cieco li guiderà" (mi pare fossero i numeri 37 e 38 della serie), in cui il super-eroe disabile aiutava i quattro che avevano perso i superpoteri a combattere e sconfiggere ancora una volta il temibile Dottor Destino.

Anche oggi mi piace molto quando si mischiano le carte, quando le persone che conosco e mi sono care si conoscono e incontrano tra loro. Ai primi tempi del blog, bgeorg mi aveva inserito tra i "tessitori" e in effetti ci aveva azzeccato anche andando oltre questi pixel su schermo. Naturalmente, tessendo e cucendo bisogna pur fare attenzione a non pungersi, a non ferirsi e a non ferire.

Giorno quattro: riflettere sui superpoteri che si possiedono e affinarli, anziché impoltronirsi desiderandone altri.

03 gennaio 2017

Tris

Diceva Silvio Ceccato, a una lezione di estetica cui ebbi la fortuna di assistere ai tempi dell'università, che il valzer ci induce a girare in tondo perché è in tre quarti mentre noi abbiamo due piedi. Pare dunque una complicata compatibilità in grado di risolversi alla perfezione, quella tra gli esseri umani e il numero tre.

Di quest'ultimo, spicca il carattere ambiguo che qua e là gli si attribuisce: dalla supposta completezza della trinità all'evocazione di un'assenza nel tavolino a tre gambe; così pure nel triangolo, che passa dal privilegio di circonferenze inscritte e circoscritte alla scomodità di relazioni complicate (non tutti possono avere la rilassatezza di un David Crosby in Triad), oppure dalla falsa modestia dello strumento musicale allo scongiuro che accompagna il segnale mobile di pericolo.

Per tre lo fa chi fa da sé, da tre ricominciava il grande Troisi, tre sono gli elementi in un sacco di contesti diversi, leggendari fiabeschi fatati stregati. Come che sia, dal tressette alle tresche, sta sempre a te tener testa al tre: non tremare, datti tregua o perderai la trebisonda.

Giorno tre: lasciare il valzer a quelli del concerto di Capodanno e puntare invece sul tango vals, fiduciosi e appassionati.

bonus: di Triad, la versione dei Jefferson Airplane

02 gennaio 2017

Piacere terapeutico

Non trascurare il valore terapeutico di fare le cose che davvero ti piace fare.
Lo sai quali sono, e se ci pensi sai anche distinguerle bene da quelle che danno semplicemente dipendenza e, alla lunga, frustrazione. Un buon criterio, non esaustivo né infallibile, ma semplicemente utile per distinguerle, può essere di considerare se sono condivisibili, nella fruizione o nel racconto.
La scusa del tempo che manca è solo una scusa, soprattutto rammentando le dritte di Pennac, secondo cui pochi istanti sono meglio di niente.

Giorno due: ricordarsi che, in mancanza di lunghe camminate o escursioni, due passi sono sempre meglio di niente.

01 gennaio 2017

L'uomo propone, la nonna dispone

Capodanno senza tango, ma stavolta non per scelta.
La notte tra l'ultimo e il primo l'ho passata prevalentemente al pronto soccorso, dove era stata ricoverata mia mamma che aveva sbattuto la faccia a terra cadendo sul marciapiede sotto casa. Ora è stata dimessa e considerando la situazione sta abbastanza bene, anche se ha l'aspetto di una che si sia scontrata con Mike Tyson incazzato.
Niente brindisi di mezzanotte, dunque, ma complimenti e ringraziamenti a medici e personale infermieristico per la loro opera che continua anche quando noi normalmente ci divertiamo.

E pensare che un momento prima di ricevere la chiamata d'emergenza, stavo per scrivere di come, appropinquandomi a momenti d'abbracci in musica, sognassi di poterli estendere chilometricamente per avvolgervi, almeno per un istante, le persone care distanti, e in particolare i miei due tesori di figli.

Giorno uno: aprire le ali e lasciarsi planare sulle priorità, confidando che per tutto il resto si possa dare tempo al tempo.

23 dicembre 2016

Passaggio colorato

Il solstizio d'inverno e i giorni successivi sono il momento in cui i fautori del qui e ora incontrano la prospettiva. La luce e il colore del cielo dicono e dimostrano che le giornate tornano ad allungarsi, e non importa se la notte è ancora molto più lunga del giorno.

La felicità, se mai può darsi, è nella tendenza e nella credenza: ritenere che qualcosa di bello sia ripetibile e addirittura migliorabile può regalare una serenità grazie alla quale si apprezzeranno più facilmente sfaccettature, aspetti, minuzie, modi e fatti altrimenti negletti.

27 novembre 2016

Violenza e ignoranza, violenza è ignoranza

Riguardo alla giornata contro la violenza sulle donne, l'argomento mi è parso talmente ovvio da non farmi sentire la necessità di ribadirlo con qualche logo o dichiarazione ad hoc su facebook, come si usa.

Non per questo ritengo inutili le esternazioni, siano esse telematiche o, molto meglio, espresse mediante una manifestazione pubblica. Intendiamoci: non credo possano in qualche modo fermare i violenti, i quali lo sono innanzitutto perché non ascoltano né, forse, sanno farlo.
Cionondimeno, una dimostrazione di unità, comprensione, condivisione può servire a dare coraggio alle vittime dei soprusi, affinché osino contestare, contrastare, denunciare le violenze subite. Affinché non si sentano sole, ma soprattutto perché cessino di considerare normali dei comportamenti inaccettabili e subumani.

Educazione: la vicinanza è la più efficare nemica della violenza.

Se estendiamo un po' il concetto, attigui alla violenza sono gli atteggiamenti sprezzanti, pregiudiziali, ignoranti. Non di rado i misogini sono anche razzisti. Entrambi questi modi di porsi trovano terreno fertile nell'ignoranza: non so chi è l'altro, non lo riconosco, perciò, prudenzialmente, lo detesto. Da un'insicurezza di fondo nasce un'aggressività ingiustificata e stupida.

A scuola, noto che in generale nelle classi esclusivamente maschili prevale l'ostentazione di modalità da cavernicoli nel rapportarsi all'altro sesso, mentre nelle classi miste tale modalità è quantomeno attenuata, se non addirittura assente.

Occorre capire e far capire che avvicinarsi, conoscersi e riconoscersi è più interessante e più bello che farsi la guerra; che la conoscenza può avvenire solo attraverso un avvicinamento condito da curiosità e interesse; che riconoscendo l'altro, riconoscerò un'altra parte di me.

03 novembre 2016

Sacrifici

Ho fatto esercizio fisico, ieri sera: sono andato a piedi alla panetteria il cui pasticciere fa il pan dei morti così buono da resuscitarli.

31 ottobre 2016

Vigilia d'Ognittanghi

La luce, che se ne va un po' prima rispetto all'altro ieri, la rivedrai stasera in una zucca. Sorridile, lascia che t'illumini da dentro e risplendi a tua volta. Bailoween.

29 settembre 2016

L'eternità è nell'istante

Il tempo vola sempre via troppo veloce, vero? Corre e svanisce, fluttua e svapora, è una freccia che colpisce e di continuo frantuma l'illusorio restare.

Ricorda però che abbracciandosi, il tempo rallenta.

Forse perché subisce l'effetto della massa gravitazionale*, o perché così è più facile innescarne la dilatazione, come la rosa dai petali infiniti che si schiude nel persempre di meravigliosi istanti eterni.

Vieni qui, dai, stritoliamoci un po' in un baciabbraccio galattico.

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* Questo è vero per davvero, per masse molto grandi: l'hanno ricordato di recente alla conferenza "La fisica di Interstellar", all'auditorium del Pertini, il centro culturale sede della mai abbastanza lodata biblioteca civica di Cinisello Balsamo.

30 agosto 2016

C'è più gentilezza che cattiveria

Per esempio: mi hanno rubato il sellino della bici, un sellino da poco conto di una bici vecchiotta, recuperata da una cantina. Non so quanto possano ricavarci, credo zero, ma so che per me è stata una scocciatura (e l'ho declamato ad alta voce con vari e coloriti improperî) tornare dai miei giretti minivacanzieri e trovare il "canotto" nudo, quasi un dito medio alzato in risposta alla voglia di farsi una modesta ma allegra pedalata.

Ebbene: mentre mi accingevo a raggiungere il ciclista che ha aperto qui vicino, in via Giordano Bruno (l'avevo notato con riconoscenza, perché i ripara-bici sono sempre più rari), un condomino mi ha visto e mi ha detto di seguirlo in garage per sistemare la bicicletta. Detto fatto, mi ha regalato un sellino quasi nuovo, me l'ha montato e in più mi ha risistemato un parafango e le luci.
Son cose, cose che contribuiscono a giustificare l'anda da cuorcontento che spesso, qualche volta anche a sproposito, m'accompagna.

23 agosto 2016

Venezia è avvenente

I passi sono nelle gambe, che insaziabili ne richiedono altri e altri ancora. Dev'essere la conseguenza delle decine di migliaia compiuti andando per calli e campi e fondamente e sotoporteghi e ponti e salizade, mai sazi di bellezza casuale e imprevista.
Non avevo ancora letto Venezia è un pesce di Tiziano Scarpa, l'ho fatto solo al ritorno, ma l'istinto di girare a caso, perdendosi per ritrovarsi e solo di tanto in tanto consultare la cartina per capire dove si fosse capitati, quello è venuto da sé fin da subito, a Venezia.

Tra quelle che si posson dire, almeno due le cose fatte per la prima volta* a Venezia, entrambe nella prima giornata: il bagno al Lido e il tango in campo san Tomà. Non vedevo l'ora di provare a mischiare le due magie, musica e luogo, ed è valsa la pena farlo su quel selciato, cinto per l'occasione da lumini accesi. L'impianto era stato prestato dal gentilissimo gestore del Basegò, in cui ci siamo poi rifocillati con sfiziosi cicchetti e buon vino, apprezzando anche le competenti chiacchiere di chi ama far bene il proprio mestiere.

La musica che non m'è piaciuta, invece, è stata generalmente quella proposta dai musicisti di strada, troppo spesso noiosi o pessimi, a parte una cantante non potente ma espressiva in campo san Barnaba una sera. I suoni e i rumori, invece, facevano parte dell'incanto complessivo o lo co-generavano (spesso cercavo assonanze con le onomatopee di Marco Paolini nel suo Milione, visto anche a teatro tre anni fa).

Tra i sapori più deliziosi della minivacanza, le sarde in saor alla taverna San Trovaso e i tramezzini del bar Toletta, dove lo spritz al campari è stata una "tonada" almeno pari a quella di due giorni prima, in piazza Frutti a Padova. A proposito di Padova, anche lì era stato bello camminare più o meno per tutto il centro storico, fermandosi poi a cena al Bacaro Padovano, in zona ghetto (grazie alla dritta di ranafatata).

Andare a piedi, a lungo, è indubbiamente il modo migliore per farsi imbibire dai colorati aromi di un'atmosfera cittadina. Lasciare che le suole e gli occhi si posino anche sul non prescritto, scegliere mete ondivaghe e variabili, prediligere deviazioni e digressioni, rimodellare lo spaziotempo sull'estro dell'istante, divengono nel contempo fine e mezzo: strumenti di conoscenza diversa, obiettivi di godimento immediato.

I mezzi di trasporto che ci siamo concessi sono stati solo il vaporetto per il Lido il primo giorno e in ultimo quello dalla Salute alla Stazione ferroviaria per congedarci dal Canal Grande, inframmezzati da una gondola-traghetto all'altezza di Santa Maria del Giglio, breve ma intensa emozione che per soli due euro ci ha per una volta abbreviato il tragitto verso il nostro sestiere.

Quel che non abbiamo fatto è stato sottostare al martirio delle code, preferendo una volta tanto riunciare alle visite più clamorose, e scattare foto: credo sia una specie di record trascorrere a Venezia due notti e tre giorni tralasciando di immortalare in pixel o su pellicola almeno qualche esempio delle centinaia e centinaia di inquadrature che lo sguardo afferrava e tentava di ritenere.

Le menzioni da concedere sarebbero innumerevoli, ma un paio le voglio attribuire: le gentilezze ricevute, tra cui quelle che hanno permesso di scoprire qualche curiosità ascosa (per esempio, San Nicolò dei Mendicoli, grazie a un signore reduce dal supermercato in luogo semideserto, o le prospettive su tela del soffitto di San Pantalon, grazie a uno dei custodi) e il gelato alla crema veneziana gustatissimo al Fontego delle Dolcezze di campo Santa Margarita.

Ricevere come regalo posticipato di compleanno un viaggio è cosa bellissima. Anche perché, a differenza di un oggetto, che si può perdere o rompere, un'esperienza non te la potrà portare via nessuno (Alzheimer a parte, ovviamente). Rigrazie :-)**

Potessi scegliere, tornandoci farei base un'altra volta nel sestiere di Dorsoduro, che è anche quello in cui prima di ripartire ho incontrato per ben due volte la Marghe, fiore meravigliosamente cresciuto da una Sphera.
E poi, potendo, risponderei al richiamo della Giudecca, idea che accarezzavo soprattutto dalle Zattere.

Una bella cartolina ha solo due dimensioni, ma se ci entri diventano quattro, elevate ai cinque sensi (o sei, o sette, a seconda). Ed è allora che t'illude di lasciarsi divorare, mentre ti nutre d'insaziabilità.


* ennesime risposte alla domanda frequente Quand'è l'ultima volta che hai fatto una cosa per la prima volta?

16 agosto 2016

Solchi dorati

"Pronto"
"Ciao"
"Ciao!"
"Allora, che desiderio hai espresso?"
"Veramente non ho nemmeno fatto in tempo..."
"Ah ah ah"
"... però quando quella luce ha solcato il cielo, in un certo senso il desiderio era già compreso: in quel momento mi stavo beando, ero tutto lì. Sai quando senti di non aver bisogno di niente da tanto che te la godi?"
"Sì, sì, bellissimo. Quando basta che entri aria dalle narici"
"Ecco, era come se fossi incluso nel tutto, una sorta di serena euforia, di presenza e completezza. La sensazione che bastasse esserci, che mi bastasse essere."

- - -

Riuscitissima la milonga de Las Estrellas organizzata da Tango23 di Bolzano presso le Distillerie Roner di Termeno; per me ancora di più, grazie alle mie amiche per l'affettuosa accoglienza ricevuta, a loro e alle altre tanguere per le piacevoli tande, agli amici e alle nuove conoscenze per la gradevolezza della serata.

Rientrando in val di Fiemme a notte fonda, sulla statale 48 a un certo punto ho accostato in una rientranza sicura, ho spento i fari e, sceso dall'auto, mi sono goduto una stellata sontuosa, un pieno di emozioni corredato dal passaggio di una stella cadente.
Meraviglia delle meraviglie!

05 agosto 2016

Il mio Trentino

Ieri sera, dopo qualche partita intergenerazionale a briscola, una breve passeggiata in cui quasi ogni passo ripercorreva le orme di ricordi ripetuti su e giù per le viuzze del paesino, Castello di Fiemme, quindi la buonanotte con il proposito di un giretto a piedi oggi. Oggi, però, piove, parecchio, quindi le escursioni montane sono procrastinate, si spera solo di ventiquattr'ore.

La voglia è quella di replicare e moltiplicare i bei giri di luglio, quando qui in val di Fiemme ero salito per festeggiare il compleanno di mia mamma e il mio.

Il primo giorno salimmo in zona Pale di san Martino: ascesa rapida al Castellazzo con mia sorella mentre i genitori ultraottantenni ci aspettavano alla Baita Segantini, dov'erano saliti con la navetta. Per rientrare al Rolle, però, fecero metà strada a piedi (mia mamma addirittura dal sentiero).

Il pranzo di compleanno della mamma lo prenotammo al passo Lavazè, dalla Maria. Prima però andammo agli Oclini, dove io e mia sorella Teresa facemmo una toccata e fuga sulla cima del Corno Bianco, che offre il miglior rapporto qualità/prezzo, per così dire, considerando che una cinquantina di minuti di fatica vengono ripagati da un panorama a 360 gradi che abbraccia il mondo: in una giornata serena, lo sguardo spazia, tra l'altro, fino a Corno Nero, Pala Santa, Latemar, Catinaccio, Sciliar, i ghiacciai alpini fino all'Austria e, dall'altra parte dell'Adige, le dolomiti del Brenta.

Il terzo giorno, alla vigilia del mio 53° compleanno e nonostante la vescica sul calcagno destro, aderii all'invito di mia sorella e di un nostro amico d'infanzia, Alberto C., per un'escursione un po' più impegnativa in termini di fatica. Accettai il consiglio di usare i bastoncini, che negli anni passati avevo sempre sdegnato, e dal Gardeccia (1.949) al Vajolet (2.243) fu ordinaria amministrazione. Dopo un cambio di maglietta, proseguimmo fino al Passo Principe (2.600), dove però arrivai qualche minuto dopo di loro e, non intendendo rallentarli ulteriormente, li invitai a proseguire senza di me, ipotizzando di rivederli sulla via del ritorno. Invece, dopo qualche esercizio per i piedi, ripresi coraggio e voglia e ricominciai a salire, con l'intenzione di raggiungere almeno la forcella sovrastante. Arrivatoci, pensai che mi sarei potuto allungare a vedere il passo Antermoia (2.770) e ne valse la pena. A quel punto, m'incamminai verso la cima Scalieret (2.889), senza nemmeno sapere bene il cammino da seguire. A un dato momento incrociai uno skyrunner (quei superatleti o superpazzi che corrono su e giù anche per le vette più impervie) che mi confermò di trovarmi sul percorso giusto. Loro stavano già ridiscendendo, a causa del vento troppo impetuoso, ma si fermarono ad aspettare che anch'io raggiungessi la meta.
Lasciai lì lo zaino e i bastoncini e proseguii camminando in cresta e assaporando il silenzio, o meglio, il canto delle montagne. Il vento si era placato e così rimasi un po' lì, incantato a guardare, ad ascoltare, a sentire, a sentirmi pieno di gratitudine e godimento. Capisco quelli che iniziando a inerpicarsi o addirittura ad arrampicare poi non riescono più a farne a meno, perché quelli sono momenti perfetti, di unicità e completezza, di annullamento e rinascita, di bella essenzialità, come orgasmi dell'anima, insomma.
Sulla via del ritorno, attraversando il ghiaione subito dopo passo Antermoia, provai uno spavento che mi fece sbucciare il ginocchio: tum, tum, tu-tutum, bum tum bubububububum tutum... una gragnuola di pietre che franava dai roccioni incombenti rimbalzando come i proiettili di un film d'azione, io che scartavo di lato per scappare, non capendo quanta roccia eventualmente sarebbe caduta giù. Non è stato niente di grave, per fortuna, ma un piccolo promemoria di quanto sia opportuno ringraziare la montagna ogniqualvolta ci permetta di salirle in groppa.

Il giorno dopo, come ogni 18 luglio ho compiuto gli anni, ma non mi sono sentito vecchio: d'altronde, finché ci si sbuccia le ginocchia, si è bambini, no?

Catinaccio d'Antermoia 17 luglio 2016


a cura di Giulio Pianese

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