29 giugno 2018

Where we belong

L'inizio e la fine, le partenze e i ritorni, gli addii e i nuovi saluti: tutto questo, condito da una dolce malinconia, c'è nella canzone che fu l'ultimo singolo dei R.E.M., come un sogno fatto nell'omonima fase del sonno, poco prima del risveglio decisivo.

S'intitola We All Go Back to Where We Belong, "Torniamo tutti dove ci sentiamo a casa" (a scuola si insegna sempre la formula "belong to" = appartenere, ma il verbo "belong" significa innanzitutto "sentirsi a proprio agio", "essere nel posto giusto"; che poi, volendo, è una sorta di appartenenza).

Ritorni e passi all'indietro ne ho fatti tanti in vita mia: non nel senso dell'arretramento, semmai del recupero, quasi una piccola ricerca (del tempo perduto) per ritrovare e ritrovarsi. Negli ultimi due mesi, però, due volte in particolare mi è risuonata questa frase, proprio musicalmente, così com'è cantata: per i miei genitori. Quel giorno in cui ho mollato per qualche ora le scadenze incombenti e sono corso a far gli auguri alla mamma per l'omonima festa, pur sapendo che l'unico modo per farsela contare valida sarebbe stato fermarsi a pranzo. Quella sera in cui mi sono imposto perché festeggiassimo il compleanno di papà il giorno giusto, il sei di giugno, a costo di avere una tavolata incompleta: eravamo meno di una decina, ma lui è stato contento.

A breve li accompagnerò in montagna e mi fermerò con loro: una sorta di ribaltamento dei ruoli, se penso che ci fu un tempo in cui il 29 giugno (SS. Pietro e Paolo, all'epoca giorno festivo) era la data canonica per l'epopea delle partenze vacanziere familiari.
Per l'ennesima volta, la meta sarà Castello di Fiemme, uno dei luoghi che possiamo chiamare "casa". Confido che il senso di appartenenza nutra adeguatamente in me la necessaria pazienza.

Intanto, godiamoci la canzone:

16 giugno 2018

All You Need Is Pop

Alla festa di Radio Popolare ci sono andato ieri sera per un paio di motivi, anzi qualcuno in più: per ascoltare il recital di Lella Costa (che ricordavo spiritosa e intelligente, ma che ho trovato bravissima sul palco, ancora meglio rispetto ai ricordi del passato), per bere la birra artigianale, per mangiare alle bancarelle del cibo da strada di qualità, per passare una serata in un parco, per fare un po' di chiacchiere, per sostenere la mia radio, alla quale sono abbonato da almeno un paio di decenni.
Abbonarsi significa sostenere l'informazione indipendente, merce rarissima, quasi quanto il giornalismo vero. Per abbonarsi bastano 90 euro all'anno (pochi centesimi al giorno).
"All You Need Is Pop" continua oggi (sabato) e domani (domenica).

05 giugno 2018

Ciculabet

Ho scoperto che questa parola, poesia della semplicità infantile, evocatrice di colori a macchie rosse sul ciglio delle strade o in mezzo ai campi, viene compresa in un'area ben più limitata di quel che pensavo.
Ho verificato che se dico "ciculabèt" a Milano, non mi capiscono nemmeno le persone che conservano una buona pratica dialettale. Questo perché solo in brianzolo (o quantomeno, in dialetto seregnese) si dice così "papavero" o "papaveri".
Non so a quali fonti attinga l'etimo, foriero di tanta affascinante stranezza, ma so che in me, outsider linguistico nella fanciullezza in Brianza, quale figlio di un napoletano e di una romagnola, il suono e il seme di questo lemma avevano attecchito ben bene, raggiungendo il livello di naturalezza degli assiomi.
Quand'ero piccolo, parecchi ragazzi appena più grandi di età usavano ancora il dialetto in famiglia e con gli amici e le mie orecchie, già bilingui in ambito domestico, si arricchivano d'altro idioma. Le scoperte si ampliavano poi d'estate, in Trentino, dove da bambini passavamo intere giornate con i coetanei valligiani molto più che con altri villeggianti.
Oggi permangono alcuni vivaci ricordi, rarefatti ma sgargianti, un po' come delle macchie rosse in un campo, eleganti e attraenti nella loro ammiccante immediatezza.

03 giugno 2018

In balia della malia

Tutt'e due con l'accento sulla i, beninteso. Così ci si sente ad ascoltare la voce di Marisol Martinez da Buenos Aires.
Posso ben dirlo, avendola sentita ad aprile con l'orchestra argentina del momento, la Romantica Milonguera, a maggio in duo con il bravo pianista Jean Filoramo (che avevo già sentito accompagnare il grande bandoneonista Osvaldo Barrios), e ieri sera con l'orchestra Solo Tango, formazione russa di livello mondiale e apprezzata anche in Argentina. Giustamente apprezzata, direi, perché in quattro esprimono e trasmettono un'energia essenziale e avvolgente con interpretazioni impeccabili e passionali al tempo stesso.
Marisol Martinez è indubbiamente bella, ma il fascino della sua voce è anche superiore alla sua avvenenza. Riesce a toccare corde profonde, attingendo direttamente al dire e al sentire proprio del tango tradizionale. Quando canta, viene contemporaneamente voglia di restare fermi ad ascoltare e di mettersi a ballare. La contraddizione viene risolta dal suo invito a riempire la pista di abbracci. Perché un suo invito non si può certo declinare, trovandosi in balia della sua malia.

02 giugno 2018

Cosa di tutti

Cercare di non farsi livellare verso il basso è un dovere verso sé stessi e un beneficio per tutti. Non dico sia facile riuscirci regolarmente, ma già pensarci ogni tanto può portare qualche frutto.
Che oggi sia la festa della Repubblica non deve indurci allo sconforto per il contrasto tra gli ideali del documento che la costituì e le ignobili bassezze di intrallazzatori e incapaci.
Pensiamo piuttosto al fatto che quel due giugno del quarantasei, oltre al referendum che sancì la scelta repubblicana, rendendoci cittadini anziché sudditi, fu anche la prima occasione in cui le donne ebbero l'opportunità di votare e di essere votate in elezioni politiche (nelle amministrative era già successo pochi mesi prima, nel marzo 1946). Inoltre, fu eletta l'Assemblea Costituente, che si occupò di redigere la nuova Costituzione della Repubblica Italiana.
La Repubblica non è cosa di altri: qualunque cosa le facciamo, la stiamo facendo anche a noi stessi.

01 giugno 2018

Comfort zone

Il presente, l'immediato, l'istante, il bambino che in te pretende, subito: un'indulgenza a pranzo, un'ulteriore leccornia in un'ottima gelateria, un giretto in bici con puntatina in biblioteca.
La capacità di gustarlo, quel presente, col giovinetto che in te scalpita gioioso, tuttora e nonostante: le chiacchiere in compagnie variabili, il compiacimento di assaporare golose combinazioni, il fresco arioso sulla pelle, la disponibilità a invertire la pedalata per dispensare viva cordialità, e la propensione a sorridere al mondo anche così com'è.
La prospettiva e le aspettative, la preoccupazione di procurarsi la quasi certezza del futuro piacere, in grado di contrastare l'ansia e di darti la forza di rimandarlo: nel ballo, nella lettura, nelle visioni, fors'anche nel resto.
Un futuro incerto, ma che non sia senza presente.


a cura di Giulio Pianese

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