23 agosto 2016

Venezia è avvenente

I passi sono nelle gambe, che insaziabili ne richiedono altri e altri ancora. Dev'essere la conseguenza delle decine di migliaia compiuti andando per calli e campi e fondamente e sotoporteghi e ponti e salizade, mai sazi di bellezza casuale e imprevista.
Non avevo ancora letto Venezia è un pesce di Tiziano Scarpa, l'ho fatto solo al ritorno, ma l'istinto di girare a caso, perdendosi per ritrovarsi e solo di tanto in tanto consultare la cartina per capire dove si fosse capitati, quello è venuto da sé fin da subito, a Venezia.

Tra quelle che si posson dire, almeno due le cose fatte per la prima volta* a Venezia, entrambe nella prima giornata: il bagno al Lido e il tango in campo san Tomà. Non vedevo l'ora di provare a mischiare le due magie, musica e luogo, ed è valsa la pena farlo su quel selciato, cinto per l'occasione da lumini accesi. L'impianto era stato prestato dal gentilissimo gestore del Basegò, in cui ci siamo poi rifocillati con sfiziosi cicchetti e buon vino, apprezzando anche le competenti chiacchiere di chi ama far bene il proprio mestiere.

La musica che non m'è piaciuta, invece, è stata generalmente quella proposta dai musicisti di strada, troppo spesso noiosi o pessimi, a parte una cantante non potente ma espressiva in campo san Barnaba una sera. I suoni e i rumori, invece, facevano parte dell'incanto complessivo o lo co-generavano (spesso cercavo assonanze con le onomatopee di Marco Paolini nel suo Milione, visto anche a teatro tre anni fa).

Tra i sapori più deliziosi della minivacanza, le sarde in saor alla taverna San Trovaso e i tramezzini del bar Toletta, dove lo spritz al campari è stata una "tonada" almeno pari a quella di due giorni prima, in piazza Frutti a Padova. A proposito di Padova, anche lì era stato bello camminare più o meno per tutto il centro storico, fermandosi poi a cena al Bacaro Padovano, in zona ghetto (grazie alla dritta di ranafatata).

Andare a piedi, a lungo, è indubbiamente il modo migliore per farsi imbibire dai colorati aromi di un'atmosfera cittadina. Lasciare che le suole e gli occhi si posino anche sul non prescritto, scegliere mete ondivaghe e variabili, prediligere deviazioni e digressioni, rimodellare lo spaziotempo sull'estro dell'istante, divengono nel contempo fine e mezzo: strumenti di conoscenza diversa, obiettivi di godimento immediato.

I mezzi di trasporto che ci siamo concessi sono stati solo il vaporetto per il Lido il primo giorno e in ultimo quello dalla Salute alla Stazione ferroviaria per congedarci dal Canal Grande, inframmezzati da una gondola-traghetto all'altezza di Santa Maria del Giglio, breve ma intensa emozione che per soli due euro ci ha per una volta abbreviato il tragitto verso il nostro sestiere.

Quel che non abbiamo fatto è stato sottostare al martirio delle code, preferendo una volta tanto riunciare alle visite più clamorose, e scattare foto: credo sia una specie di record trascorrere a Venezia due notti e tre giorni tralasciando di immortalare in pixel o su pellicola almeno qualche esempio delle centinaia e centinaia di inquadrature che lo sguardo afferrava e tentava di ritenere.

Le menzioni da concedere sarebbero innumerevoli, ma un paio le voglio attribuire: le gentilezze ricevute, tra cui quelle che hanno permesso di scoprire qualche curiosità ascosa (per esempio, San Nicolò dei Mendicoli, grazie a un signore reduce dal supermercato in luogo semideserto, o le prospettive su tela del soffitto di San Pantalon, grazie a uno dei custodi) e il gelato alla crema veneziana gustatissimo al Fontego delle Dolcezze di campo Santa Margarita.

Ricevere come regalo posticipato di compleanno un viaggio è cosa bellissima. Anche perché, a differenza di un oggetto, che si può perdere o rompere, un'esperienza non te la potrà portare via nessuno (Alzheimer a parte, ovviamente). Rigrazie :-)**

Potessi scegliere, tornandoci farei base un'altra volta nel sestiere di Dorsoduro, che è anche quello in cui prima di ripartire ho incontrato per ben due volte la Marghe, fiore meravigliosamente cresciuto da una Sphera.
E poi, potendo, risponderei al richiamo della Giudecca, idea che accarezzavo soprattutto dalle Zattere.

Una bella cartolina ha solo due dimensioni, ma se ci entri diventano quattro, elevate ai cinque sensi (o sei, o sette, a seconda). Ed è allora che t'illude di lasciarsi divorare, mentre ti nutre d'insaziabilità.


* ennesime risposte alla domanda frequente Quand'è l'ultima volta che hai fatto una cosa per la prima volta?

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a cura di Giulio Pianese

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