30 agosto 2016

C'è più gentilezza che cattiveria

Per esempio: mi hanno rubato il sellino della bici, un sellino da poco conto di una bici vecchiotta, recuperata da una cantina. Non so quanto possano ricavarci, credo zero, ma so che per me è stata una scocciatura (e l'ho declamato ad alta voce con vari e coloriti improperî) tornare dai miei giretti minivacanzieri e trovare il "canotto" nudo, quasi un dito medio alzato in risposta alla voglia di farsi una modesta ma allegra pedalata.

Ebbene: mentre mi accingevo a raggiungere il ciclista che ha aperto qui vicino, in via Giordano Bruno (l'avevo notato con riconoscenza, perché i ripara-bici sono sempre più rari), un condomino mi ha visto e mi ha detto di seguirlo in garage per sistemare la bicicletta. Detto fatto, mi ha regalato un sellino quasi nuovo, me l'ha montato e in più mi ha risistemato un parafango e le luci.
Son cose, cose che contribuiscono a giustificare l'anda da cuorcontento che spesso, qualche volta anche a sproposito, m'accompagna.

23 agosto 2016

Venezia è avvenente

I passi sono nelle gambe, che insaziabili ne richiedono altri e altri ancora. Dev'essere la conseguenza delle decine di migliaia compiuti andando per calli e campi e fondamente e sotoporteghi e ponti e salizade, mai sazi di bellezza casuale e imprevista.
Non avevo ancora letto Venezia è un pesce di Tiziano Scarpa, l'ho fatto solo al ritorno, ma l'istinto di girare a caso, perdendosi per ritrovarsi e solo di tanto in tanto consultare la cartina per capire dove si fosse capitati, quello è venuto da sé fin da subito, a Venezia.

Tra quelle che si posson dire, almeno due le cose fatte per la prima volta* a Venezia, entrambe nella prima giornata: il bagno al Lido e il tango in campo san Tomà. Non vedevo l'ora di provare a mischiare le due magie, musica e luogo, ed è valsa la pena farlo su quel selciato, cinto per l'occasione da lumini accesi. L'impianto era stato prestato dal gentilissimo gestore del Basegò, in cui ci siamo poi rifocillati con sfiziosi cicchetti e buon vino, apprezzando anche le competenti chiacchiere di chi ama far bene il proprio mestiere.

La musica che non m'è piaciuta, invece, è stata generalmente quella proposta dai musicisti di strada, troppo spesso noiosi o pessimi, a parte una cantante non potente ma espressiva in campo san Barnaba una sera. I suoni e i rumori, invece, facevano parte dell'incanto complessivo o lo co-generavano (spesso cercavo assonanze con le onomatopee di Marco Paolini nel suo Milione, visto anche a teatro tre anni fa).

Tra i sapori più deliziosi della minivacanza, le sarde in saor alla taverna San Trovaso e i tramezzini del bar Toletta, dove lo spritz al campari è stata una "tonada" almeno pari a quella di due giorni prima, in piazza Frutti a Padova. A proposito di Padova, anche lì era stato bello camminare più o meno per tutto il centro storico, fermandosi poi a cena al Bacaro Padovano, in zona ghetto (grazie alla dritta di ranafatata).

Andare a piedi, a lungo, è indubbiamente il modo migliore per farsi imbibire dai colorati aromi di un'atmosfera cittadina. Lasciare che le suole e gli occhi si posino anche sul non prescritto, scegliere mete ondivaghe e variabili, prediligere deviazioni e digressioni, rimodellare lo spaziotempo sull'estro dell'istante, divengono nel contempo fine e mezzo: strumenti di conoscenza diversa, obiettivi di godimento immediato.

I mezzi di trasporto che ci siamo concessi sono stati solo il vaporetto per il Lido il primo giorno e in ultimo quello dalla Salute alla Stazione ferroviaria per congedarci dal Canal Grande, inframmezzati da una gondola-traghetto all'altezza di Santa Maria del Giglio, breve ma intensa emozione che per soli due euro ci ha per una volta abbreviato il tragitto verso il nostro sestiere.

Quel che non abbiamo fatto è stato sottostare al martirio delle code, preferendo una volta tanto riunciare alle visite più clamorose, e scattare foto: credo sia una specie di record trascorrere a Venezia due notti e tre giorni tralasciando di immortalare in pixel o su pellicola almeno qualche esempio delle centinaia e centinaia di inquadrature che lo sguardo afferrava e tentava di ritenere.

Le menzioni da concedere sarebbero innumerevoli, ma un paio le voglio attribuire: le gentilezze ricevute, tra cui quelle che hanno permesso di scoprire qualche curiosità ascosa (per esempio, San Nicolò dei Mendicoli, grazie a un signore reduce dal supermercato in luogo semideserto, o le prospettive su tela del soffitto di San Pantalon, grazie a uno dei custodi) e il gelato alla crema veneziana gustatissimo al Fontego delle Dolcezze di campo Santa Margarita.

Ricevere come regalo posticipato di compleanno un viaggio è cosa bellissima. Anche perché, a differenza di un oggetto, che si può perdere o rompere, un'esperienza non te la potrà portare via nessuno (Alzheimer a parte, ovviamente). Rigrazie :-)**

Potessi scegliere, tornandoci farei base un'altra volta nel sestiere di Dorsoduro, che è anche quello in cui prima di ripartire ho incontrato per ben due volte la Marghe, fiore meravigliosamente cresciuto da una Sphera.
E poi, potendo, risponderei al richiamo della Giudecca, idea che accarezzavo soprattutto dalle Zattere.

Una bella cartolina ha solo due dimensioni, ma se ci entri diventano quattro, elevate ai cinque sensi (o sei, o sette, a seconda). Ed è allora che t'illude di lasciarsi divorare, mentre ti nutre d'insaziabilità.


* ennesime risposte alla domanda frequente Quand'è l'ultima volta che hai fatto una cosa per la prima volta?

16 agosto 2016

Solchi dorati

"Pronto"
"Ciao"
"Ciao!"
"Allora, che desiderio hai espresso?"
"Veramente non ho nemmeno fatto in tempo..."
"Ah ah ah"
"... però quando quella luce ha solcato il cielo, in un certo senso il desiderio era già compreso: in quel momento mi stavo beando, ero tutto lì. Sai quando senti di non aver bisogno di niente da tanto che te la godi?"
"Sì, sì, bellissimo. Quando basta che entri aria dalle narici"
"Ecco, era come se fossi incluso nel tutto, una sorta di serena euforia, di presenza e completezza. La sensazione che bastasse esserci, che mi bastasse essere."

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Riuscitissima la milonga de Las Estrellas organizzata da Tango23 di Bolzano presso le Distillerie Roner di Termeno; per me ancora di più, grazie alle mie amiche per l'affettuosa accoglienza ricevuta, a loro e alle altre tanguere per le piacevoli tande, agli amici e alle nuove conoscenze per la gradevolezza della serata.

Rientrando in val di Fiemme a notte fonda, sulla statale 48 a un certo punto ho accostato in una rientranza sicura, ho spento i fari e, sceso dall'auto, mi sono goduto una stellata sontuosa, un pieno di emozioni corredato dal passaggio di una stella cadente.
Meraviglia delle meraviglie!

05 agosto 2016

Il mio Trentino

Ieri sera, dopo qualche partita intergenerazionale a briscola, una breve passeggiata in cui quasi ogni passo ripercorreva le orme di ricordi ripetuti su e giù per le viuzze del paesino, Castello di Fiemme, quindi la buonanotte con il proposito di un giretto a piedi oggi. Oggi, però, piove, parecchio, quindi le escursioni montane sono procrastinate, si spera solo di ventiquattr'ore.

La voglia è quella di replicare e moltiplicare i bei giri di luglio, quando qui in val di Fiemme ero salito per festeggiare il compleanno di mia mamma e il mio.

Il primo giorno salimmo in zona Pale di san Martino: ascesa rapida al Castellazzo con mia sorella mentre i genitori ultraottantenni ci aspettavano alla Baita Segantini, dov'erano saliti con la navetta. Per rientrare al Rolle, però, fecero metà strada a piedi (mia mamma addirittura dal sentiero).

Il pranzo di compleanno della mamma lo prenotammo al passo Lavazè, dalla Maria. Prima però andammo agli Oclini, dove io e mia sorella Teresa facemmo una toccata e fuga sulla cima del Corno Bianco, che offre il miglior rapporto qualità/prezzo, per così dire, considerando che una cinquantina di minuti di fatica vengono ripagati da un panorama a 360 gradi che abbraccia il mondo: in una giornata serena, lo sguardo spazia, tra l'altro, fino a Corno Nero, Pala Santa, Latemar, Catinaccio, Sciliar, i ghiacciai alpini fino all'Austria e, dall'altra parte dell'Adige, le dolomiti del Brenta.

Il terzo giorno, alla vigilia del mio 53° compleanno e nonostante la vescica sul calcagno destro, aderii all'invito di mia sorella e di un nostro amico d'infanzia, Alberto C., per un'escursione un po' più impegnativa in termini di fatica. Accettai il consiglio di usare i bastoncini, che negli anni passati avevo sempre sdegnato, e dal Gardeccia (1.949) al Vajolet (2.243) fu ordinaria amministrazione. Dopo un cambio di maglietta, proseguimmo fino al Passo Principe (2.600), dove però arrivai qualche minuto dopo di loro e, non intendendo rallentarli ulteriormente, li invitai a proseguire senza di me, ipotizzando di rivederli sulla via del ritorno. Invece, dopo qualche esercizio per i piedi, ripresi coraggio e voglia e ricominciai a salire, con l'intenzione di raggiungere almeno la forcella sovrastante. Arrivatoci, pensai che mi sarei potuto allungare a vedere il passo Antermoia (2.770) e ne valse la pena. A quel punto, m'incamminai verso la cima Scalieret (2.889), senza nemmeno sapere bene il cammino da seguire. A un dato momento incrociai uno skyrunner (quei superatleti o superpazzi che corrono su e giù anche per le vette più impervie) che mi confermò di trovarmi sul percorso giusto. Loro stavano già ridiscendendo, a causa del vento troppo impetuoso, ma si fermarono ad aspettare che anch'io raggiungessi la meta.
Lasciai lì lo zaino e i bastoncini e proseguii camminando in cresta e assaporando il silenzio, o meglio, il canto delle montagne. Il vento si era placato e così rimasi un po' lì, incantato a guardare, ad ascoltare, a sentire, a sentirmi pieno di gratitudine e godimento. Capisco quelli che iniziando a inerpicarsi o addirittura ad arrampicare poi non riescono più a farne a meno, perché quelli sono momenti perfetti, di unicità e completezza, di annullamento e rinascita, di bella essenzialità, come orgasmi dell'anima, insomma.
Sulla via del ritorno, attraversando il ghiaione subito dopo passo Antermoia, provai uno spavento che mi fece sbucciare il ginocchio: tum, tum, tu-tutum, bum tum bubububububum tutum... una gragnuola di pietre che franava dai roccioni incombenti rimbalzando come i proiettili di un film d'azione, io che scartavo di lato per scappare, non capendo quanta roccia eventualmente sarebbe caduta giù. Non è stato niente di grave, per fortuna, ma un piccolo promemoria di quanto sia opportuno ringraziare la montagna ogniqualvolta ci permetta di salirle in groppa.

Il giorno dopo, come ogni 18 luglio ho compiuto gli anni, ma non mi sono sentito vecchio: d'altronde, finché ci si sbuccia le ginocchia, si è bambini, no?

Catinaccio d'Antermoia 17 luglio 2016


a cura di Giulio Pianese

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