31 marzo 2013
Ora più ora meno
Ah, ma me la riprenderò l'ora che mi hanno rubato. Me la riprenderò, e senza aspettare il nuovo cambio artificioso. Intanto cammino in strada per catturare i raggi del nuovo sole caldo nell'aria termicamente ancora non convinta. Avvinta dai brillii è la vista, che si sofferma sui colori vivificati dagli squarci di bel tempo e dalla gente di tutte le età che se li gode. Continuo a passeggiare lasciandomi tentare dalle viuzze inesplorate, purché solatie. I sorrisi sono lievi ma fiduciosi, anche perché so che sono in credito di un'ora e che me la riprenderò, oh sì. Magari potrei accettare un rimborso rateale, forse l'accetterò. In effetti, meglio evitare di voler strafare, altrimenti succede come con uno dei vals che preferisco: m'entusiasma, ma quando arriva lo ballo quasi sempre peggio di altri brani. Così è stato anche ieri sera al Maglio (presso lo Spazio MIL di Sesto San Giovanni).
30 marzo 2013
q.b.
Se hai lì un Vinschgerl (o segalino), dei Gewürzgurken (o cetriolini in agrodolce) e del formaggio di San Candido (o Innichen) e tagli un pezzetto di questo, affetti uno di quelli e un po' di quell'altro, ti ritrovi che uno degli alimenti finisce prima e allora vai avanti a tagliare e mangiare e mangiare e tagliare ancora nel tentativo di pareggiare sapori e volumi mentre t'illudi di colmare vuoti che non dipendono dalla fame.
Il fatto è che non la finiresti mai, e non solo con il cibo. Dire "basta" non t'appartiene, è un compito che spetta ad altri o ad altro: le autorità, i medici, l'orologio e gl'impegni presi. La fine tu non la troveresti mai, ma prolungheresti qualsiasi cosa fino a rimanere ultimo. E solo. Solo solo per un po', però, ché prima o poi una lampadina s'accenderà, magari a forma di luna.
Il fatto è che non la finiresti mai, e non solo con il cibo. Dire "basta" non t'appartiene, è un compito che spetta ad altri o ad altro: le autorità, i medici, l'orologio e gl'impegni presi. La fine tu non la troveresti mai, ma prolungheresti qualsiasi cosa fino a rimanere ultimo. E solo. Solo solo per un po', però, ché prima o poi una lampadina s'accenderà, magari a forma di luna.
29 marzo 2013
Pausa pranzo senza pranzo
Si lasciò guidare dalla voglia di non rincorrere e percorse i camminamenti lungo il torrente cittadino, poco a monte della confluenza con il fiume impetuoso dal nome bilingue. L'aria era fredda dopo aver sfiorato il muso semibiancastro delle montagne circostanti, ma non erano poche le persone a passeggio, attente a non invadere la ciclabile nonostante le distrazioni delle fioriture e delle nuove e vecchie architetture. I pezzi della città e della provincia circostante si ricomponevano in un puzzle incessante e mai completo malgrado le lunghe frequentazioni, forse un po' troppo intermittenti. Tra un ponte e l'altro ci fu un lieto inatteso incontro, chiacchiere insaporite con affettuosa levità d'antica data. Tra un altro ponte e l'altro, uno di legno, bello dalla volta in cui il luccichio delle acque richiamò baci dalla luna e li riflesse su un terrazzo in libera nudità. Oltre il ponte, la città coi suoi prati, la città coi suoi mercati, le voci e i rumori ovattati ma pieni di colore, le voci e i rumori assenti ma pieni di ricordi, ma piene di racconti. Le vie e la gente e le vie e i negozi e le vie e i banchi e le vie e i bar e intanto il cuore si gonfiava e gli occhi lambivano golosi ogni scorcio e ogni scorcio s'ingigantiva nel tempo e nello spazio, occupando il respiro, tutto, e il sentire, troppo. Fu allora che si fermò esitante, fu lì che smise di riesplorare, perché sarebbe stato esorbitante il carico di emozioni note e ignote da reggere, perché alla solita fruizione malinconica del vivere si congiungeva un'ipersensibilità da carni risvegliate, da spirito rievocato, un senso del tempo in espansione infinita dentro il torace, come petali nascenti insopportabilmente belli e con una spina per uno. Riacquisì il passo della via del ritorno, tenendo sotto controllo ogni possibile sfasamento cronologico e rimandando ad altro momento l'eventuale successiva suzione di nettare dell'essere. Quasi una negazione di sé e del vivere, ma in quell'istante utile e necessaria. Una sospensione anestetica non gli avrebbe fatto male. E poi, pensò, per consolarsi ci sarebbe comunque stato di lì a poco il ballo, con il suo effetto di lucido stordimento, di sano estraniamento, di vigile presenza, di autentico qui e ora, qualunque cosa fosse successa. Quasi qualunque.
28 marzo 2013
Dire e sentire
La verbalizzazione non è sempre la scelta espressiva più felice, vuoi per l'inadeguatezza del momento, delle parole o del parlante. Ne so qualcosa e potrei riferire milletré occasioni, ma mi limiterò a due recentissimi esempi.
Come forse ho già detto, da qualche mese mi sono messo a disposizione del maestro come cavaliere per le iscritte al primo e al secondo corso di tango. I markettari la definirebbero una situazione win-win, perché è utile sia a pareggiare il numero dei danzanti, sia a farmi ripassare e migliorare.
L'altra sera mi sono goduto il ritrovato buonumore della Paolina al suo approccio alla milonga, i cui ritmi inducono al sorriso, e sono stato contento di guidarla, ma quando alla fine la maestra Anna ha chiesto com'era andata, ho risposto che "ubbidiva bene", attirandomi gli strali delle dame presenti (e, va detto, ilarità e strette di mano da parte dei maschi). Naturalmente intendevo soltanto esprimere un complimento per i progressi della neotanguera, ma la scelta verbale non è stata neutra né favorevole.
Analoga scena poco dopo, quando per il secondo corso ballavo con Martina. A un certo punto eravamo quasi incastrati in un angolo, con una coppia ferma davanti a noi e siamo riusciti a non smettere di ballare nonostante i pochi centimetri a disposizione. In particolare, ero entusiasta di come avevo guidato e controllato i segnali per un ocho atras prolungato e ondeggiante prima di ripartire in camminata. Durante il tango sarebbe buona regola non parlare, però il sentire ha traboccato e ho "dovuto" comunicarle il mio apprezzamento per la sua bravura nel rispondere. Solo che la frase che mi è uscita, e che una volta riferita alla comunità dei presenti ha scatenato reazioni simili e moltiplicate rispetto alla precedente, è stata: "Hai una governabilità fantastica."
(Ok, vado a mettermi il casco)
Come forse ho già detto, da qualche mese mi sono messo a disposizione del maestro come cavaliere per le iscritte al primo e al secondo corso di tango. I markettari la definirebbero una situazione win-win, perché è utile sia a pareggiare il numero dei danzanti, sia a farmi ripassare e migliorare.
L'altra sera mi sono goduto il ritrovato buonumore della Paolina al suo approccio alla milonga, i cui ritmi inducono al sorriso, e sono stato contento di guidarla, ma quando alla fine la maestra Anna ha chiesto com'era andata, ho risposto che "ubbidiva bene", attirandomi gli strali delle dame presenti (e, va detto, ilarità e strette di mano da parte dei maschi). Naturalmente intendevo soltanto esprimere un complimento per i progressi della neotanguera, ma la scelta verbale non è stata neutra né favorevole.
Analoga scena poco dopo, quando per il secondo corso ballavo con Martina. A un certo punto eravamo quasi incastrati in un angolo, con una coppia ferma davanti a noi e siamo riusciti a non smettere di ballare nonostante i pochi centimetri a disposizione. In particolare, ero entusiasta di come avevo guidato e controllato i segnali per un ocho atras prolungato e ondeggiante prima di ripartire in camminata. Durante il tango sarebbe buona regola non parlare, però il sentire ha traboccato e ho "dovuto" comunicarle il mio apprezzamento per la sua bravura nel rispondere. Solo che la frase che mi è uscita, e che una volta riferita alla comunità dei presenti ha scatenato reazioni simili e moltiplicate rispetto alla precedente, è stata: "Hai una governabilità fantastica."
(Ok, vado a mettermi il casco)
27 marzo 2013
Almeno uno su tre
La luna piena c'è ma non si vede; si vede che non è il momento di chiedere regalini, ma di andarseli a prendere.
26 marzo 2013
Darsi una mossa
Nel "prendere e partire", la parte faticosa è prendere, perché in realtà significa preparare, anzi, pensare, predisporre e preparare; comunque, faticare, e se è vero che una volta partiti si viaggia felici, la fase preparatoria ruba tempo ed energie a un fondo già deprivato. Più in generale, per colpa dell'inerzia che si prende il suo momento, "fare" risulta più facile che "incominciare". Hay que ponerse, tocca mettercisi, era la lamentosa scusa di un vecchio amico pigro nello scrivere. Lo capisco, ora, ogni volta che devo espletare un compito minimo ma situato al di fuori dei doveri più importanti o già prefissati. Questione di digerire nuovi oneri, per quanto minuscoli. Questione di trovare un momento per contrastare quello inerziale.
25 marzo 2013
Percorsi figurati
Con un cielo coperto che solo per un senso di decenza o forse d'imbarazzo esita a scaricare neve, ché l'aria sarebbe quella, l'esitazione nel prendere la strada di casa necessita del calore di qualche risata in più e poi ristà al colore di un semaforo presso il quale indugiare inutilmente a contemplare nel paesaggio suburbano il passaggio di un bus interurbano il cui verde ornato di lucine sfreccia al passo cadenzato di una tabella oraria tra fermate deserte o disattese.
La musica in apparenza è quella di una radio qualsiasi, indesiderata, ma l'ascolto vero zampetta oltre, nel tempo e nello spazio, tra ricordi e desideri di note, lontani, e recentissime impressioni corporee ballate e godute passo dopo passo. Musiche da ascoltare e da vivere che in qualche modo già segnano il calendario prossimo venturo, qualunque cosa succeda. Passi pronti a gonfiare vele di soddisfazioni condivise, come una rosa dei venti disegnata sul pavimento di una milonga dal movimento di quattro piedi in sorridente sintonia.
La musica in apparenza è quella di una radio qualsiasi, indesiderata, ma l'ascolto vero zampetta oltre, nel tempo e nello spazio, tra ricordi e desideri di note, lontani, e recentissime impressioni corporee ballate e godute passo dopo passo. Musiche da ascoltare e da vivere che in qualche modo già segnano il calendario prossimo venturo, qualunque cosa succeda. Passi pronti a gonfiare vele di soddisfazioni condivise, come una rosa dei venti disegnata sul pavimento di una milonga dal movimento di quattro piedi in sorridente sintonia.
24 marzo 2013
Risvegli
Sognai di aver sognato e che il tuo sogno fosse lo stesso mio. Risvegliatomi, non seppi subito cosa fosse stato sogno o meno (o più), ma passai ad altro, con minuzioso e semplice piacere.
La pioggia fuori ti fa un baffo e non altera l'umore, che non arrugginisce quando non ti piove più dentro.
La pioggia fuori ti fa un baffo e non altera l'umore, che non arrugginisce quando non ti piove più dentro.
22 marzo 2013
Naviganti
Girare con l'ausilio di un gi-pi-esse con le mappe non aggiornate dà l'idea di come potrebbero essere gli universi paralleli, sfasati giusto un pochino, vicini ma irraggiungibili. A meno di balzarci, ovviamente senza l'assicurazione di poter tornare. Prego imboccare la rotonda, ma senza strozzarla, grazie.
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[bonus musicale dal titolo]
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[bonus musicale dal titolo]
Prima sera di primavera
Ho fatto bene a non caricare in auto le scarpe da tango, perché altrimenti non avrei saputo resistere a concludere la serata in milonga. Non che ci sia niente di male, non sto ancora correndo il rischio di overdose, anzi, però ho necessità di essere riposato e vigile per la lunga giornata di domani.
Per fortuna, comunque, a riempire di bellezza la serata ci aveva già pensato Marco Paolini con il suo spettacolo Il Milione, quaderno veneziano. Anni e anni fa l'avevo visto in TV (dall'Arsenale), ma naturalmente essere lì in platea è tutta un'altra cosa, anche per il senso di irripetibilità che il teatro regala, come sanno fare alcune altre cose belle della vita.
Il testo, rispetto ad allora, è stato appena limato, ma per l'occasione si è aggiunto un piccolo prologo di rapido e divertente attraversamento ciclistico della "macroregione" dalle infinite rotonde.
In scena lui è stato il solito grande affabulatore, con l'efficacia e la pregnanza di un raccontare che sa inscenare un mondo intero, ma alla fine, andandolo a salutare nei camerini, l'ho trovato un po' provato (cosa comprensibile, del resto, considerata l'intensità dei due spettacoli presentati e replicati in queste settimane al Piccolo).
Tra i lunghi applausi finali, oltre a sollecitare un aiuto a Emergency, ha promesso "qualcosa di nuovo". Arrivederci alla prossima produzione, dunque (ma anche rivedere i suoi Album mi piacerebbe molto).
Per fortuna, comunque, a riempire di bellezza la serata ci aveva già pensato Marco Paolini con il suo spettacolo Il Milione, quaderno veneziano. Anni e anni fa l'avevo visto in TV (dall'Arsenale), ma naturalmente essere lì in platea è tutta un'altra cosa, anche per il senso di irripetibilità che il teatro regala, come sanno fare alcune altre cose belle della vita.
Il testo, rispetto ad allora, è stato appena limato, ma per l'occasione si è aggiunto un piccolo prologo di rapido e divertente attraversamento ciclistico della "macroregione" dalle infinite rotonde.
In scena lui è stato il solito grande affabulatore, con l'efficacia e la pregnanza di un raccontare che sa inscenare un mondo intero, ma alla fine, andandolo a salutare nei camerini, l'ho trovato un po' provato (cosa comprensibile, del resto, considerata l'intensità dei due spettacoli presentati e replicati in queste settimane al Piccolo).
Tra i lunghi applausi finali, oltre a sollecitare un aiuto a Emergency, ha promesso "qualcosa di nuovo". Arrivederci alla prossima produzione, dunque (ma anche rivedere i suoi Album mi piacerebbe molto).
21 marzo 2013
Five years
In questo giorno di inizio ufficiale della primavera, Twitter mi ricorda il social-compleanno (5 anni di cicaleccio, invero un po' rarefatto).
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Il titolo rimanda a una canzone e la canzone a un altro post.
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Il titolo rimanda a una canzone e la canzone a un altro post.
19 marzo 2013
La vera festa
La Caju che mi manda un messaggio di auguri, io che la chiamo per metterci d'accordo: oggi non riesco a vederli, i miei figli, ma domani passeremo un po' di tempo insieme e già solo questo mi regala un senso di compimento per la giornata, coronato dal sole scintillante sui rari residui di neve, oggi diciannove marzo di tutti i papà.
18 marzo 2013
Milano verticale
Di Gianni Biondillo non ho ancora letto i libri su architettura e urbanistica, ma ho letto e apprezzato i noir con l'ispettore Ferraro, ambientati a Milano con base a Quarto Oggiaro, dai quali si evince l'amore che questo scrittore porta al capoluogo lombardo. Di amore critico si tratta, ché della città, centro e periferie, non nasconde i difetti e le spiacevolezze, ma pur sempre amore è. Di quelli che ti fanno scoprire gli angoli nascosti, svelandoti perle segrete che magari ti capitavano alla vista, ma non alla consapevolezza. Di quelli, insomma, capaci di farti dismettere lo sguardo tipo mucca-che-guarda-il-treno e accogliere invece, e talvolta abbracciare, scorci di realtà urbana che almeno per un po' ridiventa, come sempre dovrebbe essere, umana.
Sabato mattina ho constatato di persona quanto mi era stato riferito: che Gianni Biondillo, scrittore brillante, è brillantissimo di persona. Grande parlantina efficace e diretta, intelligenza e comunicatività condite di spirito, argomentazioni interessanti e in gran parte condivisibili. Con queste doti ha attirato un numero di persone più ampio del previsto e ci sono state alcune difficoltà organizzative da superare, ma il giro ha avuto luogo, godendo anche del nitore di una giornata fredda ma luminosissima.
Sotto la volta della Stazione Centrale ha introdotto l'argomento, poi con le successive tappe ci ha fatto considerare da vicino, ammirandoli da sotto, il Grattacielo Pirelli, la Torre Breda e la Torre Galfa, esempi del primo vero slancio verticale della città di Milano, avvenuto negli anni Cinquanta sull'onda dello straordinario boom economico dell'epoca. In seguito siamo passati alle costruzioni più recenti: il nuovo palazzo della Regione Lombardia e il complesso cantiere in zona porta Garibaldi-ex Varesine, con la "Unicredit Tower" a svettare incurante su tutto.
Le differenze tra i grattacieli delle due epoche sono sostanziali: quelli furono un esempio imitato da altri (il Pan Am Building si ispirò chiaramente al "Pirellone"), erano inseriti nel contesto urbano (la Torre Breda presenta un avancorpo che si innesta perfettamente nelle linee degli edifici adiacenti: è fatta per stare esattamente a quell'angolo tra via Vittor Pisani e viale Tunisia, e da lì svettare), erano frutto di un pensiero estetico preciso e originale (dal design di Gio Ponti che informa il double-face fronte/fianco del Pirelli, alle linee alla Le Corbusier del lato traforato della Torre Breda o dei disegni ottenuti sulle facciate continue della Torre Galfa grazie ai profili di alluminio delle vetrate), erano legati al territorio esattamente come i loro committenti, famiglie industriali che su quel territorio vivevano.
Le recenti faraoniche realizzazioni, invece, sembrano più che altro frutto di speculazioni politico-finanziarie, in cui ci si para le spalle affidandosi a progetti di grandi studi internazionali che poco o nulla hanno da spartire con l'ambito locale e che producono veri e propri non-luoghi buoni per qualsiasi latitudine o longitudine, spersonalizzati, avulsi dalla realtà cittadina, alla quale non restituiscono un pieno, ma dei vuoti (vedi le loro "piazze", che tutto sono fuorché vive), oltretutto a costi enormi. Nonostante le nuove tecnologie a disposizione, i concetti base non presentano alcunché di veramente innovativo rispetto al pensiero di cinquanta o sessant'anni fa e talvolta si limitano ad appendere un "famolo strano" alla struttura portante (come nel caso del disdicevole "Diamantone").
P.S.: ecco una galleria fotografica di quella mattinata.
Sabato mattina ho constatato di persona quanto mi era stato riferito: che Gianni Biondillo, scrittore brillante, è brillantissimo di persona. Grande parlantina efficace e diretta, intelligenza e comunicatività condite di spirito, argomentazioni interessanti e in gran parte condivisibili. Con queste doti ha attirato un numero di persone più ampio del previsto e ci sono state alcune difficoltà organizzative da superare, ma il giro ha avuto luogo, godendo anche del nitore di una giornata fredda ma luminosissima.
Sotto la volta della Stazione Centrale ha introdotto l'argomento, poi con le successive tappe ci ha fatto considerare da vicino, ammirandoli da sotto, il Grattacielo Pirelli, la Torre Breda e la Torre Galfa, esempi del primo vero slancio verticale della città di Milano, avvenuto negli anni Cinquanta sull'onda dello straordinario boom economico dell'epoca. In seguito siamo passati alle costruzioni più recenti: il nuovo palazzo della Regione Lombardia e il complesso cantiere in zona porta Garibaldi-ex Varesine, con la "Unicredit Tower" a svettare incurante su tutto.
Le differenze tra i grattacieli delle due epoche sono sostanziali: quelli furono un esempio imitato da altri (il Pan Am Building si ispirò chiaramente al "Pirellone"), erano inseriti nel contesto urbano (la Torre Breda presenta un avancorpo che si innesta perfettamente nelle linee degli edifici adiacenti: è fatta per stare esattamente a quell'angolo tra via Vittor Pisani e viale Tunisia, e da lì svettare), erano frutto di un pensiero estetico preciso e originale (dal design di Gio Ponti che informa il double-face fronte/fianco del Pirelli, alle linee alla Le Corbusier del lato traforato della Torre Breda o dei disegni ottenuti sulle facciate continue della Torre Galfa grazie ai profili di alluminio delle vetrate), erano legati al territorio esattamente come i loro committenti, famiglie industriali che su quel territorio vivevano.
Le recenti faraoniche realizzazioni, invece, sembrano più che altro frutto di speculazioni politico-finanziarie, in cui ci si para le spalle affidandosi a progetti di grandi studi internazionali che poco o nulla hanno da spartire con l'ambito locale e che producono veri e propri non-luoghi buoni per qualsiasi latitudine o longitudine, spersonalizzati, avulsi dalla realtà cittadina, alla quale non restituiscono un pieno, ma dei vuoti (vedi le loro "piazze", che tutto sono fuorché vive), oltretutto a costi enormi. Nonostante le nuove tecnologie a disposizione, i concetti base non presentano alcunché di veramente innovativo rispetto al pensiero di cinquanta o sessant'anni fa e talvolta si limitano ad appendere un "famolo strano" alla struttura portante (come nel caso del disdicevole "Diamantone").
P.S.: ecco una galleria fotografica di quella mattinata.
17 marzo 2013
Sebben che siam clarisse
Marta Cuscunà è autrice e attrice del racconto teatrale satirico La semplicità ingannata, ispirato agli scritti della monaca veneziana Arcangela Tarabotti (1604-1652) e alle rivendicazioni delle suore di clausura del Santa Chiara di Udine, che nel Cinquecento giunsero a sfidare l'Inquisizione in piena Controriforma.
Sul palco l'interprete è unica e i personaggi molteplici: il mercato delle donne da sposare e il banditore d'asta, il signor padre e il vescovo, le novizie e la cerimonia dei voti... Dopo di che in scena si animano dei pupazzi, sei clarisse e un inquisitore, che Marta provvede a far dialogare caratterizzandoli sapientemente, usando voci e toni diversi con una rapidità e una sicurezza impressionanti per l'effetto di verosimiglianza che riesce a creare sfruttando il registro umoristico.
Puoi andare ad applaudirla al Teatro Verdi di via Pastrengo, 16 a Milano fino al 24 marzo 2013.
Sul palco l'interprete è unica e i personaggi molteplici: il mercato delle donne da sposare e il banditore d'asta, il signor padre e il vescovo, le novizie e la cerimonia dei voti... Dopo di che in scena si animano dei pupazzi, sei clarisse e un inquisitore, che Marta provvede a far dialogare caratterizzandoli sapientemente, usando voci e toni diversi con una rapidità e una sicurezza impressionanti per l'effetto di verosimiglianza che riesce a creare sfruttando il registro umoristico.
Puoi andare ad applaudirla al Teatro Verdi di via Pastrengo, 16 a Milano fino al 24 marzo 2013.
16 marzo 2013
15 marzo 2013
Are ere ire
L'unico modo di coniugare un verbo affinché non sia sterile è sposarlo a un'azione.
Tipo avere voglia di qualcosa di buono o pensare di far la cosa giusta.
L'orata che mi sono fatto oggi al forno era pescata, non d'allevamento.
Chissà se ballare un altro po' basterà a smaltire la scorpacciata.
Tipo avere voglia di qualcosa di buono o pensare di far la cosa giusta.
L'orata che mi sono fatto oggi al forno era pescata, non d'allevamento.
Chissà se ballare un altro po' basterà a smaltire la scorpacciata.
14 marzo 2013
Jorge, detto Francesco
Ho delle ore di supplenza e probabilmente mi toccherà esprimermi sull'elezione del nuovo papa. Non so ancora se e come affronterò l'argomento: non sono un esperto, non sono un suo seguace e non posso considerarmi credente (per l'educazione ricevuta da piccolo mi verrebbe automatico immaginare una divinità, crescendo mi pare si sia trasfigurata in una sorta di energia universale o scintillante immanenza parcellizzata e distribuita), ma in un modo o nell'altro la questione riguarda tutti quanti, considerando l'importanza della figura pontificale. Comunque, le sensazioni sono contrastanti: il nome scelto e l'approccio ispirano simpatia, benché nutrita di una certa dose di scetticismo, poi però uno legge di "collusioni dell'arcivescovo di Buenos Aires con la dittatura militare" (da un libro di Horacio Verbitsky) e cala un po' di gelo. Discorso a parte riguardo alle posizioni retrive su questioni etiche e sociali: non ci si possono aspettare ribaltamenti improvvisi della dottrina millenaria imposta dal potere degli uomini in gonnella e vari paramenti.
13 marzo 2013
Delle meraviglie
Era un sorriso, quello della luna nelle prime ore della sera. Profumato come una promessa e, nonostante il freddo in lontananza, rassicurante come la luce che ritorna.
A meno che non fosse il ghigno allo specchio d'una lepre marzolina travestita da stregatto, ché in tal caso prenderei cappello e me n'andrei, come un matto a cavallo d'un bruco blu.
A meno che non fosse il ghigno allo specchio d'una lepre marzolina travestita da stregatto, ché in tal caso prenderei cappello e me n'andrei, come un matto a cavallo d'un bruco blu.
Affabulazioni
È uno proprio bravo a raccontare, Marco Paolini. Godibilissimo e interessante, coinvolgente e stimolante sono aggettivi che si attagliano pressoché a ogni suo spettacolo.
Nel caso di ITIS Galileo, la bravura è quella di rendere fruibile un discorso che altrimenti parrebbe confinato all'ambito un po' barboso di programmi scolastici connotati da astrattezza e lontananza. Nella vivace raffigurazione proposta, il pensiero e l'agire dello scienziato si colorano di aspetti quotidiani e concreti, dove la grandezza si mescola alla meschineria, il grande passo per l'umanità a piccole decisive azioni, i nuovi concetti a oggetti innovativi, le intuizioni alla praticità di saperle cogliere e comunicare, la storia alla cronaca, la scoperta al dubbio e di qui, gli illuminanti interrogativi all'oscurantismo della falsa Verità.
Vi ho assistito insieme ai miei figli e alla fine li ho convinti a superare la timidezza per andare a complimentarci con l'attore e coautore dello spettacolo. Nel camerino ho raccontato a Marco Paolini della prima volta che lo sentii: nei primi anni novanta, con un amico stavamo tornando dagli allenamenti e accendendo la radio sentimmo uno che parlava del Vajont. Quasi subito ci azzittimmo per ascoltarlo meglio e una volta arrivati a destinazione rimanemmo lì parcheggiati senza nemmeno accennare a spegnere la radio fino alla fine del racconto. Questo, gli ho detto, è ciò che ho riferito ai miei figli per presentare loro lo spettacolo: andiamo a vedere uno che quando attacca a raccontare, è impossibile staccarsi.
Ci sono vari momenti nella vita che definiremmo imperdibili: in genere coincidono con una miscela tra un senso di pienezza e una sorta di euforia. L'altra sera poco prima dell'inizio, vedendo Lorenzo e Francesca contenti (la Caju addirittura elettrizzata) di essere lì a poche file dal palco, ho indubbiamente provato quelle sensazioni, insieme a un pensiero di gratitudine per chi ci aveva offerto quell'opportunità.
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bonus: precedenti su questo blog.
Nel caso di ITIS Galileo, la bravura è quella di rendere fruibile un discorso che altrimenti parrebbe confinato all'ambito un po' barboso di programmi scolastici connotati da astrattezza e lontananza. Nella vivace raffigurazione proposta, il pensiero e l'agire dello scienziato si colorano di aspetti quotidiani e concreti, dove la grandezza si mescola alla meschineria, il grande passo per l'umanità a piccole decisive azioni, i nuovi concetti a oggetti innovativi, le intuizioni alla praticità di saperle cogliere e comunicare, la storia alla cronaca, la scoperta al dubbio e di qui, gli illuminanti interrogativi all'oscurantismo della falsa Verità.
Vi ho assistito insieme ai miei figli e alla fine li ho convinti a superare la timidezza per andare a complimentarci con l'attore e coautore dello spettacolo. Nel camerino ho raccontato a Marco Paolini della prima volta che lo sentii: nei primi anni novanta, con un amico stavamo tornando dagli allenamenti e accendendo la radio sentimmo uno che parlava del Vajont. Quasi subito ci azzittimmo per ascoltarlo meglio e una volta arrivati a destinazione rimanemmo lì parcheggiati senza nemmeno accennare a spegnere la radio fino alla fine del racconto. Questo, gli ho detto, è ciò che ho riferito ai miei figli per presentare loro lo spettacolo: andiamo a vedere uno che quando attacca a raccontare, è impossibile staccarsi.
Ci sono vari momenti nella vita che definiremmo imperdibili: in genere coincidono con una miscela tra un senso di pienezza e una sorta di euforia. L'altra sera poco prima dell'inizio, vedendo Lorenzo e Francesca contenti (la Caju addirittura elettrizzata) di essere lì a poche file dal palco, ho indubbiamente provato quelle sensazioni, insieme a un pensiero di gratitudine per chi ci aveva offerto quell'opportunità.
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bonus: precedenti su questo blog.
12 marzo 2013
11 marzo 2013
Memoria di stagione
"Uh, il prato a puntini blu!"
Per annunciare la primavera basta un piccolo firmamento di nontiscordardimé.
E uno sguardo che sappia posarvisi.
Per annunciare la primavera basta un piccolo firmamento di nontiscordardimé.
E uno sguardo che sappia posarvisi.
10 marzo 2013
Cose di cose
"Ah, che soddisfazione, farsi il caffè!"
"Bah, 'sagerato..."
"Scherzi? Non capisci cosa vuol dire riuscire ad accendere il fornello giusto, quello piccolino, nuovamente funzionante dopo che la manopola era rimasta incriccata per non so quanto..."
"Ah, va beh."
"...ma soprattutto, farlo con il nuovo accendigas elettronico dopo che il piezoelettrico, come pure, prima di lui, quello a fiamma, aveva tradito e dopo che anche l'accendino di riserva, quello là storico, blu con l'elastico rosso attorno, s'era rifiutato d'emetter fuoco o scintilla."
"Quando le cose decidono di non funzionare, non ci metton niente a mollarti."
"Però sai la cosa strana? Quando son tornato a casa con l'accendigas elettronico nuovo, arancione, bello arancione che porta energia e fortuna, l'accendino, quell'accendino blu con l'elastico rosso attorno, ha ricominciato a funzionare."
"No."
"Sì, e pensa che avevo anche comprato una confezione di quattro accendini di scorta, perché non si sa mai, ma soprattutto perché non voglio rischiare di rimanere senza fuoco."
"Insomma, t'ha beffato. Screanzato."
"Ma no, ma no: m'ha dato un segnale, dicendomi che era ora di trovare una soluzione deeefinitiva, prima del baaaratro."
"Seee, adesso le cose parlano..."
"Non è che parlino, è che se le ascolti ti dicono."
"Ma il caffè l'hai già bevuto con dentro cosa?"
"Insomma: il mondo è quel che è, però se tu lo interpreti come se ti comunicasse sempre qualcosa, probabilmente troverai lo spunto per agire e migliorare la qualità della tua vita."
"Con un accendigas?"
"Sì. Arancione. Arancione come lo scolaposate. Ora mi manca il poggiamestoli dello stesso colore, poi da quel lato lì sono a posto."
"Bah, 'sagerato..."
"Scherzi? Non capisci cosa vuol dire riuscire ad accendere il fornello giusto, quello piccolino, nuovamente funzionante dopo che la manopola era rimasta incriccata per non so quanto..."
"Ah, va beh."
"...ma soprattutto, farlo con il nuovo accendigas elettronico dopo che il piezoelettrico, come pure, prima di lui, quello a fiamma, aveva tradito e dopo che anche l'accendino di riserva, quello là storico, blu con l'elastico rosso attorno, s'era rifiutato d'emetter fuoco o scintilla."
"Quando le cose decidono di non funzionare, non ci metton niente a mollarti."
"Però sai la cosa strana? Quando son tornato a casa con l'accendigas elettronico nuovo, arancione, bello arancione che porta energia e fortuna, l'accendino, quell'accendino blu con l'elastico rosso attorno, ha ricominciato a funzionare."
"No."
"Sì, e pensa che avevo anche comprato una confezione di quattro accendini di scorta, perché non si sa mai, ma soprattutto perché non voglio rischiare di rimanere senza fuoco."
"Insomma, t'ha beffato. Screanzato."
"Ma no, ma no: m'ha dato un segnale, dicendomi che era ora di trovare una soluzione deeefinitiva, prima del baaaratro."
"Seee, adesso le cose parlano..."
"Non è che parlino, è che se le ascolti ti dicono."
"Ma il caffè l'hai già bevuto con dentro cosa?"
"Insomma: il mondo è quel che è, però se tu lo interpreti come se ti comunicasse sempre qualcosa, probabilmente troverai lo spunto per agire e migliorare la qualità della tua vita."
"Con un accendigas?"
"Sì. Arancione. Arancione come lo scolaposate. Ora mi manca il poggiamestoli dello stesso colore, poi da quel lato lì sono a posto."
09 marzo 2013
Un cielo a sipario
Non conosco abbastanza nomi di colori per descrivere accuratamente il cielo ora, coperto, però posso assicurare che è un nuvoloso vivo, ricco di sfumature cromatiche e pieno di forme scolpite dalla luce retrostante, a ricordare che anche dietro le nuvole splende sempre.
Certo le cromie sono attenuate, con pennellate quasi tono su tono, ma le sfumature virano dall'avorio metallizzato al grigioviola azzurrato, scurendo dove inspirano il ricordo della recente pioggia o di quella che verrà. Anche l'aria respira e aspirando all'approvazione si lascia inalare docile e fresca.
Un cielo a sipario in attesa della sera, che inizierà a teatro insieme ai miei cuccioli cresciuti: assisteremo a ITIS Galileo di Marco Paolini.
Certo le cromie sono attenuate, con pennellate quasi tono su tono, ma le sfumature virano dall'avorio metallizzato al grigioviola azzurrato, scurendo dove inspirano il ricordo della recente pioggia o di quella che verrà. Anche l'aria respira e aspirando all'approvazione si lascia inalare docile e fresca.
Un cielo a sipario in attesa della sera, che inizierà a teatro insieme ai miei cuccioli cresciuti: assisteremo a ITIS Galileo di Marco Paolini.
08 marzo 2013
Con il nastro rosa
Stamane ho indossato un nastrino rosa e mi sono presentato così in classe, contando di suscitare qualche domanda. Così è stato e ho approfittato del breve intervallo di attenzione per ricordare ai ragazzi che la giornata della donna (giornata, non festa) non è una banalità, giacché le donne subiscono ancora molte discriminazioni. Tanto per fare un esempio, ho sottolineato il fatto che nel nostro Paese le donne abbiano votato per la prima volta nel secondo dopoguerra (il suffragio universale in Italia fu riconosciuto solo nel 1945 con un decreto e poi sancito dalla Costituzione promulgata nel 1947).
A tal proposito, dai un'occhiata alla mappa interattiva pubblicata dal Guardian, con le informazioni sui diritti delle donne nel mondo. Spostando il pallino giallo lungo la barra si può vedere in quale anno hanno ottenuto il diritto di voto nei vari paesi. Cliccando sui singoli paesi si ottengono ulteriori dati: disoccupazione maschile e femminile, presenza in ruoli parlamentari e ministeriali, casi di morte per parto nel 1990 e nel 2008, assistenza di personale qualificato durante il parto, uso della contraccezione. [grazie a Raffaella Capellaro per la segnalazione]
Quel nastrino era lo stesso di ieri sera, quando ho partecipato alla Milonga solidale in rosa presso lo Spazio A, organizzata a favore dell'associazione Spazio Prevenzione. Avevano chiesto di esibire un accessorio rosa ed essendone sprovvisto, fino al penultimo minuto temevo di dovermi incollare sulla spalla l'unico oggetto rosa che avevo in casa, un maialino in gomma che grugnisce quando lo schiacci. Invece ho rimediato col nastro, anche se non ho capito bene se facesse di me un regalo come cantava Lou Reed (I'm just a gift to the women of this world) o uno scemo c' 'a nocca, ovverossia un fesso fatto e finito (in napoletano, letteralmente: "scemo col nastro"). Sono certo che i pareri sarebbero contrastanti, comunque ho ballato un po' di tande e mi son divertito.
A tal proposito, dai un'occhiata alla mappa interattiva pubblicata dal Guardian, con le informazioni sui diritti delle donne nel mondo. Spostando il pallino giallo lungo la barra si può vedere in quale anno hanno ottenuto il diritto di voto nei vari paesi. Cliccando sui singoli paesi si ottengono ulteriori dati: disoccupazione maschile e femminile, presenza in ruoli parlamentari e ministeriali, casi di morte per parto nel 1990 e nel 2008, assistenza di personale qualificato durante il parto, uso della contraccezione. [grazie a Raffaella Capellaro per la segnalazione]
Quel nastrino era lo stesso di ieri sera, quando ho partecipato alla Milonga solidale in rosa presso lo Spazio A, organizzata a favore dell'associazione Spazio Prevenzione. Avevano chiesto di esibire un accessorio rosa ed essendone sprovvisto, fino al penultimo minuto temevo di dovermi incollare sulla spalla l'unico oggetto rosa che avevo in casa, un maialino in gomma che grugnisce quando lo schiacci. Invece ho rimediato col nastro, anche se non ho capito bene se facesse di me un regalo come cantava Lou Reed (I'm just a gift to the women of this world) o uno scemo c' 'a nocca, ovverossia un fesso fatto e finito (in napoletano, letteralmente: "scemo col nastro"). Sono certo che i pareri sarebbero contrastanti, comunque ho ballato un po' di tande e mi son divertito.
07 marzo 2013
'Notte
Voglia di musica che culli al buio finché palpebre non calino, voglia di nulla e sonno e veglia finché gli occhi non si abituano, voglia di sonno ancora e nuovo finché notte non biancheggi, voglia di freddo e caldo e bene nel tepore degli abbracci.
05 marzo 2013
Un piccolo passo avanti
Arrivati a un certo punto, un micromiglioramento esalta quanto quelli che in precedenza erano sembrati rimarchevoli progressi. Il "certo punto" è quello di un livello successivo del cerchio spiraliforme che si sta percorrendo. Ho l'impressione che ciò valga per qualsiasi tipo di evoluzione personale, ma confesso che mi è venuto in mente grazie al tango e a una correzione che il maestro mi ha suggerito riguardo all'esecuzione del giro a sinistra. Sbagliavo a direzionare lo sguardo compiendo il primo passo. Il fatto è che lo sguardo porta con sé la testa, che a sua volta influisce sulla posizione e l'apertura delle spalle e dunque sul segnale del busto, che nello stile milonguero è imprescindibile. Tra parentesi, l'espressione "lo sguardo porta con sé la testa" mi fa pensare – tanto quanto le altre implicazioni, considerate da un punto di vista più ampio rispetto alla specifica disciplina. Come spesso accade, tango e vita sono intrecciati: sarà perché vivere comporta innanzitutto la necessità e la voglia di essere in ballo.
04 marzo 2013
La sua voce era la vita stessa
Di Miriam Makeba, oggi sarebbe stato il compleanno. "Your voice is life itself" le dissi dopo un suo concerto a Milano, e lei mi baciò. Era già bisnonna, con una nipote dalla voce magica a sua volta.
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Come bonus musicale, brani come Soweto Blues o Pata Pata sono successi immortali che non mi stuferei mai di ascoltare, ma ora voglio farti sentire Oxgam, una "click song" (se vuoi, puoi ascoltare anche una spiegazione dell'artista prima dell'esecuzione di Qongqothwane).
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Come bonus musicale, brani come Soweto Blues o Pata Pata sono successi immortali che non mi stuferei mai di ascoltare, ma ora voglio farti sentire Oxgam, una "click song" (se vuoi, puoi ascoltare anche una spiegazione dell'artista prima dell'esecuzione di Qongqothwane).
03 marzo 2013
La purezza del mondo
Si fa sempre qualcosa "invece di" qualcos'altro, perché il tempo a disposizione è quello che è e dunque s'impone continuamente la necessità di scegliere. Tuttavia, ogni volta che si riesce a dimenticare quell'invece di, rimanendo concentrati su quel che c'è anziché su quel che manca, aumentano in misura enorme le probabilità di essere felici. Un esempio facile facile che sarebbe utile seguire è quello dei bambini che giocano, tutti presi dal presente e dimentichi, nella loro purezza, del mondo che mondo non è.
02 marzo 2013
Chilometri di scartoffie
Le quisquilie non contano nella vita, d'accordo, però ci sono piccoli nodi che se affrontati e sciolti fanno sentire meglio, come se davvero si trattasse di prove karmiche da superare.
Per me spesso si concretizzano in questioni burocratico-amministrative, che trovo insopportabili e dispersive, ma che effettivamente vanno risolte per potersi poi godere con respiro più rilassato i momenti gradevoli svincolati da tali incombenze.
Così provvederò a inoltrare ricorso per la multa stradale ricevuta, dato che il limite di velocità nel tratto comprendente il km 133+354 della SS 35 o dei Giovi, ovvero della superstrada Milano-Meda in direzione Milano, non è di 80, ma di 100 km/h e io, secondo la rilevazione fotografica, procedevo a 95 km/h. Però che palle.
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P.S.: ho riletto il verbale e la data dell'infrazione è antecedente al ripristino di quei limiti di velocità, dunque niente ricorso e fuori gli sghèi. Anzi, i dané.
Per me spesso si concretizzano in questioni burocratico-amministrative, che trovo insopportabili e dispersive, ma che effettivamente vanno risolte per potersi poi godere con respiro più rilassato i momenti gradevoli svincolati da tali incombenze.
Così provvederò a inoltrare ricorso per la multa stradale ricevuta, dato che il limite di velocità nel tratto comprendente il km 133+354 della SS 35 o dei Giovi, ovvero della superstrada Milano-Meda in direzione Milano, non è di 80, ma di 100 km/h e io, secondo la rilevazione fotografica, procedevo a 95 km/h. Però che palle.
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P.S.: ho riletto il verbale e la data dell'infrazione è antecedente al ripristino di quei limiti di velocità, dunque niente ricorso e fuori gli sghèi. Anzi, i dané.
01 marzo 2013
Calendario
La giornata che s'allunga lo fa ormai alla luce del sole. D'altronde s'è in marzo, non le occorre più incunearsi subdolamente a rischiarare poco a poco e sempre più le ore preserali come stava facendo da settimane. Anzi, di qui a un paio di decadi, equinozio alla mano, quell'elargizione diverrà un obbligo e le pretese del calendario vieppiù incalzanti cancelleranno ogni forma di riconoscenza per i minuti extra pazientemente strappati all'oscurità.
Come il fiore cancella il ricordo della gemma, il fiume quello del ruscello, una relazione avviata quello dei primi incerti palpiti, così l'urlo della nuova bellezza sbocciata assorderà l'ascolto degli esitanti esordi e della loro magia. A meno che un singolo raggio filtrato all'improvviso dalle coltri non ne richiami la memoria, pennellando in aria un grato sorriso rivolto al fiore che era bocciolo e al frutto che forse sarà.
Come il fiore cancella il ricordo della gemma, il fiume quello del ruscello, una relazione avviata quello dei primi incerti palpiti, così l'urlo della nuova bellezza sbocciata assorderà l'ascolto degli esitanti esordi e della loro magia. A meno che un singolo raggio filtrato all'improvviso dalle coltri non ne richiami la memoria, pennellando in aria un grato sorriso rivolto al fiore che era bocciolo e al frutto che forse sarà.
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