31 agosto 2015

Stazionamenti

Un addio dato nei pressi di un treno è uno sguardo velato che si lascia ancorare, cuore mente animo e tutto, alla ritmica striscia di immagini costituita dai vagoni che sfrecciano dinanzi agli occhi, occhi prigionieri di quell'ipnosi transitante, timorosi dell'enormità transeunte e perciò pronti e proni ad agganciarsi al penultimo tratto del convoglio, quello della sincopata aspirazione di massa e rumore, quello che anticipa l'assenza che tutto asporta, che tutto si porta fino a farlo sparire nel vortice che trascina via l'essenza disintegrando la rete tra l'io e l'altro da sé da un momento all'altro, sempre troppo all'improvviso.

Dalla nostalgia preventiva ti fai prendere un momento prima che qualcosa o qualcuno ti venga a mancare. La collocazione temporale di quel "prima" dipende dalla lunghezza dello sguardo, ma anche dalla saggezza più profonda. Se lo sguardo è abbastanza lungo, coglierà in anticipo tale futura assenza e in piena coscienza si farà cogliere dai malinconici effetti della constatazione. Se è troppo corto, non s'accorgerà di nulla, ritrovandosi un vuoto all'improvviso e una carenza di consapevolezza. Se lo sguardo è troppo lungo, però, occorrerà far ricorso a una generosa dose di saggia miopia, perché altrimenti non si riuscirà a godere nemmeno per un po' del qui e ora benefico e dell'unicità dell'esistere.

Poi, comunque, si sa che un addio dato nei pressi di un treno non è un addio, ma un arrivederci.

--
bonus: Velvet con Edoardo Bennato, Una settimana un giorno

28 agosto 2015

Fasi lunatiche

Pareva uno di quei momenti in cui se avesse domandato Che fai tu luna in ciel? quella avrebbe risposto Fatti li cazzi tua.
Così luminosa, ma per finta, solo di riflesso. Così grande, ma solo per la vicinanza. Così piena o quasi, ma da un lato solo.

Tuttavia, di lì a poco qualcosa sarebbe mutato: un refolo d'aria, gradito e atteso, lo schiudersi anzitempo d'un fiore di zucca, giallo e promettente, dei pensieri nuovi a guarnire vecchi vassoi di grattacapi, serti non solo ornamentali ma auspicabilmente forieri d'efficacia.

Lo sguardo successivamente rivolto al cielo trovò distanze diverse e diversi distacchi, che s'installarono nell'animo acquietato. Non più domande, non più per un po'. Spazi ampi e respiro. Respiro ampio, in attesa di un sonno ritrovato.


--
bonus: Bob Dylan, The Night We Called It A Day

25 agosto 2015

Tango, provincia di

Il capoluogo è lì dove sei, nella milonga in cui ti trovi e il C.A.P. è quello della musica che guida la serata.

Questo mese ne ho toccate di nuove, nuove per me, di milonghe. Nuove, a parte il già noto Palatango, in quel di Segrate, dove sono stato la sera prima della chiusura e poi di nuovo alla riapertura. Novità però ce ne sono state anche in tali occasioni: infatti ho avuto l'opportunità di sintonizzare i passi con ballerine che non conoscevo ancora, assommando piaceri e utili esperienze.

Durante la permanenza in Trentino-Alto Adige, ho fatto un salto a Caldaro (grazie alla selvadega che mi ci ha condotto), scoprendo così la bellezza dello Spazio 8, proprio nei pressi del lago, e ritrovando quella delle tanguere che lo frequentano.

Tornato alla base, sono finalmente entrato negli spazi delle Cristallerie Livellara, in Bovisa, dove dall'inizio dell'estate è attivo lo Spirit de Milan. Ad attirarmi, una serata di tango con esibizione del duo Tango Pichuco e della cantante Carola Nadal. È sempre bello ballare sulla musica dal vivo. Un po' più difficile, ma affascinante, anche perché si incrementa il senso di unicità. Contento di esserci stato.

Anche sabato sera mi sono dedicato al "secondo più bel modo di sudare". In quel di Pessano con Bornago, per quanto ciò potesse sembrare improbabile a noi che ci si recavamo e al navigatore un po' confuso. Alla fine, una camicia e una maglietta intrise di bella musica e buone tande.

--
bonus: Bajo un cielo de estrellas, orchestra di Miguel Caló, canta Alberto Podestá

15 agosto 2015

Picchi d'ozioso piacere

Da tempo vado dicendo che per me i simboli sommi dell'ozio o dell'otium goderecci e benefici sono essenzialmente due: farsi radere dal barbiere e dondolarsi su un'amaca.
Negli scorsi giorni ho verbalizzato qualcosa che di certo avevo dentro da un po', ma che affiorava solo sotto forma di sorriso: ferma restando la posizione di preminenza dell'amaca in questa speciale classifica, al secondo posto direi che si è ormai attestata un'altra situazione, e cioè il giocare a carte (briscola o scopone) all'aperto presso un rifugio ad alta quota bevendo una birretta dopo aver camminato in montagna per qualche ora.
Per esempio, per l'appunto, l'altro ieri alla Marmolada, tra Pian dei Fiacconi e il ghiacciaio, con il respiro a spaziare su tanto di quel mondo da abbeverare lo sguardo che faceva scorta di bellezza pura.

--
bonus: Nina Simone, Turn Me On


a cura di Giulio Pianese

scrivimi