Non viene facile rispondere al volo, né trovare le parole giuste per farlo.
Innanzitutto, perché la domanda induce a porsene un'altra: quale "me"? Il "me" di qualche tempo fa, il "me" bambino... quale "me"?
Se invece la si volesse intendere al pari di un finto interrogativo, un'interlocuzione convenzionale, che non è, occorrerebbe mettersi a fare un riassunto, cosa non bella e forse inutile, e comunque: un riassunto a partire da quando?
"Che ne è di te?" bisognerebbe chiederselo di tanto in tanto, per non perdersi, per ritrovarsi, per riacciuffare il filo dei pensieri veri, la scia dei sogni che contano, il luccichio delle visioni d'antichi incanti, tra i cuscini di magiche filastrocche e i sofà delle favole conosciute a memoria, in compagnia d'onnipresenti melodie e d'arte inconsapevole ma bella.
Che ne è di te tra un'amarezza e l'altra non sapresti sempre dirlo, ma tra un amaretto e l'altro ce n'è di dolcezza.
Di te ci sono tracce nel mondo, parecchie e a diversi livelli di vicinanza e di profondità. Di te ci sono residui di memoria, in te e negli altri, fors'anche in oggetti, più o meno eterei. Di te c'è un segnale che ti precede e un nome che ti segue, un giudizio che forse t'attende e un presente impetuoso che tuttavia alle volte stenta a farsi strada tra tutti gli altri tempi.
Vivere alla giornata con leggerezza è stata una benedizione e al contempo un errore, assaggiare il tempo nell'istante in cui concentra ogni dimensione una prelibatezza impagabile, ripensare un futuro malleando il passato, impossibile, ma il busillis è l'impalpabilità di tutto ciò che conta davvero, quel che c'è ma non si sa bene dove, un po' come la musica.
A "Che ne è di te?" forse non saprò rispondere, però ci sono.
Ci sono. Questo posso dirlo.