29 giugno 2017

Il pezzo

Ero lì in auto, mi accingevo a valicare il cavalcavia di Sesto quando ho avuto un'epifania euforizzante: dalla radio (Lifegate, in quel frangente) era partita poco prima Somebody to Love dei Jefferson Airplane, canzone che ascolto dalla fine degli anni settanta, quando acquistai il vinile del 1967 da cui è tratta, ossia Surrealistic Pillow, con tutta la band in posa sulla copertina rosa.

Il cielo era minaccioso, tanto da rievocare certe scene di A Serious Man, film dei fratelli Coen in cui proprio di questa canzone, che fa parte della colonna sonora, viene citato il testo da un rabbino come perla di saggezza ammannita a un ragazzino da redarguire.

Ebbene, mentre percorrevo in su e poi in giù quel cavalcavia, dopo essere stato catturato e trascinato dalle miscele vocali, con la vigoria di Grace Slick e il calore di Marty Balin, mi sono lasciato elettrizzare dagli intrecci strumentali, con la potenza del basso di Jack Casady, le irresistibili acidità della chitarra di Jorma Kaukonen e il sovrapporsi di tutti quanti, un proliferare di livelli d'ascolto che nel giro di tre minuti tre ti danno e ti tolgono tutto.

Lì mi sono detto: questo è IL pezzo. Ce ne sono tanti che mi emozionano e mi accompagnano da sempre, ce ne sono diversi che mi prendono totalmente, alcuni che ho addirittura sigillato come preferenze assolute, ma in quel momento, con forza, ho percepito e sentito così.

Subito m'è venuta voglia di scriverlo, ma non potevo fermarmi (ero di pronto soccorso tanguero, chiamato a far da cavaliere d'emergenza per una lezione cui partecipava anche mia figlia) e allora mi sono detto, e l'ho fatto: chiamo la Mi e glielo dico. Per fortuna m'ha risposto e così ho potuto condividere la sensazione, raddoppiando istantaneamente il piacere (e il sorriso, con questa romagnola che non vedo da quasi dodici anni).

--
Signori e Signore: Jefferson Airplane, Somebody to Love

21 giugno 2017

Un pezzo

È arrivata oggi l'estate, eppure ne ho già vissuto un pezzo.

M'è successo qualche giorno fa, quando stavo estasiato in acque trasparenti e cilestrine, trasparenti e turchesi, trasparenti e blu, acque salate assolate, acque avvolgenti e beanti, le stesse che accarezzavano la spiaggia dove avevo lasciato maglietta costume e asciugamano, il cappellino da legionario e gli occhiali scuri nella loro custodia rossa, prima di avviarmi nudo verso l'iniziale contrasto termico che presto si sarebbe mutato in soave totalizzante carezza.

A Koufonissi pochi giorni ma intensi, ai quali ancora mi sento appeso, sebbene le circostanze m'abbiano obbligato a un rientro scandito da necessità incalzanti da incastrare tra gli impegni che già popolavano l'agenda. Preda della burocrazia per essere stato un sans papiers per via della destrezza di una mano disonesta calata nel mio marsupio il primo giorno di vacanza, nella calca sulla linea rossa della metropolitana, tra Syntagma e Panepistimio.
Per questo, dopo le vicissitudini tra la polizia turistica greca, i servizi consolari dell'Ambasciata italiana ad Atene e il recupero di lì a qualche giorno del documento provvisorio di viaggio (ETD) in quel di Paros, ho bussato qui da noi all'ufficio anagrafe e alla Polizia per ottenere, intanto, i certificati sostitutivi per poter esistere e guidare e mi sono procurato un cellulare, in attesa di una nuova carta di credito e della tessera sanitaria. Sì, perché ovviamente mi sono fatto rubare tutto il possibile.

Per fortuna c'era Martina ad aiutarmi e, la sera stessa, il tango a rapirmi: siamo andati in milonga nel quartiere di Psirri, raggiungibile a piedi dal nostro albergo, ed è stato davvero rinfrancante. Vaggelis Hatzopoulos, gentile quanto bravo, ci ha accolti molto cordialmente e ci siamo trovati subito benissimo per l'atmosfera, la musica, le persone e il pavimento perfetto. Il ballo, oltre che divertimento, si è confermato lingua franca, stendendo ponti comunicativi a ogni nuovo abbraccio, con in più l'effetto dei gol in trasferta nelle coppe europee.
Il tutto è stato una bella sorpresa, acuita dal contrasto con alcuni stradoni del centro (zona Omonia), abbandonati al degrado edilizio, sociale e anche economico, a giudicare dalla quantità di saracinesche serrate per sempre, o più probabilmente fino al momento in cui gli speculatori decideranno che i prezzi degli immobili si saranno abbassati a sufficienza per acquistare e mettersi a "riqualificare".
Quella sera, comunque, godemmo di una cenetta a Exarchia, quartiere vivacizzato da un sit-in studentesco, oltre che dai numerosi localini e ristoranti, prima di spostarci ad Agatharchou 15 per andare a ballare alla milonga El cabecéo che si tiene ogni giovedì (musica tradizionale, stile milonguero, età media un po' più bassa che da noi, parecchi tangueri e tanguere di ottimo livello).

03 giugno 2017

Piove col sole

Piove col sole. M'affaccio: una pioggerella allegra, rumorosa a intermittenza, rada e circoscritta. Dal cortile promana lo stesso odore che, in altro cortile, sentivo da piccolo. A pensarci, è lo stesso odore che sale sempre dall'asfalto in queste occasioni.
Piove col sole: tempo d'arcobaleni. Iridescente il futuro lo so immaginare, come la maglia dei ciclisti campioni del mondo dentro le biglie di plastica che facevamo rotolare sulla sabbia, prima al mare e poi in montagna, con tutti i bambini del luogo, noi unici villeggianti a comunicare nel dialetto locale.
Piove col sole. Smette e ricomincia, come un solletico al terreno riarso, come a stuzzicare le piante e i giardini qua sotto, che ora s'agitano al venticello reclamando, forse, più acqua. Il clima è di quando la brezza che t'agita la maglietta risulta carezzevole come uno sgrisolo.
Piove col sole: di certo non potrà durare fino a sera inoltrata. O nubi, o stelle, o tutt'e due.

--
bonus d'obbligo: Creedence Clearwater Revival, Have You Ever Seen The Rain


a cura di Giulio Pianese

scrivimi