Qui di seguito, l'audio, il testo e la mia traduzione di una divertente canzone francese, assai godibile nell'interpretazione di Maurice Chevalier, attore e cantante negli anni trenta, ma abbastanza longevo da prestare la voce, qualche decennio più tardi, alla sigla degli Aristogatti.
Il brano, che ho sempre molto gradito, di recente mi aveva riattivato le sinapsi in seguito a un'analogia semantica tra un termine dialettale vicentino e un verbo francese qui impiegato.
L'ascolto mi ha permesso di correggere alcune imprecisioni delle versioni testuali che si trovano in rete:
Ah ! Si vous connaissiez ma poule (di Albert Willemetz - René Toche / Charles Borel-Clerc, 1938)
De Rochechouart jusqu'à Ménilmuche
De la rue de Lap' à la rue de la Gaité
Il y a pas une môme dans tout Pantruche
Qui avec la mienne puisse lutter
De tous les cotés quand on l'épluche
On ne trouve rien à lui reprocher
C'est un oiseau rare
Que Roi des veinards
J'ai eu le bonheur de dénicher
Ah ! Si vous connaissiez ma poule,
Vous en perdriez tous la boule
Marlène et Darrieux
N'arrivent qu'en deux
La Greta Garbo
Peut aller retirer son chapeau !
Ils n'en n'ont pas à Liverpoole
À New-York, à Honolulu,
De mieux foutu
Si vous la voyiez,
Vous en rêveriez !
Ah ! Si vous connaissiez ma poule
Ah ! Si vous connaissiez ma poule,
Vous en perdriez tous la boule
Ses petits seins pervers
Qui pointent au travers
De son pull-over
Vous mettent la tête à l'envers !
Elle a les jambes faites au moule
Des cheveux fous, frisés partout
Et tout et tout...
Si vous la voyiez,
Vous en rêveriez !
Ah ! Si vous connaissiez ma poule
Marguerite de Bourgogne auprès d'elle
N'avait que nib comme tempérament
Il faut l'entendre quand elle appelle
Son petit Momo au grand moment
Son corps frissonne d'une façon telle
Que la maison en tremble également
Et ça vous explique
Les secousses sismiques
Dont les journaux parlaient récemment
Ah ! Si vous connaissiez ma poule,
Vous en perdriez tous la boule
Ses baisers moelleux
Font dresser les cheveux
Ses baisers profonds
Vous font sauter jusqu'au plafond !
Il faut la voir quand elle roucoule
Et qu'on l'entend du fond de Passy
Crier: "Chéri!"
Ah, si vous la voyiez
Vous me la chiperiez !
Mais... vous ne connaîtrez pas ma poule
Ah, se conosceste la mia pollastrella
Da Rochechouart a Ménilmontant
dalla rue de la Paix fino alla rue de la Gaité
non c’è una sola fanciulla in tutta Parigi
che possa competere con la mia
Comunque la si prenda, anche a volerle fare le pulci
è impeccabile
È un uccello raro
che io, re dei fortunelli,
ho avuto la buona sorte di snidare
Ah, se conosceste la mia pollastrella
vi farebbe perdere la testa
Marlène Dietrich e la Darrieux
le cedono il passo
Greta Garbo
deve farle tanto di cappello
Roba del genere
non ce l’hanno a Liverpool
a New York, a Honolulu
Se la vedeste
ve la sognereste!
Ah, se conosceste la mia pollastrella
Ah, se conosceste la mia pollastrella
vi farebbe perdere la testa
I suoi piccoli seni perversi
che puntano attraverso
il pullover
fanno girare la capoccia!
Ha le gambe tornite alla perfezione
i capelli selvaggi, tutti arricciati
proprio dappertutto…
Se la vedeste
ve la sognereste!
Ah, se conosceste la mia pollastrella
Margherita di Borgogna al suo confronto
non aveva neanche un po’ di carattere
Bisogna sentirla quando al culmine
chiama il suo passerottino
Il suo corpo freme in maniera tale
da far tremare anche la casa
il che spiega
le scosse sismiche
di cui parlavano di recente i giornali
Ah, se conosceste la mia pollastrella
vi farebbe perdere la testa
I suoi baci vellutati
fanno rizzare i capelli
i suoi baci profondi
fanno zompare fino al soffitto!
Bisogna vederla quando tuba
e quando la si sente fin da Passy
gridare: “Tesoro!”
Ah, se la vedeste
me la soffiereste!
Ma... voi non conoscerete la mia pollastrella
09 gennaio 2012
08 gennaio 2012
Come lucine colorate
Saper godere del bello è un modo per onorare l'universo, una sorta di preghiera vivente. Un po' come gustarsi fino in fondo un bel piatto di tagliatelle fatte in casa e rivolgere un gaudente complimento a chi le ha preparate. "Preghiera", dunque, intesa nel senso di rendere grazie, anche quando non si sa bene a chi. Un'emissione di piccoli bagliori di gioia che si accendono qua e là nel mondo, rilucendo per poco e a momenti alterni dal buio, ma senza smettere di farlo finché ogni cosa è illuminata.
07 gennaio 2012
Quesiti al volo
E chissà, dimmelo se lo sai, chi lo può sapere, chi, se mentre battevo il sopracciglio sul ghiaccio già ti pensavo. Chissà, e se lo sai dimmelo, ora puoi, dai, chissà se era già tutto scritto, ogni battito e ciascuna tachicardia, respiro per respiro fino all'aritmia e alla sua successiva scomparsa. E anche tutto il resto, tutto quanto, ma tutto quanto trasvola in un fiato, come cieli mutanti in visione accelerata e il playback si vede solo da lontano, stando quassù. No che non ho paura, se non mi molli; volare è bello nei sogni e anche nella realtà... Come sarebbe a dire, quale realtà? Beh, non posso esserne certo se tu metti in dubbio ogni cosa, ma non approfittarti del mio umano smarrimento e piuttosto rispondi ai quesiti, è una vita che cercano risposte! Non fare anche tu come quell'altro tuo compare alato, che ti raccoglie dal tunnel blu con mano grande e calda, ma t'impalma nel paradosso chiedendoti: Tra destino e libero arbitrio, cosa scegli? per poi scagliarti di nuovo, senza attendere replica né scioglierti il dubbio, tra i flutti del quotidiano annaspare. No, non mi sto lamentando, sono comunque lieto di essermi fatto dei giri nell'incredibile; è che, lo ammetto, mi ci ero affezionato, al sublime, lasciandovi ogni volta brandelli di me oltre al desiderio. Va be', ho capito, sono pronto a rituffarmi, anzi, lo voglio: Decido che sia come sia.
06 gennaio 2012
Sapore di sapere
Il gelato che si scioglie è l'immagine del mondo per la persona ansiosa, per chi pensa di dover cogliere al volo quell'unica occasione, talmente straordinaria da essere per forza, di sicuro, indubbiamente irripetibile.
La sedimentazione è il contrario del gelato che si scioglie. I fenomeni geologici richiedono tempo, anzi, se lo prendono direttamente: succedono perché è così che vanno le cose, ciclicamente, ma sempre diverse a ogni ciclo.
In effetti, quello che davvero conta non sparisce per un po' di attesa, inoltre si sa che le cose belle sono lente*. Tuttavia, se rimarcare tutto ciò denota certamente saggezza, è un fatto che il sapore del gelato rimanga migliore di quello delle rocce, anche di quelle metamorfiche.
(*)
La sedimentazione è il contrario del gelato che si scioglie. I fenomeni geologici richiedono tempo, anzi, se lo prendono direttamente: succedono perché è così che vanno le cose, ciclicamente, ma sempre diverse a ogni ciclo.
In effetti, quello che davvero conta non sparisce per un po' di attesa, inoltre si sa che le cose belle sono lente*. Tuttavia, se rimarcare tutto ciò denota certamente saggezza, è un fatto che il sapore del gelato rimanga migliore di quello delle rocce, anche di quelle metamorfiche.
(*)
05 gennaio 2012
La kalza?!
Se vuoi coltivare l'illusione magica nei bambini, la calza la devi far appendere vuota la sera prima. Dev'essere di lana e la dovranno trovare piena il mattino seguente. Preferibilmente, piena non solo di dolciumi preconfezionati, ma anche di quelli sfusi, oltre a qualche agrume e a un po' di noci, in modo da conferire una certa varietà all'insieme, ma soprattutto per concretizzare un contrasto cromatico e tattile, per mischiare e avvicinare i mondi natura e cultura o almeno i loro simulacri. Evita per favore le pseudocalze già pronte, non hanno senso: per la festa dell'apparizione, o giochi il gioco fino in fondo, o è meglio lasciar perdere. Se non hai un camino, andrà benissimo la cappa. Quella della cucina, però, non quella dell'alfabeto!
04 gennaio 2012
Silenzio, si gira!
Un bel tacer non fu mai scritto, diceva quello, e invece sì: sui cartelli di un film muto, per esempio. Specialmente se muto lo è per scelta, come succede a The Artist di Michel Hazanavicius, produzione del 2011 che ambienta il suo bianco e nero a cavallo tra gli anni venti e trenta del secolo scorso, quelli che videro l'avvento del sonoro sul grande schermo.
L'intreccio è metanarrativo, visto che s'impernia sulle alterne fortune di un divo del muto che rifiuta di conformarsi al nuovo mezzo espressivo. Non mancano i risvolti drammatici né quelli amorosi, ma colpisce la capacità di coinvolgimento esercitata da vicende che sfiorano l'ingenuità, quasi stilizzate, raccontate con nettezza e garbo intransigenti.
In questo, oltre alla bravura degli interpreti, un ruolo essenziale è svolto dalla colonna sonora: quella dei pochissimi rumori sapientemente utilizzati e quella delle musiche composte da Ludovic Bource, perfette nel sottolineare l'azione e gli umori o addirittura nel creare il pathos, rafforzando il patto di credulità tra autore e spettatore, di cui catturano la condiscendenza amplificando splendidamente l'efficacia della rappresentazione.
L'intreccio è metanarrativo, visto che s'impernia sulle alterne fortune di un divo del muto che rifiuta di conformarsi al nuovo mezzo espressivo. Non mancano i risvolti drammatici né quelli amorosi, ma colpisce la capacità di coinvolgimento esercitata da vicende che sfiorano l'ingenuità, quasi stilizzate, raccontate con nettezza e garbo intransigenti.
In questo, oltre alla bravura degli interpreti, un ruolo essenziale è svolto dalla colonna sonora: quella dei pochissimi rumori sapientemente utilizzati e quella delle musiche composte da Ludovic Bource, perfette nel sottolineare l'azione e gli umori o addirittura nel creare il pathos, rafforzando il patto di credulità tra autore e spettatore, di cui catturano la condiscendenza amplificando splendidamente l'efficacia della rappresentazione.
03 gennaio 2012
Golussuria
In settimane tradizionalmente cariche di sovracibarie, una domanda si fa preghiera si fa richiesta si fa imperativo doppio per erotici golosi: cibaciamoci! (nuovo lemma su Lessico da amare)
02 gennaio 2012
Fuori i secondi
Il Capodanno ce l'avrà un Vice? Se così fosse, giustificherei più facilmente questa difficoltà a riprendere il ritmo, a rituffarsi nelle cose da fare, da fare per sopravvivere nell'immediato e per guadagnarsi più avanti i tuffi nel blusalato che mancano da troppo.
Dopotutto, mi dico, quest'anno c'è o non c'è un giorno in più? Sì, vero, però bruciarselo subito non è saggio, e il giorno in più a regola sarebbe il ventinove del secondo mese. Allora dacci dentro, o dacci sotto, o dacci con la preposizione che preferisci, ma dacci senza pensare che è lunedì e che per quanto tu la prenda alla Leggera, il lunedì la testa ti vacilla...
Dopotutto, mi dico, quest'anno c'è o non c'è un giorno in più? Sì, vero, però bruciarselo subito non è saggio, e il giorno in più a regola sarebbe il ventinove del secondo mese. Allora dacci dentro, o dacci sotto, o dacci con la preposizione che preferisci, ma dacci senza pensare che è lunedì e che per quanto tu la prenda alla Leggera, il lunedì la testa ti vacilla...
01 gennaio 2012
Duemilaedodici!
per giorni meravigliosi a venire
per giorni trascorsi da
comprendere ed amare
Sarà pure importante come inizia, d'accordo, ma lo è altrettanto come continua: fa' dunque in modo che l'anno sia bello giorno per giorno. E se un giorno sembra non andar bene, ricordati qualche parola saggia, vedrai che ripercorrerla ti aiuterà.
Poi c'è sempre lo sfizio di sapere come andrà a finire (sfizio molto popolare, per chi ricorda il Giudizio Universale di Cuore), anche se in verità non ci credo alla storia della fine del mondo.
Insomma: comunque la mettiamo, anche stavolta vale la pena andare avanti e mettere insieme le voci, squadrarsi gli sguardi, lambire i ricordi condivisi, esplorare i desideri e gli auspici, respirare il respiro, godersi il sorriso.
--
Le parole lassù me le aveva dedicate Ale D'Agostino firmandomi il suo libro Giorni.
per giorni trascorsi da
comprendere ed amare
Sarà pure importante come inizia, d'accordo, ma lo è altrettanto come continua: fa' dunque in modo che l'anno sia bello giorno per giorno. E se un giorno sembra non andar bene, ricordati qualche parola saggia, vedrai che ripercorrerla ti aiuterà.
Poi c'è sempre lo sfizio di sapere come andrà a finire (sfizio molto popolare, per chi ricorda il Giudizio Universale di Cuore), anche se in verità non ci credo alla storia della fine del mondo.
Insomma: comunque la mettiamo, anche stavolta vale la pena andare avanti e mettere insieme le voci, squadrarsi gli sguardi, lambire i ricordi condivisi, esplorare i desideri e gli auspici, respirare il respiro, godersi il sorriso.
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Le parole lassù me le aveva dedicate Ale D'Agostino firmandomi il suo libro Giorni.
31 dicembre 2011
Serie semiserie
Tre due uno zero sembra un conto alla rovescia, ma son solo le cifre che servono e che bastano a comporre la data odierna. Domani ne avanzerà una.
Zero uno uno due tre cinque otto eccetera è una serie seria che va all'insù formando spirali e un sacco di cose che non saprei, non ricordo, non capisco, ma ammiro come parte dello spirito, aurea sezione che sta tra la mente e l'anima.
Uno due sei nove va anch'essa all'insù, ma si ferma lì, o meglio parte in uno slego grezzo datato settantotto, divertente se non devi prendere un treno.
Invece stasera, si sa, a un certo punto capiterà a moltissimi di incappare nell'eterno tormentone a e i o u (ipsilon). Per quanto mi riguarda, spero di evitare per una volta Disco Samba, anche perché #aeiouy l'ho già incontrato nella sua versione più interessante grazie a Year In Hashtag, di cui prestissimo sarà pubblicata in rete la versione in inglese.
Nel frattempo, da qualche parte, è già domani. Auguri!
Zero uno uno due tre cinque otto eccetera è una serie seria che va all'insù formando spirali e un sacco di cose che non saprei, non ricordo, non capisco, ma ammiro come parte dello spirito, aurea sezione che sta tra la mente e l'anima.
Uno due sei nove va anch'essa all'insù, ma si ferma lì, o meglio parte in uno slego grezzo datato settantotto, divertente se non devi prendere un treno.
Invece stasera, si sa, a un certo punto capiterà a moltissimi di incappare nell'eterno tormentone a e i o u (ipsilon). Per quanto mi riguarda, spero di evitare per una volta Disco Samba, anche perché #aeiouy l'ho già incontrato nella sua versione più interessante grazie a Year In Hashtag, di cui prestissimo sarà pubblicata in rete la versione in inglese.
Nel frattempo, da qualche parte, è già domani. Auguri!
27 dicembre 2011
Albero digitale
Poco prima che iniziassero le festività, laVale mi ha chiesto: "Che cosa vorresti trovare sotto l’albero digitale per il futuro tecnologico dei tuoi figli?"
La mia risposta, insieme a quelle di altri genitori presenti in rete, è pubblicata nel vodafone lab.
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Precedenti: un'intervista di qualche mese fa.
La mia risposta, insieme a quelle di altri genitori presenti in rete, è pubblicata nel vodafone lab.
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Precedenti: un'intervista di qualche mese fa.
25 dicembre 2011
Natale
Dopo una lunga e bella giornata conviviale (nel senso affettivo e in quello alimentare), tornando a casa insieme ai cuccioli (uno di quei privilegi di cui t'accorgi quando ti manca) ascoltavo su Radio Popolare una trasmissione che tramite la musica parla anche di carceri.
Dal contrasto mi è tornato in mente (anche questo tra parentesi) un pezzo comparso un anno fa nella raccolta Post sotto l’albero 2010 e lo voglio riportare qui sotto. Auguri a tutti.
Dal contrasto mi è tornato in mente (anche questo tra parentesi) un pezzo comparso un anno fa nella raccolta Post sotto l’albero 2010 e lo voglio riportare qui sotto. Auguri a tutti.
Sorvegliato speciale di wildAuguri anche in musica, con la sigla da cui la trasmissione prende il nome: Jailhouse Rock (nell'interpretazione dei Blues Brothers).
In molti luoghi, ai quali difficilmente pensiamo se non perché direttamente coinvolti, il Natale è un sorvegliato speciale. Durante tutte le feste ma soprattutto durante il Natale nelle comunità, nelle carceri, nelle case di cura esplodono le crisi più grandi, più difficili e dagli esiti, a volte, irreparabili e fatali. Lo sanno bene gli operatori del settore che durante i periodi festivi affinano i sensi e la vista, pronti a captare anche il più piccolo mutamento di umore. Ma quale sortilegio racchiude in sé questa ricorrenza, quale turbamento scatena e quali fantasmi evoca? Certo la gente fuori si circonda di persone care, prepara ricchi pasti e preziosi doni, accende luci e addobba la casa, tutto per esorcizzare lo spirito del Natale, ma chi è solo si trova inevitabilmente faccia a faccia con il sorvegliato speciale, e di conseguenza costretto ad affrontarne tutta l’essenza, confrontandosi con la sua anima, con la propria anima. Buon Natale anima mia.
21 dicembre 2011
Zappa che ti passa
Nella sterminata produzione zappiana, sono pochissimi ad avere ascoltato (quasi) tutto. E anche tra i brani più noti si scopre sempre qualche lacuna. C'è un pezzo, per esempio, che credo di avere sentito per la prima volta non su vinile o altro supporto, ma eseguito su un palco... dalla mia band.
Con i Blubaluba (genere soul, funky, R&B) stavamo suonando a una festa e qualcuno del pubblico ardì chiedere "qualcosa in tre quarti". Ivan (il trombettista) impose un 3/4 che s'intitola "benedetto sollievo". Poi ricominciammo con il nostro consueto repertorio.
Blessed Relief (Frank Zappa), da The Grand Wazoo, 1972
Con i Blubaluba (genere soul, funky, R&B) stavamo suonando a una festa e qualcuno del pubblico ardì chiedere "qualcosa in tre quarti". Ivan (il trombettista) impose un 3/4 che s'intitola "benedetto sollievo". Poi ricominciammo con il nostro consueto repertorio.
Blessed Relief (Frank Zappa), da The Grand Wazoo, 1972
17 dicembre 2011
Ieri alla coop
Alle elementari avevamo fatto un lavoretto, in gesso: tra i calchi disponibili avevo scelto una scoiattolina, poi l'avevo dipinta con le tempere (marrone per il pelo, azzurro intenso per gli occhi, nero per le pupille, giallo per il fiorellino che le ornava il ciuffo). Non riuscendo a disegnarle la bocca, chiesi aiuto alla maestra, che dipinse delle labbra rosse bellissime.
Belle come quelle di una signora vista ieri mentre facevo la spesa. Così ho pensato di avvicinarmi e raccontarglielo. "Che storia, grazie!" è stata la sorridente reazione. Poi sono andato in cassa a pagare.
Belle come quelle di una signora vista ieri mentre facevo la spesa. Così ho pensato di avvicinarmi e raccontarglielo. "Che storia, grazie!" è stata la sorridente reazione. Poi sono andato in cassa a pagare.
16 dicembre 2011
Tanda
Fare le cose senza pensare è dannoso se significa superficialità: a prevalere è il bambino egoista e maldestro, in cui goffaggine e ignoranza fanno a gara; le conseguenze sono negative per sé e per gli altri, talvolta nell'immediato e quasi sempre a medio o lungo termine. I danni sono materiali, morali, psicologici e sociali.
Fare le cose senza pensare è virtuoso se significa leggerezza: a prevalere è il bambino dallo sguardo limpido, con la luce nei gesti e il sapere naturale; le conseguenze sono benefiche per sé e spesso graziose per gli altri, sicuramente nell'immediato, e in qualche rara combinazione, sotterraneamente, anche a lungo termine. In tal caso, il bagliore rischiarerà più o meno vagamente memorie lontane e il mondo si arricchirà di qualche sorriso.
Fare le cose senza pensare è prezioso se la leggerezza è conquistata dopo un apprendimento: a prevalere è l'adulto entusiasta, che senza impigrirsi si è rimesso in gioco, pronto ad approfondire o addirittura a ripartire da zero in pratiche nuove o inusitate. Così accade, per esempio, nella musica: l'esecuzione va dimenticata per poter giungere all'interpretazione ed è in quel momento che se ne gode e se ne fa godere. Lo so, l'ho saputo. E così, spero, accadrà anche per il tango, prima o poi.
Fare le cose senza pensare è virtuoso se significa leggerezza: a prevalere è il bambino dallo sguardo limpido, con la luce nei gesti e il sapere naturale; le conseguenze sono benefiche per sé e spesso graziose per gli altri, sicuramente nell'immediato, e in qualche rara combinazione, sotterraneamente, anche a lungo termine. In tal caso, il bagliore rischiarerà più o meno vagamente memorie lontane e il mondo si arricchirà di qualche sorriso.
Fare le cose senza pensare è prezioso se la leggerezza è conquistata dopo un apprendimento: a prevalere è l'adulto entusiasta, che senza impigrirsi si è rimesso in gioco, pronto ad approfondire o addirittura a ripartire da zero in pratiche nuove o inusitate. Così accade, per esempio, nella musica: l'esecuzione va dimenticata per poter giungere all'interpretazione ed è in quel momento che se ne gode e se ne fa godere. Lo so, l'ho saputo. E così, spero, accadrà anche per il tango, prima o poi.
08 dicembre 2011
Dieci cose
Qualche giorno fa lo Splendido mi ha chiesto di scrivere le dieci cose importanti per me. Ho subito messo giù degli appunti così come mi venivano, poi quando ho riaperto il file gliel'ho mandato senza modifiche sostanziali. Ora che le hanno pubblicate, rileggendole mi ci riconosco, per cui posso ribadire che è bene nonché efficace esprimere le proprie preferenze a bruciapelo.
Eccoti dunque Le dieci cose importanti per Zu.
P.S.: ci sono già diversi contributi, identificati dall'etichetta le dieci cose.
Aggiornamento
In seguito a una conversazione telefonica, mi sono accorto che il link qui sopra non funziona più e che non mi ricordavo quali fossero le "10 cose".
Poi mi son reso conto che da qualche parte doveva esserci l'e-mail mandata allo Splendido e così le ho recuperate. Eccole, qui sotto, nell'ordine sparso in cui le avevo scritte allora:
Eccoti dunque Le dieci cose importanti per Zu.
P.S.: ci sono già diversi contributi, identificati dall'etichetta le dieci cose.
Aggiornamento
In seguito a una conversazione telefonica, mi sono accorto che il link qui sopra non funziona più e che non mi ricordavo quali fossero le "10 cose".
Poi mi son reso conto che da qualche parte doveva esserci l'e-mail mandata allo Splendido e così le ho recuperate. Eccole, qui sotto, nell'ordine sparso in cui le avevo scritte allora:
Non perdere la speranza e saperla trasmettere.
Essere vivo nel ricordo altrui e saper ricordare.
I miei figli.
La musica: da ascoltare, da sentire, se possibile anche da cantare.
Avere sempre voglia di spassarsela e di condividere esperienze e divertimento.
Continuare a intessere reti relazionali, nutrire le vie vecchie e nuove della comunicazione.
Scrivere, almeno ogni tanto, almeno un po’, per fissare in parole il divenire e magari anche per evolvere.
Non smettere di imparare: considerare la curiosità un valore e chiedersi di quando in quando Quand’è l’ultima volta che hai fatto una cosa per la prima volta?
Leggere, per perdersi e per ritrovarsi.
Gli affetti e gli amori, le gioie e perfino i dolori.
30 novembre 2011
NavigAbilità
La genialata di Tom Sawyer con la staccionata da ridipingere, omaggiata dall'odierno disegnino di Google che celebra il compleanno di Mark Twain*, è perfetta metafora dell'opera di sfruttamento del contenuto prodotto dagli utenti da parte delle varie piattaforme liberamente fruibili on-line. Noi, comunque, ci siamo divertiti e ci divertiamo a ridisporre i pixel, finché dura il mondo elettrico.
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* lo pseudonimo, secondo Samuel Langhorne Clemens, derivava da una convenzione marinaresca per segnalare la profondità di sicurezza per i battelli a vapore nelle acque fluviali.
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* lo pseudonimo, secondo Samuel Langhorne Clemens, derivava da una convenzione marinaresca per segnalare la profondità di sicurezza per i battelli a vapore nelle acque fluviali.
17 novembre 2011
Senza rete
Credo di sapere quando fu che mi spiacque scoprire che le cose finiscono. Dev'essere stato da bambino, con la tivù ancora in bianco e nero, senza telecomando e con soli quattro canali (primo, secondo, svizzera e capodistria). La triste scoperta dev'essere avvenuta proprio tramite la programmazione televisiva, o perlomeno questo è quanto la memoria emotiva ha archiviato e conservato, in quel modo vago e incisivo delle immagini sincretiche in grado nei sogni di comunicarci fulminee l'esatta istantanea del nostro stato d'animo, o d'anima, lampo intraducibile in parole se non a prezzo di lunghissimi e circonvoluti racconti, frustrati dall'assenza di simultaneità nel dire.
Dev'essere andata così: c'era un ciclo di trasmissioni, tipo forse Senza rete, che scandiva rassicurante l'apparente incuranza dei riti scontati. Le seguivo, magari con modesto coinvolgimento, probabilmente con un certo piacere. Poi un giorno, o piuttosto una sera, mi fu annunciato che la consuetudine settimanale si sarebbe interrotta, perché quella era l'ultima puntata. Che fosse l'ultima in assoluto o che si trattasse dell'interruzione stagionale, nulla cambia, giacché immutato fu per me allora il colpo, uno choc che evidentemente travalicava il fatto in sé, per avviluppare invece nel suo manto nebuloso l'intero tessuto del vivere.
Il punto era, è: le cose finiscono. Le situazioni non durano per sempre. Le esperienze non sono riavvolgibili. Bellezza, piacevolezza e tranquillità non sono sicure né controllabili. Sì, d'accordo, lo so, lo sai, poi c'è un'altra stagione, oppure ci sono altre cose, e pure nuovi inizi, ma. Il chiodino del piccolo lutto un buchino lo lascia comunque, il chiodo grande potrebbe addirittura martoriare. E allora? Beh, almeno aver cura di non lasciarli arrugginire: non rimanere mai, mai sulla croce, specialmente se sotto la pioggia. Ah, e fischiettare.
--
P.S.: la canzone l'avevo già linkata (e sorrido).
Dev'essere andata così: c'era un ciclo di trasmissioni, tipo forse Senza rete, che scandiva rassicurante l'apparente incuranza dei riti scontati. Le seguivo, magari con modesto coinvolgimento, probabilmente con un certo piacere. Poi un giorno, o piuttosto una sera, mi fu annunciato che la consuetudine settimanale si sarebbe interrotta, perché quella era l'ultima puntata. Che fosse l'ultima in assoluto o che si trattasse dell'interruzione stagionale, nulla cambia, giacché immutato fu per me allora il colpo, uno choc che evidentemente travalicava il fatto in sé, per avviluppare invece nel suo manto nebuloso l'intero tessuto del vivere.
Il punto era, è: le cose finiscono. Le situazioni non durano per sempre. Le esperienze non sono riavvolgibili. Bellezza, piacevolezza e tranquillità non sono sicure né controllabili. Sì, d'accordo, lo so, lo sai, poi c'è un'altra stagione, oppure ci sono altre cose, e pure nuovi inizi, ma. Il chiodino del piccolo lutto un buchino lo lascia comunque, il chiodo grande potrebbe addirittura martoriare. E allora? Beh, almeno aver cura di non lasciarli arrugginire: non rimanere mai, mai sulla croce, specialmente se sotto la pioggia. Ah, e fischiettare.
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P.S.: la canzone l'avevo già linkata (e sorrido).
01 novembre 2011
Spaziotempo
Sfrecciando nel tempo i luccichii si moltiplicano e via passano velocissimi, troppo, nell'apnea della meraviglia, gli occhi spalancati quanto la bocca, sguardo d'emozione sgranata, la pelle del viso slabbrata con impeto dal vento spaziale. Nemmeno gli occhi della mente riescono a farsi capienti abbastanza da cogliere ognissantacosa, lambiscono appena ciuffi inattesi, accenni e sensazioni, riflessi di semiobliati rimasugli, eppure atti a scuotere elettricamente la linfa tutta.
Sfrecciando avanti e indietro nel tempo ti cerco e dimentico di cercarmi, come Silver Surfer ma senza superpoteri, tra i ghiacci siderali delle enormi distanze e il cuore di magma dei doni affettivi, incandescente riserva che brucia e carbura. Ognora. Allora riscocca la freccia del tempo, da lì a qui e ora. Nell'ambra la scia che riporta il passato al futuro, carezza al sorriso di un'ombra, nostalgia dell'essere petalo, e schiudersi a una luce che sfiora.
Sfrecciando avanti e indietro nel tempo ti cerco e dimentico di cercarmi, come Silver Surfer ma senza superpoteri, tra i ghiacci siderali delle enormi distanze e il cuore di magma dei doni affettivi, incandescente riserva che brucia e carbura. Ognora. Allora riscocca la freccia del tempo, da lì a qui e ora. Nell'ambra la scia che riporta il passato al futuro, carezza al sorriso di un'ombra, nostalgia dell'essere petalo, e schiudersi a una luce che sfiora.
23 ottobre 2011
Non farti confondere dal "la la la"
Questa canzone è scherzosa, ma anche profonda.
L'avevo apprezzata dapprima in un'esecuzione di Amanda Palmer, poi ho scoperto che ne è autore l'artista scozzese Nick Currie, alias Momus, dal suo album Ping Pong (1997).
Di seguito il testo originale e una mia traduzione, per la quale ho scelto di mantenere il punto di vista femminile derivato dalle interpretazioni della poliedrica Amanda MacKinnon Gaiman Palmer (vedi anche Dresden Dolls e Evelyn Evelyn), in quanto mi sembra più divertente e in acrobatico equilibrio tra disincanto e sensibilità, specialmente nei non detti e nelle parentesi.
I Want You, But I Don't Need You
I like you, and I’d like you to like me to like you
But I don’t need you
Don’t need you to want me to like you
Because if you didn’t like me
I would still like you, you see
La la la
La la la
I lick you, I like you to like me to lick you
But I don’t need you
Don’t need you to like me to lick you
If your pleasure turned into pain
I would still lick for my personal gain
La la la
La la la
I fuck you, and I love you to love me to fuck you
But I don’t fucking need you
Don’t need you to need me to fuck you
If you need me to need you to fuck
That fucks everything up
La la la
La la la
I want you, and I want you to want me to want you
But I don’t need you
Don’t need you to need me to need you
That’s just me
So take me or leave me
But please don’t need me
Don’t need me to need you to need me
Cos we’re here one minute, the next we’re dead
So love me and leave me
But try not to need me
Enough said
I want you, but I don’t need you
La la la
La la la
I love you, and I love how you love how I love you
But I don’t need you
Don’t need you to love me to love you
If your love changed into hate
Would my love have been a mistake?
La la la
La la la
So I’m gonna leave you, and I’d like you to leave me to leave you
But lover believe me, it isn’t because I don’t need you (you know I don’t need you)
All I wanted was to be wanted
But you’re drowning me deep in your need to be needed
La la la
La la la la la la la la la
I want you, and I want you to want me to want you
But I don’t need you
Don’t need you to need me to need you
That’s just me
So take me or leave me
But please don’t need me
Don’t need me to need you to need me
Cos we’re here one minute, the next we’re dead
So love me and leave me
But try not to need me
Enough said
I want you, but I don’t need you
Ti voglio, ma non ho bisogno di te
Mi piaci, e vorrei che ti piacesse che mi piaci
ma non ho bisogno di te
non ho bisogno che tu mi voglia perché tu mi piaccia
Perché se io non ti piacessi,
vedi, mi piaceresti comunque
La la la
La la la
Ti lecco, mi piace che ti piaccia che io ti lecchi
ma non ho bisogno di te
non ho bisogno che ti piaccia per leccarti
Se il tuo piacere si mutasse in tormento
leccherei comunque per mio godimento
La la la
La la la
Ti scopo, e adoro che adori che io ti scopi
ma non ho un cazzo di bisogno di te
non ho bisogno che tu abbia bisogno che io ti scopi
Se hai bisogno che io abbia bisogno di te per scopare
se ne va tutto affanculo
La la la
La la la
Ti voglio, e voglio che tu voglia che io ti voglia
ma non ho bisogno di te
non ho bisogno che tu abbia bisogno che io abbia bisogno di te
Sono semplicemente io
quindi prendimi o lasciami
ma per favore non avere bisogno di me
non avere bisogno che io abbia bisogno che tu abbia bisogno di me
Perché un istante siamo qui e l’istante dopo siamo morti
dunque amami e lasciami
ma cerca di non avere bisogno di me
Basta con le parole
ti voglio, ma non ho bisogno di te
La la la
La la la
Ti amo, e adoro come adori come ti amo
ma non ho bisogno di te
non ho bisogno che tu mi ami per amarti
Se si mutasse in odio il tuo amore
il mio amore sarebbe stato un errore?
La la la
La la la
Perciò ti lascerò, e vorrei che mi lasciassi per lasciarti
ma amante, credimi, non è perché non ho bisogno di te (lo sai che non ho bisogno di te)
Tutto ciò che volevo era essere voluta
ma mi stai affogando nel tuo bisogno di essere necessario
La la la
La la la la la la la la la
Ti voglio, e voglio che tu voglia che io ti voglia
ma non ho bisogno di te
non ho bisogno che tu abbia bisogno che io abbia bisogno di te
Sono semplicemente io
perciò prendimi o lasciami
ma per favore non avere bisogno di me
non avere bisogno che io abbia bisogno che tu abbia bisogno di me
Perché un istante siamo qui e l’istante dopo siamo morti
dunque amami e lasciami
ma cerca di non avere bisogno di me
Basta con le parole
ti voglio, ma non ho bisogno di te
--
P.S. gennaio 2012: ho modificato la traduzione di un paio di versi (quelli che finiscono con to lick you e to love you). Inoltre avevo omesso di specificare che in alcuni casi la ridanciana struttura cela un doppio significato riguardo al bisogno, "need", smentito o dichiarato secondo la piega della lettura. Così, Don’t need you to need me to need you può essere: "non ho bisogno che tu abbia bisogno che io abbia bisogno di te" oppure: "non ho bisogno che tu abbia bisogno di me per avere bisogno di te".
L'avevo apprezzata dapprima in un'esecuzione di Amanda Palmer, poi ho scoperto che ne è autore l'artista scozzese Nick Currie, alias Momus, dal suo album Ping Pong (1997).
Di seguito il testo originale e una mia traduzione, per la quale ho scelto di mantenere il punto di vista femminile derivato dalle interpretazioni della poliedrica Amanda MacKinnon Gaiman Palmer (vedi anche Dresden Dolls e Evelyn Evelyn), in quanto mi sembra più divertente e in acrobatico equilibrio tra disincanto e sensibilità, specialmente nei non detti e nelle parentesi.
I Want You, But I Don't Need You
I like you, and I’d like you to like me to like you
But I don’t need you
Don’t need you to want me to like you
Because if you didn’t like me
I would still like you, you see
La la la
La la la
I lick you, I like you to like me to lick you
But I don’t need you
Don’t need you to like me to lick you
If your pleasure turned into pain
I would still lick for my personal gain
La la la
La la la
I fuck you, and I love you to love me to fuck you
But I don’t fucking need you
Don’t need you to need me to fuck you
If you need me to need you to fuck
That fucks everything up
La la la
La la la
I want you, and I want you to want me to want you
But I don’t need you
Don’t need you to need me to need you
That’s just me
So take me or leave me
But please don’t need me
Don’t need me to need you to need me
Cos we’re here one minute, the next we’re dead
So love me and leave me
But try not to need me
Enough said
I want you, but I don’t need you
La la la
La la la
I love you, and I love how you love how I love you
But I don’t need you
Don’t need you to love me to love you
If your love changed into hate
Would my love have been a mistake?
La la la
La la la
So I’m gonna leave you, and I’d like you to leave me to leave you
But lover believe me, it isn’t because I don’t need you (you know I don’t need you)
All I wanted was to be wanted
But you’re drowning me deep in your need to be needed
La la la
La la la la la la la la la
I want you, and I want you to want me to want you
But I don’t need you
Don’t need you to need me to need you
That’s just me
So take me or leave me
But please don’t need me
Don’t need me to need you to need me
Cos we’re here one minute, the next we’re dead
So love me and leave me
But try not to need me
Enough said
I want you, but I don’t need you
Ti voglio, ma non ho bisogno di te
Mi piaci, e vorrei che ti piacesse che mi piaci
ma non ho bisogno di te
non ho bisogno che tu mi voglia perché tu mi piaccia
Perché se io non ti piacessi,
vedi, mi piaceresti comunque
La la la
La la la
Ti lecco, mi piace che ti piaccia che io ti lecchi
ma non ho bisogno di te
non ho bisogno che ti piaccia per leccarti
Se il tuo piacere si mutasse in tormento
leccherei comunque per mio godimento
La la la
La la la
Ti scopo, e adoro che adori che io ti scopi
ma non ho un cazzo di bisogno di te
non ho bisogno che tu abbia bisogno che io ti scopi
Se hai bisogno che io abbia bisogno di te per scopare
se ne va tutto affanculo
La la la
La la la
Ti voglio, e voglio che tu voglia che io ti voglia
ma non ho bisogno di te
non ho bisogno che tu abbia bisogno che io abbia bisogno di te
Sono semplicemente io
quindi prendimi o lasciami
ma per favore non avere bisogno di me
non avere bisogno che io abbia bisogno che tu abbia bisogno di me
Perché un istante siamo qui e l’istante dopo siamo morti
dunque amami e lasciami
ma cerca di non avere bisogno di me
Basta con le parole
ti voglio, ma non ho bisogno di te
La la la
La la la
Ti amo, e adoro come adori come ti amo
ma non ho bisogno di te
non ho bisogno che tu mi ami per amarti
Se si mutasse in odio il tuo amore
il mio amore sarebbe stato un errore?
La la la
La la la
Perciò ti lascerò, e vorrei che mi lasciassi per lasciarti
ma amante, credimi, non è perché non ho bisogno di te (lo sai che non ho bisogno di te)
Tutto ciò che volevo era essere voluta
ma mi stai affogando nel tuo bisogno di essere necessario
La la la
La la la la la la la la la
Ti voglio, e voglio che tu voglia che io ti voglia
ma non ho bisogno di te
non ho bisogno che tu abbia bisogno che io abbia bisogno di te
Sono semplicemente io
perciò prendimi o lasciami
ma per favore non avere bisogno di me
non avere bisogno che io abbia bisogno che tu abbia bisogno di me
Perché un istante siamo qui e l’istante dopo siamo morti
dunque amami e lasciami
ma cerca di non avere bisogno di me
Basta con le parole
ti voglio, ma non ho bisogno di te
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P.S. gennaio 2012: ho modificato la traduzione di un paio di versi (quelli che finiscono con to lick you e to love you). Inoltre avevo omesso di specificare che in alcuni casi la ridanciana struttura cela un doppio significato riguardo al bisogno, "need", smentito o dichiarato secondo la piega della lettura. Così, Don’t need you to need me to need you può essere: "non ho bisogno che tu abbia bisogno che io abbia bisogno di te" oppure: "non ho bisogno che tu abbia bisogno di me per avere bisogno di te".
09 ottobre 2011
Come e quanto
Come saranno i fuochi d'artificio della festa più bella che i sogni ti abbiano permesso d'immaginare? Quanto sarà ampio il luogo destinato ad accogliere tutti gli amici e le persone a te care di tutti i tempi?
L'immagine perfetta del desiderio bambino permane, per quanto impolverata dal lungo oblio. La sua ingenuità non si confonde con le imperfezioni di realtà casuali, non si scontra in competizioni. Quel prato cintato intorno alla villa l'hai visto o creato nella tua mente e sai bene che lì dentro non si patisce disagio, che il conflitto non vi trova piede, che è un piccolo paradiso con la verità di una fiaba.
Come sarà il nostro vivere alla rincorsa dell'improbabile? Quanto saranno difficili da scovare le pietre preziose al naturale, ascose lucentezze indistinguibili all'occhio avido?
Lo sguardo dentro il buio ce lo insegnarono di nuovo, di nuovo apprendemmo a fidarci dell'emanazione, a procedere tentoni risalendo il corso del tempo e così ritrovarci. Nessun percorso fa paura di per sé quando la mano e la mano si cercano, quando le dita ridisegnano volti, quando le carezze tracciano profili richiamando l'anima all'epidermide che risuona di armoniche.
Come saranno gli istanti presenti quando non esisterà un quando? In quanto tempo il tempo si annullerà nell'essere, quanto durerà per ciascun petalo il meraviglioso schiudersi?
L'eternità verticale di un momento magico non è più illusoria di tutto il resto. L'immensa vertigine del bello incontenibile si specchia in una bolla di saliva gonfiata per gioco, s'insabbia tra le curve di una pista per le biglie, risuona nel rimbalzo di un pallone sul cemento, odora di cantine scavalcate a nascondino, ha il gusto di una mela presa a Dio nel suo giardino.
L'immagine perfetta del desiderio bambino permane, per quanto impolverata dal lungo oblio. La sua ingenuità non si confonde con le imperfezioni di realtà casuali, non si scontra in competizioni. Quel prato cintato intorno alla villa l'hai visto o creato nella tua mente e sai bene che lì dentro non si patisce disagio, che il conflitto non vi trova piede, che è un piccolo paradiso con la verità di una fiaba.
Come sarà il nostro vivere alla rincorsa dell'improbabile? Quanto saranno difficili da scovare le pietre preziose al naturale, ascose lucentezze indistinguibili all'occhio avido?
Lo sguardo dentro il buio ce lo insegnarono di nuovo, di nuovo apprendemmo a fidarci dell'emanazione, a procedere tentoni risalendo il corso del tempo e così ritrovarci. Nessun percorso fa paura di per sé quando la mano e la mano si cercano, quando le dita ridisegnano volti, quando le carezze tracciano profili richiamando l'anima all'epidermide che risuona di armoniche.
Come saranno gli istanti presenti quando non esisterà un quando? In quanto tempo il tempo si annullerà nell'essere, quanto durerà per ciascun petalo il meraviglioso schiudersi?
L'eternità verticale di un momento magico non è più illusoria di tutto il resto. L'immensa vertigine del bello incontenibile si specchia in una bolla di saliva gonfiata per gioco, s'insabbia tra le curve di una pista per le biglie, risuona nel rimbalzo di un pallone sul cemento, odora di cantine scavalcate a nascondino, ha il gusto di una mela presa a Dio nel suo giardino.
04 ottobre 2011
Oggi come oggi
Io, io, io me lo ricordo di quando ci si era appena messi il grembiulino, si aveva giusto il tempo di aprire il quaderno, scrivere la data, aprire l'astuccio dei pastelli, disegnare un saio e un lupo e già arrivava un giorno di vacanza!
Io, io, io me lo ricordo di quando il 4 ottobre era festa nazionale e non sapevamo nemmeno distinguere tra festa laica e religiosa, ché tanto era uguale: si stava a casa da scuola, dal lavoro, si giocava, si mangiava, si rigiocava.
Io, io, io me lo ricordo di quando il 4 ottobre cadeva in settembre, sì in settembre: è che il calendario lo disegnavano così, perché lo disegnava una per cui disegnare era sempre stato un incubo e che piuttosto si sarebbe fatta sculacciare.
Io, io, io me lo ricordo di quando, oggi, è ancora estate ma la sera poi ti frega perché rinfresca. Anche se poi in fondo non è mica quella la fregatura, bensì il fatto che il mare e la montagna sono lontani da qui, troppo lontani, quasi come te.
Io, io, io me lo ricordo di quando il 4 ottobre era festa nazionale e non sapevamo nemmeno distinguere tra festa laica e religiosa, ché tanto era uguale: si stava a casa da scuola, dal lavoro, si giocava, si mangiava, si rigiocava.
Io, io, io me lo ricordo di quando il 4 ottobre cadeva in settembre, sì in settembre: è che il calendario lo disegnavano così, perché lo disegnava una per cui disegnare era sempre stato un incubo e che piuttosto si sarebbe fatta sculacciare.
Io, io, io me lo ricordo di quando, oggi, è ancora estate ma la sera poi ti frega perché rinfresca. Anche se poi in fondo non è mica quella la fregatura, bensì il fatto che il mare e la montagna sono lontani da qui, troppo lontani, quasi come te.
29 settembre 2011
L'ora che muove al navigare
Mica puoi avere il controllo su tutto.
Non sempre, dice, non sempre le cose vanno come desideri o come avevi previsto, le cose non vanno così o cosà, dice; ma il fatto, il fatto vero è che le cose non vanno, non vanno da sé, nemmeno se hanno le ruote. Le cose non vanno se non le fai andare tu.
Non puoi avere il controllo di tutto, ma se vuoi che qualcosa si muova, la devi smuovere e per farlo devi smuoverti tu.
Mica puoi avere il ricordo di tutto.
Non sempre riaffiora la nota al sentire, ma quando sai scegliere cosa ascoltare la trovi, prima o poi la ritrovi una canzone che fa per te e lo sai perché mentre la senti ti smuove la vita, poco sopra i fianchi del mondo. Senza paura riascolti il sentire.
Non puoi avere un ricordo su tutto, ma se per cantarne il fluire muovi l'anima, il marasma ingoia il pudore e puoi commuoverti, tu.
Non sempre, dice, non sempre le cose vanno come desideri o come avevi previsto, le cose non vanno così o cosà, dice; ma il fatto, il fatto vero è che le cose non vanno, non vanno da sé, nemmeno se hanno le ruote. Le cose non vanno se non le fai andare tu.
Non puoi avere il controllo di tutto, ma se vuoi che qualcosa si muova, la devi smuovere e per farlo devi smuoverti tu.
Mica puoi avere il ricordo di tutto.
Non sempre riaffiora la nota al sentire, ma quando sai scegliere cosa ascoltare la trovi, prima o poi la ritrovi una canzone che fa per te e lo sai perché mentre la senti ti smuove la vita, poco sopra i fianchi del mondo. Senza paura riascolti il sentire.
Non puoi avere un ricordo su tutto, ma se per cantarne il fluire muovi l'anima, il marasma ingoia il pudore e puoi commuoverti, tu.
30 agosto 2011
Passo dopo passo
Un giorno camminavo e pensavo a quel che avevo addosso: la maglietta faceva parte di uno stock dismesso, anzi mai messo, da mio cognato; i pantaloni erano il lascito del papà di una persona assai cara, come pure il maglione; il cappellino era in prestito, giacché il mio l'avevo perduto in una ricevitoria; il cellulare era di un'amica che non lo usava più, essendo il mio andato in frantumi nell'urto con un tavolino a un aperitivo di nozze; lo zaino arancione, uno splendido regalo; anche il marsupio mi era stato regalato, dai miei figli; le scarpe, da mio padre; insomma, solo le mutande le avevo comprate io, al mercato rionale.
Ebbene, quel giorno camminavo e mi sentivo leggero. Povero, sì, ma leggero e sorridente. Le condizioni migliori per camminare, a pensarci. Quel giorno, come pure altri giorni, le salite non mi sono pesate, anzi m'hanno soddisfatto e gratificato. Sudare le sette magliette diventa bello se l'occhio può spaziare, se il respiro può espandersi, se il cielo s'avvicina e questo è capitato più volte. Più volte la gioia dell'immensità d'intorno era incontenibile per il torace da cui pulsava per uscire, vorace del canto del sole sulle rocce, suoni misteriosi nell'apparente silenzio. Momenti belli, ancor più se riesci a condividerli con il sangue del tuo sangue.
Ebbene, quel giorno camminavo e mi sentivo leggero. Povero, sì, ma leggero e sorridente. Le condizioni migliori per camminare, a pensarci. Quel giorno, come pure altri giorni, le salite non mi sono pesate, anzi m'hanno soddisfatto e gratificato. Sudare le sette magliette diventa bello se l'occhio può spaziare, se il respiro può espandersi, se il cielo s'avvicina e questo è capitato più volte. Più volte la gioia dell'immensità d'intorno era incontenibile per il torace da cui pulsava per uscire, vorace del canto del sole sulle rocce, suoni misteriosi nell'apparente silenzio. Momenti belli, ancor più se riesci a condividerli con il sangue del tuo sangue.
25 luglio 2011
Onda su onda
Quella volta che dalla Sardegna tornai in aereo fu un trauma. Non me ne resi conto immediatamente, ma il distacco era stato troppo netto, troppo brusca la disparità climatica e cromatica. S'era in settembre, sul finire del secolo scorso, e per colmo di effetto speciale al contrario, a Milano trovammo la nebbia; la nebbia d'estate, senza nemmeno nessuno con cui protestare. (La nebbia d'estate l'avevo già vista a Agadir, incredulo nonostante mi avessero preavvertito -- e no, non avevo mica creduto a Bogart e compagnia bella, e invece).
Comunque, tornare da un posto così, come l'isola magica, tutto d'un tratto, non fa per me. Mi ci vuole più tempo, più gradualità, mi ci vuole il traghetto. Difatti, quella volta dell'aereo, piombai in una sorta di sottile abbacchiamento, un'esitazione ad accettare la realtà, un rifiuto ad abbracciare il grigiore del cielo di quei giorni dopo aver sbrigliato tanto a lungo e tanto in largo lo sguardo in cromie profumate, i sensi in sapori e spensieri, le energie in allegre delizie e feconde.
Dicono del mal di Sardegna, e sarà anche per quello, ma dev'essere soprattutto perché non ci so fare coi distacchi. Quella cosa per cui a una festa o anche in una serata qualsiasi vuoi essere sempre l'ultimo ad andartene, quella cosa per cui in nave stai ancora a lungo a poppa quando ormai la riva è lontana e invisibile all'occhio, quella cosa per cui ti restano attaccati lembi di cuore ai ricordi come pezzi di labbro alla sigaretta tenuta lì troppo a lungo.
Non ci so fare coi distacchi, sebbene mi ridica che "ogni distacco va considerato come un trampolino". Mi viene meglio tenere tesi e vivi i fili del sentire, anche a distanza di tempo e di spazio, mi viene meglio tenere in bocca e negli occhi aromi e colori e sorridere per averne goduto, per esserci stato. E solo poi, da quel sorriso, strizzare l'occhio ai gabbiani che accompagnano il navigare, senza capire se siano sempre gli stessi, eleganti angeli muti, a disegnar volteggi come inviti al futuro.
--
Musica: "Che colori hai negli occhi?" "Eh, verde smeraldo."
Comunque, tornare da un posto così, come l'isola magica, tutto d'un tratto, non fa per me. Mi ci vuole più tempo, più gradualità, mi ci vuole il traghetto. Difatti, quella volta dell'aereo, piombai in una sorta di sottile abbacchiamento, un'esitazione ad accettare la realtà, un rifiuto ad abbracciare il grigiore del cielo di quei giorni dopo aver sbrigliato tanto a lungo e tanto in largo lo sguardo in cromie profumate, i sensi in sapori e spensieri, le energie in allegre delizie e feconde.
Dicono del mal di Sardegna, e sarà anche per quello, ma dev'essere soprattutto perché non ci so fare coi distacchi. Quella cosa per cui a una festa o anche in una serata qualsiasi vuoi essere sempre l'ultimo ad andartene, quella cosa per cui in nave stai ancora a lungo a poppa quando ormai la riva è lontana e invisibile all'occhio, quella cosa per cui ti restano attaccati lembi di cuore ai ricordi come pezzi di labbro alla sigaretta tenuta lì troppo a lungo.
Non ci so fare coi distacchi, sebbene mi ridica che "ogni distacco va considerato come un trampolino". Mi viene meglio tenere tesi e vivi i fili del sentire, anche a distanza di tempo e di spazio, mi viene meglio tenere in bocca e negli occhi aromi e colori e sorridere per averne goduto, per esserci stato. E solo poi, da quel sorriso, strizzare l'occhio ai gabbiani che accompagnano il navigare, senza capire se siano sempre gli stessi, eleganti angeli muti, a disegnar volteggi come inviti al futuro.
--
Musica: "Che colori hai negli occhi?" "Eh, verde smeraldo."
18 luglio 2011
14 luglio 2011
Tradurre è un giardino di mestieri che si biforcano
Un esempio di intraducibilità lo si trova spesso nelle battute, ancor più di frequente nelle vignette o strisce comiche, come questa:
- Show me a philosopher leading a funeral procession...
- And I'll show you a guy who puts Descartes before the hearse.
Letteralmente, i due personaggi dicono:
"Mostrami un filosofo in testa a un funerale..."
"E ti mostrerò un tizio che mette Cartesio davanti al carro funebre."
Il fatto è che Descartes (Cartesio) in inglese suona più o meno come "the cart" (il carro), mentre "the hearse" (il carro funebre) richiama "the horse" (il cavallo). Sapendo che "to put the cart before the horse" equivale al nostro "mettere il carro davanti ai buoi", ecco che si svela il gioco di parole.
Ora dimmi: sarebbe stato possibile tradurlo o renderlo con un meccanismo umoristico equivalente? Come?
--
Precedenti: Esercizio di traduzione uno e due
- Show me a philosopher leading a funeral procession...
- And I'll show you a guy who puts Descartes before the hearse.
Letteralmente, i due personaggi dicono:
"Mostrami un filosofo in testa a un funerale..."
"E ti mostrerò un tizio che mette Cartesio davanti al carro funebre."
Il fatto è che Descartes (Cartesio) in inglese suona più o meno come "the cart" (il carro), mentre "the hearse" (il carro funebre) richiama "the horse" (il cavallo). Sapendo che "to put the cart before the horse" equivale al nostro "mettere il carro davanti ai buoi", ecco che si svela il gioco di parole.
Ora dimmi: sarebbe stato possibile tradurlo o renderlo con un meccanismo umoristico equivalente? Come?
--
Precedenti: Esercizio di traduzione uno e due
08 luglio 2011
Il cielo poi alla fine non cade mai
Un vero e proprio lavacro, a ripensarci. Forse una nuvola impazzita o chissà che, da su di botto scarica un temporalone battente*, non s'accontenta e rinforza con grandine, grossa, a picchiare su vetri e metalli; precari anfibi su ruote sollevano giochi d'acqua sui percorsi allagati mentre si procede verso il sole; tempo da arcobaleni, ma nisba, però i colori sono comunque più belli all'uscita da quell'autolavaggio celeste e non importa se poi i piedi si bagnano, non importa se niente di grosso è cambiato, perché basta un po' d'acqualuce nuova per sbattezzarsi e ribattezzarsi, un raggio di voce per risorridere al mondo un momento, anche senza l'arcobaleno, benché con l'arcobaleno sia meglio, si sa.
*stavo per scrivere in automatico "battente bandiera liberiana".
*stavo per scrivere in automatico "battente bandiera liberiana".
07 luglio 2011
Se per caso un giorno o l'altro
Che corricchiare e non correre sia il verbo giusto l'ho verificato anche oggi, quando due tizi mi hanno superato scheggiando via in scioltezza senza smettere di chiacchierare tra loro. Per la cronaca, non ho ceduto alla tentazione di forzare e ho mantenuto l'andatura. D'altronde la mia bravura era già stata un'altra: trovare la determinazione, nel pressante marasma lavorativo, di staccare per andarmi a concedere mezz'ora di sudore, non in dolce compagnia o amoroso convivio, ma in solitario.
Oddio, solitario per modo di dire, visto che sono perfino passato in mezzo a una caccia al tesoro, sorridendo alla ciurma che mi chiedeva invano delle dritte (dov'è una grossa scacchiera qui nel parco?), per non parlare dei pensieri che porto nel cuore e degli occhi tuttora intrisi di antico stupore. Se ero solo, lo ero col mondo intorno.
Oddio, solitario per modo di dire, visto che sono perfino passato in mezzo a una caccia al tesoro, sorridendo alla ciurma che mi chiedeva invano delle dritte (dov'è una grossa scacchiera qui nel parco?), per non parlare dei pensieri che porto nel cuore e degli occhi tuttora intrisi di antico stupore. Se ero solo, lo ero col mondo intorno.
05 luglio 2011
Ma non ci dorme più nessuno
Se leggo Consonno, ancora oggi penso a una delle due linee urbane di Seregno, la numero 3, che taglia la cittadina da sud a nord e che all'epoca mia prendeva il nome dai due capolinea "Stadio-Consonno" (l'altra è la numero 1, "Dosso-Ceredo", mentre la 2 non è mai pervenuta).
Ora, mentre ammazzo zanzare usando le mani come piatti bandistici, il ricordo s'ingarbuglia perché riaffiorano visioni e sensazioni di viaggi quotidiani al ritorno dalla Terza Scuola Media (vicino allo Stadio) fino a via Montello (verso il Dosso), su un autobus che presumibilmente seguiva un percorso ad hoc per noi scolari, impegnati per l'intero tragitto in goffi animaleschi approcci esplorativi col genere complementare, rappresentato dalle nostre già sviluppate compagne di classe. Un ben di dio cui non si sapeva bene come attingere, in un bailamme tra finta ritrosia e allegra connivenza da zona franca itinerante, che iniziava e cessava quotidianamente in quel percorso d'autobus.
Consonno, scopro invece dopo qualche decennio, non è solo un quartiere seregnese, ma un'ex località dell'alta Brianza: una cittadella fantasma, frazione di Olginate in provincia di Lecco, dalla storia quasi incredibile, oscillante tra farsesca amarezza e tragedia grottesca, come racconta con parole e immagini il bell'articolo del blog Bizzarro Bazar, che rimanda anche al sito sulla storia di Consonno.
Ora, mentre ammazzo zanzare usando le mani come piatti bandistici, il ricordo s'ingarbuglia perché riaffiorano visioni e sensazioni di viaggi quotidiani al ritorno dalla Terza Scuola Media (vicino allo Stadio) fino a via Montello (verso il Dosso), su un autobus che presumibilmente seguiva un percorso ad hoc per noi scolari, impegnati per l'intero tragitto in goffi animaleschi approcci esplorativi col genere complementare, rappresentato dalle nostre già sviluppate compagne di classe. Un ben di dio cui non si sapeva bene come attingere, in un bailamme tra finta ritrosia e allegra connivenza da zona franca itinerante, che iniziava e cessava quotidianamente in quel percorso d'autobus.
Consonno, scopro invece dopo qualche decennio, non è solo un quartiere seregnese, ma un'ex località dell'alta Brianza: una cittadella fantasma, frazione di Olginate in provincia di Lecco, dalla storia quasi incredibile, oscillante tra farsesca amarezza e tragedia grottesca, come racconta con parole e immagini il bell'articolo del blog Bizzarro Bazar, che rimanda anche al sito sulla storia di Consonno.
19 giugno 2011
Al parco, al parco!
Oggi ho risposto al richiamo della giornata che urla di azzurro e sole e sono tornato a corricchiare al parco Nord dopo oltre un anno.
Così, come se tutto fosse.
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Bonus musicale: Everybody's Gotta Learn Sometime interpetata da Beck, canzone ipnotica da un film la cui parola chiave per me è "intimità".
Così, come se tutto fosse.
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Bonus musicale: Everybody's Gotta Learn Sometime interpetata da Beck, canzone ipnotica da un film la cui parola chiave per me è "intimità".
16 giugno 2011
Kiss
Leggo del tempo e delle attese, leggo del pensiero nel respiro, riascolto rasentando il pericolo del cuore sullo strapiombo, mi si apre la bocca, esce la nota, forte, un po' rauca ma deve uscire, deve riaprirsi tutto l'ansimare dopo il troppo annegarsi, e pazienza se insieme alla determinazione escono da sole le lacrime, sono lacrime di perdono, di superamento dell'angoscia, soprattutto di quella ricusata, ed è a quel punto che mi viene in mente che oggi è un anno, un anno dallo stop delle radioterapie, un anno dal sollievo, ma non dall'abbandono del dolore, quello fisico del napalm in gola, quello più intimo e legato al desiderio e ai sogni infranti, non meno devastante seppur prolungato fino all'agonia, comunque non importa l'anniversario, importa quel che sa fare la musica, come sappia sempre scardinare tutto quanto, anche le difese che non si credeva di avere allestito, le armature che si vedono più facilmente osservando gli altri che non sé stessi, la musica che è magica e terribile e dolce e tremenda, la musica che vuole e deve risuonare dentro e fuori e anche a metà strada tra noi e gli altri, la musica che è vibrazione vitale anche quando ti scaraventa in aria senza essere lì a riprenderti quando cadrai, la musica che voglio riabbracciare, presto o anche non presto, per come sarò o non sarò capace, perché ricominci a colorarmi l'anima dei toni iridescenti che tanto mi piacciono, affinché l'incanto parta da dentro ancor prima che dalle meraviglie donate dagli inesauribili incontri del vivere.
10 giugno 2011
Tra pelle e spirito
Sonno, non ti ruberò campo per scrivere, lascerò sia tu a masterizzarmi il verbo di quel che non s'afferra. Corpo, comprimerò di schianto il tempo o carezzevolmente a compiacerti e accontentarti, e in notte di librato volo ti raggiungerò.
L'anima è di carne, in note di terreno ardire scandisce già l'attacco di un tacer che sa di sogno lucido. Un regno da scoprire, s'irradia un bel pulsare dal sé. Ammicca e poi svapora all'appello dell'esistere, puf. Ha il segno del tuo dire, nel muto temporale tra un trepidar di palpebre e un suo respiro, clic.
Dormo, ritroverò il tuo sonno, di remiganti sillabe tarpate. Voce risponderà allo sguardo mentre al vegliarti rivedrò il mio volto. Allora saprò del tuo e del mio sopore, oltre ogni tempo la bramosia di riallacciarci in tutti e sette i sensi.
L'anima è di carne, in note di terreno ardire scandisce già l'attacco di un tacer che sa di sogno lucido. Un regno da scoprire, s'irradia un bel pulsare dal sé. Ammicca e poi svapora all'appello dell'esistere, puf. Ha il segno del tuo dire, nel muto temporale tra un trepidar di palpebre e un suo respiro, clic.
Dormo, ritroverò il tuo sonno, di remiganti sillabe tarpate. Voce risponderà allo sguardo mentre al vegliarti rivedrò il mio volto. Allora saprò del tuo e del mio sopore, oltre ogni tempo la bramosia di riallacciarci in tutti e sette i sensi.
18 maggio 2011
Vai
Guideresti, ora, o ti pensi a farlo, lungo un'autostrada con un clima soleggiato ma non troppo caldo, con una radio accesa su musica gradevole ma non tua, con intorno paesaggi non abituali ma nemmeno ignoti, le mani su un volante ubbidiente, la leva del cambio docile e poi abbandonata, un motore onesto e agile di un'auto noleggiata, dimentico delle pesantezze eppure consapevole di un semigusto che abbevera ogni respiro, di un semisorriso che condiscende a quasi ogni sguardo, di un pensiero latente che prova a riesumare quanto hai sepolto in giardino: la dinamite dei sentimenti vissuti a metà.
Vai e vai e vai, guardi bevi mangiucchi, vai, scivolando sull'essere, vai, vai, vai, ascolti e lasci vagare il sé a sospendere il fare, vai e non sai, non sai quando né se ti fermerai, vai e intanto dolce lieve giunge un'autocarezza indulgente, un incoraggiamento dell'anima a far ricircolare linfa e calore, un sussurro dal vento tra i prati a rammentarti che il cuore saprà dischiudere i suoi petali ad altri aneliti e forse, un giorno, a ciascun istante del vivere.
Vai e vai e vai, guardi bevi mangiucchi, vai, scivolando sull'essere, vai, vai, vai, ascolti e lasci vagare il sé a sospendere il fare, vai e non sai, non sai quando né se ti fermerai, vai e intanto dolce lieve giunge un'autocarezza indulgente, un incoraggiamento dell'anima a far ricircolare linfa e calore, un sussurro dal vento tra i prati a rammentarti che il cuore saprà dischiudere i suoi petali ad altri aneliti e forse, un giorno, a ciascun istante del vivere.
02 maggio 2011
Uno di questi giorni
Cosa si può dire alle persone care di un'intera vita, lontane nel tempo o nello spazio? Così scrivevo ascoltando One Of These Days di Neil Young poco più di un anno fa. Riascolto il pezzo e le parole, mi tocca e lo capisco perché so che non ci si perde, anche quando sembra che. Lo so per esperienza, e sebbene poi i successivi distacchi non siano meno dolorosi, anzi, insisto ad affermare che è bello, è umano, è meglio rimanere collegati tramite fili invisibili, elettrodi dell'anima che quando si tendono danno strappi in mezzo al torace, vicino al cuore, ma che quando trasmettono danno energia a tutto l'essere.
Il testo lo trovi qui e dice più o meno così:
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti gli amici che ho conosciuto e proverò a ringraziarli tutti per i bei momenti passati insieme, anche se siamo cresciuti così distanti.
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti i buoni amici che ho conosciuto, uno di questi giorni, e non ci vorrà molto.
Ringrazierò quel vecchio violinista country e tutti quei ragazzotti rudi che suonano rock and roll. Non ho mai cercato di bruciare ponti, anche se so di aver trascurato alcune cose buone.
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti i buoni amici che ho conosciuto, uno di questi giorni, e non ci vorrà molto.
Da Los Angeles fino a Nashville, da New York alla mia prateria canadese, i miei amici sono sparsi qua e là come foglie di un vecchio acero. Alcuni sono deboli, altri forti.
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti i buoni amici che ho conosciuto, uno di questi giorni, e non ci vorrà molto.
Il testo lo trovi qui e dice più o meno così:
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti gli amici che ho conosciuto e proverò a ringraziarli tutti per i bei momenti passati insieme, anche se siamo cresciuti così distanti.
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti i buoni amici che ho conosciuto, uno di questi giorni, e non ci vorrà molto.
Ringrazierò quel vecchio violinista country e tutti quei ragazzotti rudi che suonano rock and roll. Non ho mai cercato di bruciare ponti, anche se so di aver trascurato alcune cose buone.
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti i buoni amici che ho conosciuto, uno di questi giorni, e non ci vorrà molto.
Da Los Angeles fino a Nashville, da New York alla mia prateria canadese, i miei amici sono sparsi qua e là come foglie di un vecchio acero. Alcuni sono deboli, altri forti.
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti i buoni amici che ho conosciuto, uno di questi giorni, e non ci vorrà molto.
28 aprile 2011
Come siamo Messi?
Da circa un decennio seguo il calcio solo saltuariamente, cosa che provoca tuttora sconcerto in chi mi conosceva prima, quando ero tifoso accanito.
Ciò detto, vi sono gioielli degni di ammirazione anche da parte degli agnostici ed è bene sottolineare comportamenti che rendono onore alla lealtà sportiva: nel filmato che s'intitola "Messi non si tuffa mai" si vede come il piccolo grande Lionel sdegni la possibilità di farsi fischiare sacrosanti falli a favore, cercando di continuare l'azione in qualsiasi condizione.
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Tra l'altro, ieri sera ha segnato un gol strepitoso, come già sottolineava lucah.
Ciò detto, vi sono gioielli degni di ammirazione anche da parte degli agnostici ed è bene sottolineare comportamenti che rendono onore alla lealtà sportiva: nel filmato che s'intitola "Messi non si tuffa mai" si vede come il piccolo grande Lionel sdegni la possibilità di farsi fischiare sacrosanti falli a favore, cercando di continuare l'azione in qualsiasi condizione.
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Tra l'altro, ieri sera ha segnato un gol strepitoso, come già sottolineava lucah.
24 aprile 2011
Attraverso
Risorgere si risorge, certo, come è certo che i buchi lasciati dai chiodi continuano a vedersi e si vedono perché ci sono, perché rimangono. Non crucciartene: nonostante tutto, lo sai, è meglio, molto meglio così che non cancellare tutto appiattendo la fisarmonica dei ricordi.
Dove inizi o finisca un uovo non è dato saperlo (le risposte "culo" e "bocca" non valgono), è un'altra versione dell'ouroboros, ma intuisci che se l'eterno ritorno esiste, la ciclicità ha luogo su una spirale e non su un cerchio, per cui ogni passaggio non sarà, non potrà mai essere identico al precedente. E meno male, altrimenti dimmi tu che sfizio ci sarebbe.
Mentre ti senti e sei padre e figlio con lo spirito giusto, lascia scorrere il laser sul disco fino alle tracce invisibili, è lì che troverai le sorprese pasquali.
Che le acque si aprano a permettere un buon passaggio oggi, che un mare rosso di fazzoletti al collo si richiuda sulle malvagità domani, per dar vita a nuovi respiri fino a innescare caldi sorrisi. Buona Pasqua e buon 25 aprile.
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Gli Easter egg li trovi, per esempio, nei DVD per l'intrattenimento domestico.
L'ouroboros (detto anche: uroboro, oroborus, uroboros o uroborus) era menzionato in un romanzo di Vázquez Montalbán.
Bonus musicale: Paul Weller, You Do Something To Me
Dove inizi o finisca un uovo non è dato saperlo (le risposte "culo" e "bocca" non valgono), è un'altra versione dell'ouroboros, ma intuisci che se l'eterno ritorno esiste, la ciclicità ha luogo su una spirale e non su un cerchio, per cui ogni passaggio non sarà, non potrà mai essere identico al precedente. E meno male, altrimenti dimmi tu che sfizio ci sarebbe.
Mentre ti senti e sei padre e figlio con lo spirito giusto, lascia scorrere il laser sul disco fino alle tracce invisibili, è lì che troverai le sorprese pasquali.
Che le acque si aprano a permettere un buon passaggio oggi, che un mare rosso di fazzoletti al collo si richiuda sulle malvagità domani, per dar vita a nuovi respiri fino a innescare caldi sorrisi. Buona Pasqua e buon 25 aprile.
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Gli Easter egg li trovi, per esempio, nei DVD per l'intrattenimento domestico.
L'ouroboros (detto anche: uroboro, oroborus, uroboros o uroborus) era menzionato in un romanzo di Vázquez Montalbán.
Bonus musicale: Paul Weller, You Do Something To Me
08 aprile 2011
La vita mi piace un mondo
Insieme alla tessera del cineforum mi avevano dato un libricino di presentazioni, che leggo sempre dopo aver visto il film. Stamane ho avuto la bella sorpresa di vedervi citato un post di Elena Chesta a proposito di Julia Child, alla quale sul grande schermo dà vita l'immensa Meryl Streep.
Sarà un po' infantile, ma è stato bello l'effetto di veder proiettato nel quotidiano vivere uno spicchio di vita sul web (ché il mondo delle reti relazionali come lo intendiamo qui, dicemmo e ribadiamo, non è virtuale -- e questo non è plurale maiestatico, ma sentire condiviso).
Sull'onda del sorriso scivola il ricordo e riemerge un aneddoto: un paio d'anni fa un mio amico e vecchio compagno di palco, preparando il suo matrimonio, chiese al suo attuale cantante di consigliargli un dj da ingaggiare per la festa. Lui gli indicò un certo Manlio e cercando conforto al parere rovistò su internet per qualche notizia, trovò una recensione e gliela spedì via mail. Era un mio vecchio post e la sera in cui ci presentarono ci ridemmo su tutti insieme, brindando alle coincidenze, ai cerchi, alle cerchie, ai cerchioni, e naturalmente al rock!
Il fatto è che il mondo è piccolo e la rete è grande.
A quel matrimonio, poi, fui casualmente catalizzatore di una specie di carrambata, presentando mio fratello a Elena Petulia: momenti di commossa ilarità quando venne fuori che Beppe e il padre di lei si conoscevano bene...
Gli è che il frantumarsi dei gradi di separazione mi diverte e mi fa gioire, quasi fosse una proiezione di quei lacci bianchi illuminati.
--
...finché mi risucchia una galassia a spirale dritto dritto nel dna dell'universo e risbucherò fuori nel mattino del tunnel blu senza ricordare nulla tranne una fragranza di buono e bello e uno sventolio di lacci bianchi a collegare il sempreora e il tuttovoglio con un bacio dal cuore del sole di notte, attraverso l’inverno a dar calore al nuovo chiarore.
Sarà un po' infantile, ma è stato bello l'effetto di veder proiettato nel quotidiano vivere uno spicchio di vita sul web (ché il mondo delle reti relazionali come lo intendiamo qui, dicemmo e ribadiamo, non è virtuale -- e questo non è plurale maiestatico, ma sentire condiviso).
Sull'onda del sorriso scivola il ricordo e riemerge un aneddoto: un paio d'anni fa un mio amico e vecchio compagno di palco, preparando il suo matrimonio, chiese al suo attuale cantante di consigliargli un dj da ingaggiare per la festa. Lui gli indicò un certo Manlio e cercando conforto al parere rovistò su internet per qualche notizia, trovò una recensione e gliela spedì via mail. Era un mio vecchio post e la sera in cui ci presentarono ci ridemmo su tutti insieme, brindando alle coincidenze, ai cerchi, alle cerchie, ai cerchioni, e naturalmente al rock!
Il fatto è che il mondo è piccolo e la rete è grande.
A quel matrimonio, poi, fui casualmente catalizzatore di una specie di carrambata, presentando mio fratello a Elena Petulia: momenti di commossa ilarità quando venne fuori che Beppe e il padre di lei si conoscevano bene...
Gli è che il frantumarsi dei gradi di separazione mi diverte e mi fa gioire, quasi fosse una proiezione di quei lacci bianchi illuminati.
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...finché mi risucchia una galassia a spirale dritto dritto nel dna dell'universo e risbucherò fuori nel mattino del tunnel blu senza ricordare nulla tranne una fragranza di buono e bello e uno sventolio di lacci bianchi a collegare il sempreora e il tuttovoglio con un bacio dal cuore del sole di notte, attraverso l’inverno a dar calore al nuovo chiarore.
04 aprile 2011
Oggi e sempre
Non c'è foto che tenga, figlio mio. Non c'è macchina da immagini abbastanza capiente, non grandangolo sufficientemente ampio, non esiste diaframma tanto sagace né obiettivo davvero capace di catturare tutto quel che smuovi tu e che il grandanimo effonde guardagodendoti nel naturale essere.
Il cielo, il caldo, la campagna a cinque passi dal solito ristare, una passeggiata tante volte esperita e sempre diversa, stavolta di più perché, ci rendiamo conto dai colori, per la prima volta è in primavera. Si dice che il mare sia blu e invece ne conosciamo le innumerevoli sfumature: lo stesso è per il verde del prato, lo vedi, lo vediamo. Poi, poco prima di dov'era quella volta il riccio, ecco i fiori viola delle ortiche, ben frequentati da bombi golosi. L'aratura marrone del granturco e poi di nuovo l'erba, morbida, giustaccogliente per sdraiarsi in un po' d'oblio.
Una fioritura bianca da andare a veder da vicino, nuovo spettacolo in ogni singolo fiore, rami da accarezzare, boccioli da incoraggiare e la magia del guardarli da sotto in su, spillone emotivo a trafiggere in unica estasi cuore occhio e cielo. La condivisione raddoppia il piacere, ne conveniamo. E poi ti vedo partire di corsa e tuffarti nell'erbetta alta, e percepisco l'enormità di un lievitare, dietro lo sterno e fino in gola, da cuorpompante che parola non cattura, per la felicità dell'essere, effimera ed eterna per ciascun istante. Non ho di che fissare in oggetto quel momento, ma non c'è foto che tenga, figlio mio, gioia grande. Sii.
Il cielo, il caldo, la campagna a cinque passi dal solito ristare, una passeggiata tante volte esperita e sempre diversa, stavolta di più perché, ci rendiamo conto dai colori, per la prima volta è in primavera. Si dice che il mare sia blu e invece ne conosciamo le innumerevoli sfumature: lo stesso è per il verde del prato, lo vedi, lo vediamo. Poi, poco prima di dov'era quella volta il riccio, ecco i fiori viola delle ortiche, ben frequentati da bombi golosi. L'aratura marrone del granturco e poi di nuovo l'erba, morbida, giustaccogliente per sdraiarsi in un po' d'oblio.
Una fioritura bianca da andare a veder da vicino, nuovo spettacolo in ogni singolo fiore, rami da accarezzare, boccioli da incoraggiare e la magia del guardarli da sotto in su, spillone emotivo a trafiggere in unica estasi cuore occhio e cielo. La condivisione raddoppia il piacere, ne conveniamo. E poi ti vedo partire di corsa e tuffarti nell'erbetta alta, e percepisco l'enormità di un lievitare, dietro lo sterno e fino in gola, da cuorpompante che parola non cattura, per la felicità dell'essere, effimera ed eterna per ciascun istante. Non ho di che fissare in oggetto quel momento, ma non c'è foto che tenga, figlio mio, gioia grande. Sii.
01 aprile 2011
Un giorno perfetto per i pesci banana
Apri le
gambe, sirenetta.
Come, scusa, cosa
vuol dire che
per te
non è uno scherzo?
gambe, sirenetta.
Come, scusa, cosa
vuol dire che
per te
non è uno scherzo?
29 marzo 2011
Bestiaccia
Quelle d'idee sono associazioni a delinquere.
Cala la palpebra, vado a sciacquar la faccia, poi esco sul balcone dove mi trovo sempre a metà del cielo, di qua l'azzurro di là le nubi, che oggi sembrano voler seguire l'arco del sole per fargli da alabastro.
Ma cos'è 'sta sonnolenza, cos'è questo languore, sarà l'età o la primavera, sto per chiedermi, quando mi ricordo della maledetta zanzara che alle 4.55 m'ha svegliato per sempre, riaddormicchiarmi non vale come vero riposo, specialmente se il naso chiuso da presumibile allergia al cloro impedisce una soave respirazione. E va be', insomma, cosa vuoi che sia una zanzara, dove può portarti una luce accesa nel cuor del buio per darle la caccia... è che le associazioni d'idee son malandrine e insinuano lo struggimento dove la stanchezza lascia varchi.
Dunque non resta che scoprire un pezzo da ascoltare e lasciare che il pensiero vaghi attorno a formule di desiderio, tipo questa, magari: "Fammi fermare il tempo, fammi andare avanti e indietro nel tempo, a piacimento. Fammi fermare dove mi è piaciuto stare. Fammi restare lì per sempre. Per sempre."
Che poi so già che non accetterei, che vivere voglio vivere davvero, voglio, e per vivere davvero si va avanti e fino in fondo, si va, però... ma è tutta colpa delle associazioni d'idee, maledetta zanzara, e di un letto semivuoto.
--
Ribadisco anche qui l'attribuzione precisando che la formula presa a prestito è di Flounder.
Cala la palpebra, vado a sciacquar la faccia, poi esco sul balcone dove mi trovo sempre a metà del cielo, di qua l'azzurro di là le nubi, che oggi sembrano voler seguire l'arco del sole per fargli da alabastro.
Ma cos'è 'sta sonnolenza, cos'è questo languore, sarà l'età o la primavera, sto per chiedermi, quando mi ricordo della maledetta zanzara che alle 4.55 m'ha svegliato per sempre, riaddormicchiarmi non vale come vero riposo, specialmente se il naso chiuso da presumibile allergia al cloro impedisce una soave respirazione. E va be', insomma, cosa vuoi che sia una zanzara, dove può portarti una luce accesa nel cuor del buio per darle la caccia... è che le associazioni d'idee son malandrine e insinuano lo struggimento dove la stanchezza lascia varchi.
Dunque non resta che scoprire un pezzo da ascoltare e lasciare che il pensiero vaghi attorno a formule di desiderio, tipo questa, magari: "Fammi fermare il tempo, fammi andare avanti e indietro nel tempo, a piacimento. Fammi fermare dove mi è piaciuto stare. Fammi restare lì per sempre. Per sempre."
Che poi so già che non accetterei, che vivere voglio vivere davvero, voglio, e per vivere davvero si va avanti e fino in fondo, si va, però... ma è tutta colpa delle associazioni d'idee, maledetta zanzara, e di un letto semivuoto.
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Ribadisco anche qui l'attribuzione precisando che la formula presa a prestito è di Flounder.
25 marzo 2011
Bi-sogno
La voce deve riposare, l'orecchio no. Voglio musica, quella delle note e quella delle voci, quella dei sorrisi e delle domande, dei racconti e dei respiri. Ubriaco di sonno per le ore mancate, ebbro di acquazzoni salati per le vite svaporate, cerco carezze nell'aria e sono fatte di parole. O di ricordi. Parole e silenzi, lontananze e assenze. Scambi che colmano gli istanti e scolorano poi nello straniamento. Strani intrecci e pulsanti emozioni. Numeri e dadi. Lanci condivisi, slanci frustrati. Inchiostri di condizionali e di futuri negati, mancanze liquide capaci di riempirti fino all'implosione, tracciati geroglifici sul palmo di una mano. Il sentire passa dai polpastrelli, l'elettricità si avrà al contatto e solo allora la malinconia saprà farsi accarezzare via, almeno per un po', almeno per un po'. Devo appassionarmi di me. Universo, fammi le fusa, non sarà uno spreco.
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Bonus: Carlos Gardel, El día que me quieras
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Bonus: Carlos Gardel, El día que me quieras
23 marzo 2011
Di lei ci vivrei
Ieri era la giornata dell'acqua, ma voglio parlare dell'aria.
Di nuovo è il tempo in cui stendere il bucato fuori è non solo efficace, ma gradevole: affidi i panni all'aria e l'apertura sua te li profuma. La brezza soffia lieve, ma scompiglia e pare ebbrezza, strafatta di cromie che adescano la pelle. Seppure spalancato, l'occhio coglie l'invisibile e con respiro grato dice "vivo", ché è bene ricordarselo di quando in quando.
Di quando in quando è bene ricordarsi di quel che c'è e si dà per scontato. L'aria te lo insegna: magari non la calcoli, poi annaspi alla prima apnea. In verità, da queste parti, geopoliticamente parlando, s'annaspa tutto l'anno: la città e il suo hinterland sono fatti per la venerazione delle automobili, mai messe in discussione a favore dei portatori di polmoni.
Polmoni cercansi: polmoni rosa per scambi aerei senza bombardamenti, polmoni verdi per cittadini verdi di bile al semaforo rosso, polmoni d'acciaio per spasimanti dispnoici, polmoni pulsanti d'alacrità, polmoni allargati per chi agli spasmi caotici del quotidiano andirivieni fa ciao con la manina, almeno ogni tanto, per abbracciare il vento fino a scarmigliarsi il vivere.
--
Bonus musicale: Strade parallele (Aria siciliana) - Giuni Russo e Franco Battiato
P.S.: dell'acqua ha parlato ieri in tutti i sensi Mitì, cui oggi vanno gli auguri di buon compleblog.
Di nuovo è il tempo in cui stendere il bucato fuori è non solo efficace, ma gradevole: affidi i panni all'aria e l'apertura sua te li profuma. La brezza soffia lieve, ma scompiglia e pare ebbrezza, strafatta di cromie che adescano la pelle. Seppure spalancato, l'occhio coglie l'invisibile e con respiro grato dice "vivo", ché è bene ricordarselo di quando in quando.
Di quando in quando è bene ricordarsi di quel che c'è e si dà per scontato. L'aria te lo insegna: magari non la calcoli, poi annaspi alla prima apnea. In verità, da queste parti, geopoliticamente parlando, s'annaspa tutto l'anno: la città e il suo hinterland sono fatti per la venerazione delle automobili, mai messe in discussione a favore dei portatori di polmoni.
Polmoni cercansi: polmoni rosa per scambi aerei senza bombardamenti, polmoni verdi per cittadini verdi di bile al semaforo rosso, polmoni d'acciaio per spasimanti dispnoici, polmoni pulsanti d'alacrità, polmoni allargati per chi agli spasmi caotici del quotidiano andirivieni fa ciao con la manina, almeno ogni tanto, per abbracciare il vento fino a scarmigliarsi il vivere.
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Bonus musicale: Strade parallele (Aria siciliana) - Giuni Russo e Franco Battiato
P.S.: dell'acqua ha parlato ieri in tutti i sensi Mitì, cui oggi vanno gli auguri di buon compleblog.
22 marzo 2011
Turzo
Ieri ho fatto cinquantaquattro vasche. 54 per me non è un numero qualsiasi: invariabilmente nel pensiero mi si associa al cavolfiore e al suo torsolo.
Bisogna sapere che in casa mia si è sempre parlato a numeri, quelli della smorfia, o cabala napoletana, giacché nei numeri del lotto era il mestiere di mio padre e di entrambi i suoi genitori. Già ho detto di mio nonno e della sacralità che per me da bambino rivestivano le estrazioni del lotto. Quello che forse non ho mai scritto è che per me e i miei fratelli è sempre stato normale sentirsi chiedere dove fosse il 50 (pane) al momento di mettersi a tavola, chi avesse voglia di preparare il 34 (caffè) o se avessimo abbastanza 46 (soldi) in tasca prima di uscire. Il significato era per tutti quanti talmente ovvio che in caso di corrispondenze con termini sconvenienti, il numero veniva pronunciato a bassa voce o comunque in modo più discreto: era il caso del 18 (gabinetto) o dei vari riferimenti erotici: 6 e 29 (organi genitali femminili e maschili), 16 (il posteriore), 28 (le zizze).
Tornando al 54, mio nonno lo usava nella particolare accezione del "turzo 'e cavoliciore", che denota non troppo sgarbatamente una persona fessacchiotta. In effetti un po' fesso lo sono, però, come il cavolfiore, cotto son buono, assaggiami: ho un cuorcontento grato alla vita, gratinato d'amore è la morte mia.
--
Altri numeri smorfiati in questo blog: 12, 21, (42), 47-72-90, 2209.
Bisogna sapere che in casa mia si è sempre parlato a numeri, quelli della smorfia, o cabala napoletana, giacché nei numeri del lotto era il mestiere di mio padre e di entrambi i suoi genitori. Già ho detto di mio nonno e della sacralità che per me da bambino rivestivano le estrazioni del lotto. Quello che forse non ho mai scritto è che per me e i miei fratelli è sempre stato normale sentirsi chiedere dove fosse il 50 (pane) al momento di mettersi a tavola, chi avesse voglia di preparare il 34 (caffè) o se avessimo abbastanza 46 (soldi) in tasca prima di uscire. Il significato era per tutti quanti talmente ovvio che in caso di corrispondenze con termini sconvenienti, il numero veniva pronunciato a bassa voce o comunque in modo più discreto: era il caso del 18 (gabinetto) o dei vari riferimenti erotici: 6 e 29 (organi genitali femminili e maschili), 16 (il posteriore), 28 (le zizze).
Tornando al 54, mio nonno lo usava nella particolare accezione del "turzo 'e cavoliciore", che denota non troppo sgarbatamente una persona fessacchiotta. In effetti un po' fesso lo sono, però, come il cavolfiore, cotto son buono, assaggiami: ho un cuorcontento grato alla vita, gratinato d'amore è la morte mia.
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Altri numeri smorfiati in questo blog: 12, 21, (42), 47-72-90, 2209.
21 marzo 2011
Che ci giunga
Da giorni cielo e sole ne proclamavano l'imminente rifiorire.
Primavera, stagione caricata a molla, pazza come marzo, incoraggiante come aprile, dolce come maggio. Scaturisce all'essere e sboccia, carica di novità inquietanti o spiazzanti, pregna di frizzanti meraviglie strane o incredibili, traccia fili in aria e si dipinge in acquerelli dalle imprevedibili cromie, straniandoti risboccia in densità colorate di magie.
Mentre il mondo incongruente rimbomba di orrori e pianti sfiguranti, la natura riesplode impetuosa ed è un carrarmato è un tornado è un'onda è una forza raggiante e mortale con la fretta di rivivere. Tu guardi al mondo e t'ingiostri, il globo puntino rotante che pulsa di affanni, il cosmico ritmo atrioventricolare che pompa ricordi dal futuro, negli occhi una nube di mistero toglie il tempo dal respiro e ti perdi girando nel vuoto del blu.
Eppure. Fai l'occhiolino a una luna bucaniera che immette argento squarcianubi con potente ardire. Quel mondo, lo stesso mondo si lascia guardare fin dietro i colori rivelavita e la scena si fa ricca di doni, lo sguardo vi ambisce e s'incanta, a lungo. Molti sono gli scrigni di bellezza e preziosità, qualcuno irresistibile. Bello che esistano, sebbene talvolta sia assai arduo imparare ad accontentarsi di ammirarli da lontano, come si fa con l'arcobaleno, creatura di luce capace di unire in un bacio il cielo e la terra.
Buona iridescente giornata.
Primavera, stagione caricata a molla, pazza come marzo, incoraggiante come aprile, dolce come maggio. Scaturisce all'essere e sboccia, carica di novità inquietanti o spiazzanti, pregna di frizzanti meraviglie strane o incredibili, traccia fili in aria e si dipinge in acquerelli dalle imprevedibili cromie, straniandoti risboccia in densità colorate di magie.
Mentre il mondo incongruente rimbomba di orrori e pianti sfiguranti, la natura riesplode impetuosa ed è un carrarmato è un tornado è un'onda è una forza raggiante e mortale con la fretta di rivivere. Tu guardi al mondo e t'ingiostri, il globo puntino rotante che pulsa di affanni, il cosmico ritmo atrioventricolare che pompa ricordi dal futuro, negli occhi una nube di mistero toglie il tempo dal respiro e ti perdi girando nel vuoto del blu.
Eppure. Fai l'occhiolino a una luna bucaniera che immette argento squarcianubi con potente ardire. Quel mondo, lo stesso mondo si lascia guardare fin dietro i colori rivelavita e la scena si fa ricca di doni, lo sguardo vi ambisce e s'incanta, a lungo. Molti sono gli scrigni di bellezza e preziosità, qualcuno irresistibile. Bello che esistano, sebbene talvolta sia assai arduo imparare ad accontentarsi di ammirarli da lontano, come si fa con l'arcobaleno, creatura di luce capace di unire in un bacio il cielo e la terra.
Buona iridescente giornata.
28 febbraio 2011
Quello che non ho
Non è che non lo si possa fare, ma è inutile cercare quel che non c'è. O cercarlo dove non c'è.
Così è per il proverbiale "midi à quatorze heures" ("Non cercate il mezzogiorno alle due!", tale sarebbe risuonato in una resa letterale l'ammonimento che Madame Ponsy ci rivolgeva nel secolo scorso durante le lezioni di traduzione). Così è, pure, per un ventinove febbraio in un anno non bisestile. Così è, purtroppo, per i fili che pur aleggiando ancora in qualche dimensione sottile faticano a trovare o ritrovare gustosa consistenza nel mondo della comunicazione terrena.
Per questo tra poco si passerà direttamente al primo marzo, per questo l'orologio non tornerà indietro, per questo il sorriso punterà a ricentrarsi sul qui e ora. Ben sapendo, tuttavia, che un anno bisestile prima o poi torna, che ai fusi orari anticipati si può anche andare incontro e che il "qui e ora", se lo si vuol portar con sé, può stare anche in uno zainetto arancione.
--
Nota: dato che in rete c'è chi finisce anche qui cercando di capire come si traducano determinate espressioni, diciamo chiaramente che "chercher midi à quatorze heures" significa "complicarsi l'esistenza".
Così è per il proverbiale "midi à quatorze heures" ("Non cercate il mezzogiorno alle due!", tale sarebbe risuonato in una resa letterale l'ammonimento che Madame Ponsy ci rivolgeva nel secolo scorso durante le lezioni di traduzione). Così è, pure, per un ventinove febbraio in un anno non bisestile. Così è, purtroppo, per i fili che pur aleggiando ancora in qualche dimensione sottile faticano a trovare o ritrovare gustosa consistenza nel mondo della comunicazione terrena.
Per questo tra poco si passerà direttamente al primo marzo, per questo l'orologio non tornerà indietro, per questo il sorriso punterà a ricentrarsi sul qui e ora. Ben sapendo, tuttavia, che un anno bisestile prima o poi torna, che ai fusi orari anticipati si può anche andare incontro e che il "qui e ora", se lo si vuol portar con sé, può stare anche in uno zainetto arancione.
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Nota: dato che in rete c'è chi finisce anche qui cercando di capire come si traducano determinate espressioni, diciamo chiaramente che "chercher midi à quatorze heures" significa "complicarsi l'esistenza".
13 febbraio 2011
Quando gli occhi chiedono
Un film è davvero bello quando alla seconda visione risulta addirittura migliore. Il segreto dei suoi occhi di Juan José Campanella, opera di notevole levatura per temi e trattazione, lo è.
Il tentativo di scrittura con cui si apre raddoppia per un momento il velo del fittizio dinanzi agli occhi dello spettatore, che non sa se un secondo schermo si frapponga tra fruizione e narrazione. Quando poi il racconto retrospettivo si rivela reale, dispiega un secondo intreccio di eventi e di emozioni: come in un'ouverture operistica, i temi si propongono subito tutti quanti, in una ricchezza sospesa.
Un caso archiviato, la volontà di ripescarlo dalla memoria e di riesumarne protagonisti e vittime, anche collaterali; un fastello di ricordi misti al rimpianto di un mancato vivere; una doppia vicenda che alternando i piani temporali si dipana a nuovi sviluppi. Sullo sfondo, la percezione di un'Argentina alla vigilia di orrende prevaricazioni. Il golpe, viscidume stramaledetto, strisciava già da prima e teneva ghermito il senso del giusto e il respiro dei giusti: contraltare pubblico, politico, della bellezza brutalizzata.
Gli attori sono bravi e ben diretti, ruoli secondari compresi. Tra di essi, quello di Pablo Sandoval, sottoposto del viceispettore Benjamín Esposito, rappresenta il personaggio chiave per le dinamiche del film. Detta i tempi comici, ha le intuizioni giuste per smuovere le acque dell'indagine, dice come stanno le cose anche sul piano privato, pronuncia il fondamentale discorso sulle passioni. Alcolista pervicace, impenitente, disadattato, nella sua innocente consapevolezza regala spunti quasi farseschi, ma lo si immagina capace d'eroismo tragico.
Titolo del romanzo ispiratore è La pregunta de sus ojos, letteralmente: la domanda dei suoi occhi. A saperli leggere, gli occhi, insieme agli sguardi che convogliano, danno la risposta, che solo il timore impedisce al protagonista di cogliere anche per sé stesso, oltre che per il caso da risolvere. Risposta che per qualcuno chiude le porte alla vita, alla speranza, alla voglia di futuro.
Eppure, perfino decenni dopo, le porte, anche quelle del cielo, si possono riaprire: basta accorgersene, trovare la chiave giusta per convincersi che quanto sembra impossibile, di rado lo è di fatto. L'esitazione e la paura fanno perdere interi tranci di vita. E invece, quando gli occhi chiedono, la risposta dev'essere tremendamente appassionata.
Il tentativo di scrittura con cui si apre raddoppia per un momento il velo del fittizio dinanzi agli occhi dello spettatore, che non sa se un secondo schermo si frapponga tra fruizione e narrazione. Quando poi il racconto retrospettivo si rivela reale, dispiega un secondo intreccio di eventi e di emozioni: come in un'ouverture operistica, i temi si propongono subito tutti quanti, in una ricchezza sospesa.
Un caso archiviato, la volontà di ripescarlo dalla memoria e di riesumarne protagonisti e vittime, anche collaterali; un fastello di ricordi misti al rimpianto di un mancato vivere; una doppia vicenda che alternando i piani temporali si dipana a nuovi sviluppi. Sullo sfondo, la percezione di un'Argentina alla vigilia di orrende prevaricazioni. Il golpe, viscidume stramaledetto, strisciava già da prima e teneva ghermito il senso del giusto e il respiro dei giusti: contraltare pubblico, politico, della bellezza brutalizzata.
Gli attori sono bravi e ben diretti, ruoli secondari compresi. Tra di essi, quello di Pablo Sandoval, sottoposto del viceispettore Benjamín Esposito, rappresenta il personaggio chiave per le dinamiche del film. Detta i tempi comici, ha le intuizioni giuste per smuovere le acque dell'indagine, dice come stanno le cose anche sul piano privato, pronuncia il fondamentale discorso sulle passioni. Alcolista pervicace, impenitente, disadattato, nella sua innocente consapevolezza regala spunti quasi farseschi, ma lo si immagina capace d'eroismo tragico.
Titolo del romanzo ispiratore è La pregunta de sus ojos, letteralmente: la domanda dei suoi occhi. A saperli leggere, gli occhi, insieme agli sguardi che convogliano, danno la risposta, che solo il timore impedisce al protagonista di cogliere anche per sé stesso, oltre che per il caso da risolvere. Risposta che per qualcuno chiude le porte alla vita, alla speranza, alla voglia di futuro.
Eppure, perfino decenni dopo, le porte, anche quelle del cielo, si possono riaprire: basta accorgersene, trovare la chiave giusta per convincersi che quanto sembra impossibile, di rado lo è di fatto. L'esitazione e la paura fanno perdere interi tranci di vita. E invece, quando gli occhi chiedono, la risposta dev'essere tremendamente appassionata.
29 gennaio 2011
Giorni e giorni e giorni della merla
C’è un rituale, c’è un andare in tondo, ci sono bimbi che sorridono, mamme che salutano, frutta candita, nuvole di fiato. Gli sguardi non si posano per molto, cercano. Cercano in giro, come se sapessero di dover trovare altro. Trovare o forse ritrovare. Le giostre non sono mai fuori stagione, né lo è la fiamma dell’infatuazione, vera o fatua che sia.
Accanto, un luccichio di complicità colora l’iride e ancor più il sorriso, goloso di sapori da scoprire o forse riscoprire. Un gettone e si parte, il contatto è immediato e il rinculo subito cancellato dal primo urto laterale; si prendono le misure per districarsi girando all’infinito il volante e premendo il pedale tra urletti assortiti e l’antiritmo di canzoni melense sparate insulsamente fino a far gracchiare gli altoparlanti.
Lui sa che si fermerà per un po’, ma non a lungo. Non sa dove ha lasciato la sua vita e pensa che ha perso il destino o il senso di averne uno. Guarda e legge come in un fumetto i pensieri della sventola straniera che sta campendo del suo lunghissimo passo le vie dello shopping invernale: Ti sento nei miei capelli, sento il tuo odore mentre cammino specchiandomi tutta nelle vetrine e negli occhi di passanti ingolositi. Sono poche ore e già mi manchi. Il peggio è sapere che è solo un’anticipazione di quanto succederà domani, su quell’aereo, e poi i giorni seguenti, ogni volta che il piede premerà sulla tavoletta per accelerare la distrazione su un qualsiasi rettilineo.
Quei due ridono, quelle altre ammiccano complici, anche in quel gruppetto motteggiano sotto i portici. Il freddo non esiste o meglio non resiste alla voglia di identità: dimostrare le appartenenze serve e un filo di nudo anche d’inverno trova spazio. Occhi bistrati e bistrattati, troppo azzurre e troppo rosa le palpebre, troppo carico il kajal, pesanti le matite e catarifrangenti le labbra. Però esserci e sapersi lì insieme conta, conta più di tutto, e in quel momento basta. Tutto il mondo, fuori.
Di fronte allo specchio, ricorda di essere stato un bel bocconcino, conteso addirittura e capace di leggerezza, nonché di stupide leggerezze. D’altronde, le priorità erano altre. Rievoca la prelibatezza del gioco, un modo di essere e fare cui abbandonarsi con serietà, quella indispensabile alla gioia che sa di sé. Già, il gioco, da cui farsi rapire con estasi fanciullesca e in fin dei conti un po’ cogliona, sì, ma vera e piena di presente. Di fronte allo specchio, anni dopo, gli occhi sono arrossati, l’epidermide chiede protezione, le pupille scintillano cogliendo l’immensa velocità del cronosoffio, mentre tutto viene rimandato come se ci fosse davvero tempo, come se bastasse anelare per garantirsi la prospettiva di nuovi splendori, di splendori nuovi o rinnovati.
Tutti quanti aspettano che il sole torni a scottare sulla pelle, disposti a sacrificarglisi fino al rossore, fino alle bolle se necessario. Sperano anche nel vento, quello capace di far alzare in volo gli aquiloni. E in un’onda da cavalcare, la preferita, indorata dal sole, richiamata dal mare o dall’amare. Senza nemmeno ancora allertare l’apparato circolatorio, ecco che una nuova felicità, illusoria o meno, agile si fa strada tra lo schiudersi delle labbra e lo stupore dietro alle palpebre. I bimbi dalle guance tonde, intanto, starnutiscono aggrappati a un albero, in attesa di un viaggiatore del tempo che li venga a prendere.
Accanto, un luccichio di complicità colora l’iride e ancor più il sorriso, goloso di sapori da scoprire o forse riscoprire. Un gettone e si parte, il contatto è immediato e il rinculo subito cancellato dal primo urto laterale; si prendono le misure per districarsi girando all’infinito il volante e premendo il pedale tra urletti assortiti e l’antiritmo di canzoni melense sparate insulsamente fino a far gracchiare gli altoparlanti.
Lui sa che si fermerà per un po’, ma non a lungo. Non sa dove ha lasciato la sua vita e pensa che ha perso il destino o il senso di averne uno. Guarda e legge come in un fumetto i pensieri della sventola straniera che sta campendo del suo lunghissimo passo le vie dello shopping invernale: Ti sento nei miei capelli, sento il tuo odore mentre cammino specchiandomi tutta nelle vetrine e negli occhi di passanti ingolositi. Sono poche ore e già mi manchi. Il peggio è sapere che è solo un’anticipazione di quanto succederà domani, su quell’aereo, e poi i giorni seguenti, ogni volta che il piede premerà sulla tavoletta per accelerare la distrazione su un qualsiasi rettilineo.
Quei due ridono, quelle altre ammiccano complici, anche in quel gruppetto motteggiano sotto i portici. Il freddo non esiste o meglio non resiste alla voglia di identità: dimostrare le appartenenze serve e un filo di nudo anche d’inverno trova spazio. Occhi bistrati e bistrattati, troppo azzurre e troppo rosa le palpebre, troppo carico il kajal, pesanti le matite e catarifrangenti le labbra. Però esserci e sapersi lì insieme conta, conta più di tutto, e in quel momento basta. Tutto il mondo, fuori.
Di fronte allo specchio, ricorda di essere stato un bel bocconcino, conteso addirittura e capace di leggerezza, nonché di stupide leggerezze. D’altronde, le priorità erano altre. Rievoca la prelibatezza del gioco, un modo di essere e fare cui abbandonarsi con serietà, quella indispensabile alla gioia che sa di sé. Già, il gioco, da cui farsi rapire con estasi fanciullesca e in fin dei conti un po’ cogliona, sì, ma vera e piena di presente. Di fronte allo specchio, anni dopo, gli occhi sono arrossati, l’epidermide chiede protezione, le pupille scintillano cogliendo l’immensa velocità del cronosoffio, mentre tutto viene rimandato come se ci fosse davvero tempo, come se bastasse anelare per garantirsi la prospettiva di nuovi splendori, di splendori nuovi o rinnovati.
Tutti quanti aspettano che il sole torni a scottare sulla pelle, disposti a sacrificarglisi fino al rossore, fino alle bolle se necessario. Sperano anche nel vento, quello capace di far alzare in volo gli aquiloni. E in un’onda da cavalcare, la preferita, indorata dal sole, richiamata dal mare o dall’amare. Senza nemmeno ancora allertare l’apparato circolatorio, ecco che una nuova felicità, illusoria o meno, agile si fa strada tra lo schiudersi delle labbra e lo stupore dietro alle palpebre. I bimbi dalle guance tonde, intanto, starnutiscono aggrappati a un albero, in attesa di un viaggiatore del tempo che li venga a prendere.
27 gennaio 2011
Fantasmi e speranze
Quando arrivammo ad Auschwitz-Birkenau aprirono le porte dei vagoni. Eravamo mezzi morti, ma dovemmo metterci velocemente in fila per cinque. C'era un uomo con in mano un bastone. Con un movimento della mano mandava le persone a destra o a sinistra. Mia madre, il mio fratellino e mia sorella andarono a sinistra. Non li rividi mai più.
- Lilly Ebert, ebrea ungherese, sopravvissuta ad Auschwitz
[fantasmi dal sito How to be a Retronaut, segnalato giorni fa da mastra]
E una canzone sorridente, Ale Brider (Tutti fratelli), da riascoltare e di cui, volendo, leggere testo e (mio) riadattamento in italiano.
[speranze dalla musica, sempre, dall'animo fanciullo che non si rassegna, che non smette di cercare con lo sguardo dei sensi i fiori in mezzo agli orrori del non senso]
01 gennaio 2011
2011
Il tempo forse esiste e forse no, sarà anche vero che è tutta una costruzione, ma intanto il valore simbolico che ci autocostruiamo qualche effetto lo scatena. S-cateniamoci dunque, per viaggiare secondo inclinazione autentica, con l'auspicio di far risuonare i palpiti nelle armoniche più propizie al benessere intero. E siccome non è bene rinunciare al sole pur di ripararsi dalla pioggia, non ti auguro un anno senza lacrime, ma che per ogni lacrima ci siano mille sorrisi.
Buon anno nuovo colorato di sorrisi condivisi ;-)
e baci :-***
Buon anno nuovo colorato di sorrisi condivisi ;-)
e baci :-***
29 dicembre 2010
Retrospezione
Una visione, anche parziale e lontana, capace di dar le vertigini è quella sul tempo andato, per chi ha da sempre la fisima della velocità con cui passa. Un soffio, questa vita è un soffio. Un anno fatto di un attimo e di un altro ancora e di un altro attimo che colpisce e staglia, s'accende e sfuma, scalda e svapora. In un soffio. Eppure sono tante le cataste dei momenti, le fastelle dei ricordi, enciclopedici gli album di memoria che risfogli: l'immane dentro una piccolissima finitezza. E se, invece che all'ultimo anno, guardassi al decennio appena trascorso? Quanta paura, quanta, nello sgomento dello scorrere infinito d'infinitesimali particolari, captati ma impossibili da cogliere, microscopici e troppo grandi per la capienza di un presente che si fa frattale mescolando istanti e vite, idee e respiri, aneliti e assenze. Un soffio, è un soffio questa vita, ma si fa uragano insieme a quelle altrui.
11 dicembre 2010
Addobbi di parole
Anche quest'anno ho scritto un pezzo per il PSLA (Post sotto l'albero) e stamane lo mando al Sir, che lo impaginerà insieme a quelli di tutti i partecipanti.
Di cosa si tratti lo spiega per esempio questo articolo di Akille.
Per riferimenti sulle vecchie edizioni, vedi qui.
(se vuoi partecipare, basta rispettare il termine ultimo di consegna, fissato per la giornata di domani, domenica 12 dicembre - una giornata che ricordiamo anche per motivi decisamente meno festosi)
--
[Aggiornamenti]
Il Post sotto l'albero 2010, dice, comprende 134 post, 192 pagine, 75.694 parole, 378.841 caratteri spazi esclusi, anzi: 135 post, 192 pagine, 76.141 parole, 381.038 caratteri spazi esclusi e uscirà venerdì 17 alle 17.
Per scaricare il pdf passa da Sir Squonk.
Se non ci avevi trovato il mio pezzo non è perché non l'avessi scritto: che sia o meno una strategia markettara, negli ultimi anni il Psla ci ha abituati alle edizioni "Gronchi rosa", quelle coi refusi e le dimenticanze, poi sostituite dalla definitiva (epperò conservate da qualche collezionista).
Abbi dunque un po' di pazienza: ora che il Sir ha sistemato le cose, riscarica il Post sotto l'albero 2010. Ci troverai anche il mio contributo, che s'intitola I sette palazzi celesti.
Di cosa si tratti lo spiega per esempio questo articolo di Akille.
Per riferimenti sulle vecchie edizioni, vedi qui.
(se vuoi partecipare, basta rispettare il termine ultimo di consegna, fissato per la giornata di domani, domenica 12 dicembre - una giornata che ricordiamo anche per motivi decisamente meno festosi)
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[Aggiornamenti]
Il Post sotto l'albero 2010, dice, comprende 134 post, 192 pagine, 75.694 parole, 378.841 caratteri spazi esclusi, anzi: 135 post, 192 pagine, 76.141 parole, 381.038 caratteri spazi esclusi e uscirà venerdì 17 alle 17.
Per scaricare il pdf passa da Sir Squonk.
Se non ci avevi trovato il mio pezzo non è perché non l'avessi scritto: che sia o meno una strategia markettara, negli ultimi anni il Psla ci ha abituati alle edizioni "Gronchi rosa", quelle coi refusi e le dimenticanze, poi sostituite dalla definitiva (epperò conservate da qualche collezionista).
Abbi dunque un po' di pazienza: ora che il Sir ha sistemato le cose, riscarica il Post sotto l'albero 2010. Ci troverai anche il mio contributo, che s'intitola I sette palazzi celesti.
06 dicembre 2010
A tempo, nel tempo, oltre il tempo
Ci sono giochini che ti fanno perdere tempo, ma riguadagnare vita, sotto forma di intrecci tra ricordi, sensazioni, piaceri e sguardi prospettici su di sé, come siamo e come eravamo, come siamo e come forse saremo. Così, perlomeno, ho preso quello dei "15 album" che gira su facebook e che ho svolto così:
15 album... o 21
pubblicata da Giulio Pianese il giorno lunedì 6 dicembre 2010 alle ore 10.25
Regole: Non ci pensate per troppo tempo. 15 album che hai ascoltato e che rimarranno sempre impressi su di te. Elenca i primi 15 che riesci a ricordare in non più di 15 minuti! [...]
--
Non "taggo" nessuno, ma invito chi vuole a rispondere con la sua selezione. Per conto mio, scelgo di elencare alcuni tra gli album che rappresentarono per me vere e proprie epifanie, imponendosi al riascolto quotidiano e imbibendo il vivere, indipendentemente dal loro valore assoluto. E ne elenco 21, perché già così ne lascio fuori tanti, ma almeno il minimo sindacale, ecco.
1. Rimmel - Francesco De Gregori
2. 4 Way Street - Crosby, Stills, Nash & Young
3. Non farti cadere le braccia - Edoardo Bennato
4. Happy Trails - Quicksilver Messenger Service
5. Bluesbreakers - John Mayall
6. Electric Ladyland - Jimi Hendrix
7. Volunteers - Jefferson Airplane
8. After The Gold Rush - Neil Young
9. Seconds Out - Genesis
10. If I Could Only Remember My Name - David Crosby
11. The Piper At The Gates Of Dawn - Pink Floyd
12. The Doors - Doors
13. Led Zeppelin II - Led Zeppelin
14. Remain In Light - Talking Heads
15. You Are What You Is - Frank Zappa
16. Vai mo' - Pino Daniele
17. The Velvet Underground & Nico - Velvet Underground & Nico
18. The Queen Is Dead - Smiths
19. Puta's Fever - Mano Negra
20. Mlah - Les Négresses Vertes
21. Bossanova - Pixies
P.S.: sì, ripropongono una sorta di cronologia delle scoperte personali, dai tempi delle scuole medie in avanti.
--
Intanto last.fm, da un profilo che non utilizzo e in cui non entravo da chissà quanto, mi restituisce non solo l'elenco dei brani ascoltati di recente (desumendolo da blip.fm), ma la classifica degli artisti da me più gettonati. E mi fa contento:
--
Aggiornamento: se vuoi, vai a vedere anche gli album di mastrangelina, chiaratiz... o proponi le tue scelte nei commenti qui sotto, come vix...
15 album... o 21
pubblicata da Giulio Pianese il giorno lunedì 6 dicembre 2010 alle ore 10.25
Regole: Non ci pensate per troppo tempo. 15 album che hai ascoltato e che rimarranno sempre impressi su di te. Elenca i primi 15 che riesci a ricordare in non più di 15 minuti! [...]
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Non "taggo" nessuno, ma invito chi vuole a rispondere con la sua selezione. Per conto mio, scelgo di elencare alcuni tra gli album che rappresentarono per me vere e proprie epifanie, imponendosi al riascolto quotidiano e imbibendo il vivere, indipendentemente dal loro valore assoluto. E ne elenco 21, perché già così ne lascio fuori tanti, ma almeno il minimo sindacale, ecco.
1. Rimmel - Francesco De Gregori
2. 4 Way Street - Crosby, Stills, Nash & Young
3. Non farti cadere le braccia - Edoardo Bennato
4. Happy Trails - Quicksilver Messenger Service
5. Bluesbreakers - John Mayall
6. Electric Ladyland - Jimi Hendrix
7. Volunteers - Jefferson Airplane
8. After The Gold Rush - Neil Young
9. Seconds Out - Genesis
10. If I Could Only Remember My Name - David Crosby
11. The Piper At The Gates Of Dawn - Pink Floyd
12. The Doors - Doors
13. Led Zeppelin II - Led Zeppelin
14. Remain In Light - Talking Heads
15. You Are What You Is - Frank Zappa
16. Vai mo' - Pino Daniele
17. The Velvet Underground & Nico - Velvet Underground & Nico
18. The Queen Is Dead - Smiths
19. Puta's Fever - Mano Negra
20. Mlah - Les Négresses Vertes
21. Bossanova - Pixies
P.S.: sì, ripropongono una sorta di cronologia delle scoperte personali, dai tempi delle scuole medie in avanti.
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Intanto last.fm, da un profilo che non utilizzo e in cui non entravo da chissà quanto, mi restituisce non solo l'elenco dei brani ascoltati di recente (desumendolo da blip.fm), ma la classifica degli artisti da me più gettonati. E mi fa contento:
The Rolling Stones (319 ascolti)
Nick Drake (185 ascolti)
Tom Waits (166 ascolti)
Frank Zappa (143 ascolti)
The Velvet Underground (121 ascolti)
Neil Young (117 ascolti)
Otis Redding (116 ascolti)
Jefferson Airplane (112 ascolti)
Pixies (111 ascolti)
Ray Charles (110 ascolti)
Talking Heads (108 ascolti)
Paolo Conte (108 ascolti)
Janis Joplin (107 ascolti)
Lou Reed (103 ascolti)
The Smiths (101 ascolti)
Jimi Hendrix (101 ascolti)
David Bowie (94 ascolti)
Bob Dylan (87 ascolti)
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Aggiornamento: se vuoi, vai a vedere anche gli album di mastrangelina, chiaratiz... o proponi le tue scelte nei commenti qui sotto, come vix...
30 novembre 2010
Condivisione
Sono ormai parecchi anni che campeggia qui sopra e ancora ci credo: "la condivisione raddoppia il piacere".
Il perché e il percome ciascuno se li saprà spiegare a modo suo, ma oggi Chiara Tizian sul suo blog lo fa molto bene. E va anche un livello oltre, quello della condivisione delle cose con "le persone giuste":
Leggi anche il resto del suo post, che accarezza il sentire.
Il perché e il percome ciascuno se li saprà spiegare a modo suo, ma oggi Chiara Tizian sul suo blog lo fa molto bene. E va anche un livello oltre, quello della condivisione delle cose con "le persone giuste":
Ti accorgi che non le avresti godute alla stessa maniera se non le avessi vissute con la pelle tua e con quella degli altri allo stesso tempo.
Leggi anche il resto del suo post, che accarezza il sentire.
27 novembre 2010
04 novembre 2010
Non è star sopra un albero, a meno che non lo desideri veramente
Leggo alcune parole di wild sulla libertà e le trovo vere.
Mi torna ogni volta in mente la scena nel piazzale della caserma Mignone il giorno del congedo: ero sorridente, tranquillo, se non addirittura felice, mentre la maggior parte di quei giovanotti piangeva; a guardar bene, il motivo non era il prossimo distacco dai fra', i compagni di un anno di vita nella coercizione, bensì il ritrovarsi di colpo di fronte alla vita vera, senza nessuno che ti dicesse a ogni momento cosa fare e cosa non fare.
La libertà è di certo un banco di prova importante: non essere irreggimentati espone il proprio sguardo alla vista di una sorta di abisso vertiginoso, oppure al deserto dello smarrimento. Occorre crescere e in un istante stabilire direzione e velocità; occorre scegliere, momento per momento.
Pensa poi a cosa faresti se di colpo ti trovassi immune da qualsiasi incombenza coatta e non dovessi più preoccuparti delle necessità monetarie e materiali (sì, lo so, sembra un sogno, ma immagina che non sia per pochi giorni o settimane di vacanza, ma in via permanente). In effetti, tale condizione l'abbiamo sperimentata quasi tutti, da neonati. Però riviverla da esseri (semi)consapevoli sarebbe tutt'altra faccenda: il neonato fa esattamente quel che gli serve, l'adulto (o supposto tale) rischia sovente l'autodistruzione o l'alienazione.
La bacchetta magica per la condizione paradisiaca, ahimè, manca, tuttavia è sempre utile delineare i propri desideri, capire ciò di cui si ha autenticamente voglia.
Perlomeno per quanto dipende da noi stessi, ce la faremo. Per quanto riguarda il desiderio altrui, purtroppo e per fortuna, no (lo diceva persino il genio della lampada, a proposito dell'impossibilità di far innamorare qualcuno, per esempio -- purtroppo, e per fortuna).
Mi torna ogni volta in mente la scena nel piazzale della caserma Mignone il giorno del congedo: ero sorridente, tranquillo, se non addirittura felice, mentre la maggior parte di quei giovanotti piangeva; a guardar bene, il motivo non era il prossimo distacco dai fra', i compagni di un anno di vita nella coercizione, bensì il ritrovarsi di colpo di fronte alla vita vera, senza nessuno che ti dicesse a ogni momento cosa fare e cosa non fare.
La libertà è di certo un banco di prova importante: non essere irreggimentati espone il proprio sguardo alla vista di una sorta di abisso vertiginoso, oppure al deserto dello smarrimento. Occorre crescere e in un istante stabilire direzione e velocità; occorre scegliere, momento per momento.
Pensa poi a cosa faresti se di colpo ti trovassi immune da qualsiasi incombenza coatta e non dovessi più preoccuparti delle necessità monetarie e materiali (sì, lo so, sembra un sogno, ma immagina che non sia per pochi giorni o settimane di vacanza, ma in via permanente). In effetti, tale condizione l'abbiamo sperimentata quasi tutti, da neonati. Però riviverla da esseri (semi)consapevoli sarebbe tutt'altra faccenda: il neonato fa esattamente quel che gli serve, l'adulto (o supposto tale) rischia sovente l'autodistruzione o l'alienazione.
La bacchetta magica per la condizione paradisiaca, ahimè, manca, tuttavia è sempre utile delineare i propri desideri, capire ciò di cui si ha autenticamente voglia.
Perlomeno per quanto dipende da noi stessi, ce la faremo. Per quanto riguarda il desiderio altrui, purtroppo e per fortuna, no (lo diceva persino il genio della lampada, a proposito dell'impossibilità di far innamorare qualcuno, per esempio -- purtroppo, e per fortuna).
20 ottobre 2010
Afterglow
Sì, è anche il titolo di una canzone dei Genesis, gruppo che da ragazzo ascoltavo con devozione, invero un pochino attenuata per la produzione successiva alla fuoriuscita di Peter Gabriel, ma non è per quello che la parola campeggia qui sopra, anche se in questo momento la canzone, dopo tanti anni, sta riaffiorandomi all'ascolto.
No, la parola vale per sé, con tutte le sue accezioni (Merriam-Webster) e traduzioni (Sansoni).
L'effetto piacevole che indugia presso di te dopo che qualcosa di bello è successo, si è realizzato, è stato vissuto. La luminescenza che riverbera come gli attimi cangianti e fuori confine fra tramonto e crepuscolo. Il bagliore che permane quando l'anima riluce di godimento.
Tutto quel che non riesci a tenere vivo se ti lasci sopraffare dal mal di schiena, imbufalire dalle avversità, tarlare dalle assenze, divorare dalle gelosie, scorare dai contrattempi.
Ed è o sarebbe un peccato, quasi come buttar via la bellezza di ciò che è stato.
La memoria alle volte è come un sacco di ciarpame, gravoso da trascinare, ostacolo al procedere, ceppo alle caviglie a impossibilitare la corsa libera.
La luce, però, non pesa.
Un sorriso colorato e portafortuna, a te che leggi e passi, a te che leggerai. E a me, ora e attraverso la notte.
No, la parola vale per sé, con tutte le sue accezioni (Merriam-Webster) e traduzioni (Sansoni).
L'effetto piacevole che indugia presso di te dopo che qualcosa di bello è successo, si è realizzato, è stato vissuto. La luminescenza che riverbera come gli attimi cangianti e fuori confine fra tramonto e crepuscolo. Il bagliore che permane quando l'anima riluce di godimento.
Tutto quel che non riesci a tenere vivo se ti lasci sopraffare dal mal di schiena, imbufalire dalle avversità, tarlare dalle assenze, divorare dalle gelosie, scorare dai contrattempi.
Ed è o sarebbe un peccato, quasi come buttar via la bellezza di ciò che è stato.
La memoria alle volte è come un sacco di ciarpame, gravoso da trascinare, ostacolo al procedere, ceppo alle caviglie a impossibilitare la corsa libera.
La luce, però, non pesa.
Un sorriso colorato e portafortuna, a te che leggi e passi, a te che leggerai. E a me, ora e attraverso la notte.
27 settembre 2010
Una passeggiata
Percorrere a piedi le strade in cui solitamente transiti in auto, camminando di buona lena come se dovessi andare da qualche parte. Percorrerle con una curiosità estranea e tranquilla, cambiando marciapiede per non perdere gli ultimi raggi lunghi, lasciando lo sguardo libero di cogliere particolari insignificanti e di memorizzarli a breve nell'archivio delle cose belle impreviste. Adottare una diversa forma di meditazione, quella ambulante, in cui l'ozio si ribalta in dinamismo da pilota automatico, in cui distacco e vigilanza si scambiano i ruoli nell'accompagnare sentimenti e sensi. Allora trovi l'immagine e la sua verbalizzazione, allora speri anzi confidi che una scintilla di brace stia covando sotto le ceneri ancora quasi calde. Non hai bisogno di chiederti se avrai abbastanza fiato per soffiarvi su, ma se saprai pazientare per non soffocare il rinfocolarsi. Se saprai accompagnare con tranquilla curiosità il sorriso di sentimenti e sensi per non perdere i rinnovati raggi. Percorrere i tempi e gli spazi in cui solitamente transitano i sogni, percorrerli con lo sguardo libero e il cuore aperto alle cose belle impreviste.
06 settembre 2010
Chissà
Magari t'avrei raccontato di cose che orecchie innocenti non devono sentire, magari te ne avrei parlato con dovizia di particolari, magari t'avrebbe fatto piacere, magari stuzzicato fino a sospendere il respiro. Respiro quasi afasico perché il fiato trova un tunnel senza ostacoli e dunque non riesce a risuonare, un bisbiglio sottile è tutto ciò che resta, per ora. Per un'ora forse ti saresti chiusa nella tua stanza, forse ti saresti ascoltata impronta per impronta, blandita nei sensi e nel senso del sé. Se una sorta di connessione, qualsiasi sorta di connessione, si attiva è perché emittente e ricevente funzionano nei medesimi istanti. Distanti, eppure per un momento il gorgoglio degli apparati erogeni avrebbe ammantato tutto quanto, giungendo a zittire l'irritante frustrazione dei tempi lunghi. Per un tempo più prolungato, probabilmente, sarebbero poi stati dei lampeggiamenti di visualizzazioni magiche, quelle nel mio sguardo lontano, a rivelarti nuove e antiche bellezze. Bellezze permanenti di luce anche al buio, come quando guardi la lampada accesa, distogli lo sguardo e si spegne il resto del mondo, per la cecità scintillante. Scintillano gli occhi, stanchi o chissà. Chi sa sorridere saprà farlo anche domani, magari.
26 agosto 2010
Zonker's (pan)Zone
Commemorare significa ricordare insieme: nella mailing list della Zonker's Zone lo si fa il 26 agosto, perché in quel giorno sei anni fa si ebbe notizia della morte di Enzo.
Per ventiquattr'ore la list riapre i battenti (quella per gli scambi quotidiani è migrata, si chiama G_Zone) e ciascuno scrive quel che gli viene.
A me ieri notte è venuto questo:
Per ventiquattr'ore la list riapre i battenti (quella per gli scambi quotidiani è migrata, si chiama G_Zone) e ciascuno scrive quel che gli viene.
A me ieri notte è venuto questo:
La morte la si sfiora comunque vivendo, l'importante è non rischiare di sfiorare la vita anziché viverla.
Preziosa vita, come il tempo e gli spazi nei quali si inscrive. Preziosa vita, quella dell'istante presente di chi è presente a sé stesso.
Presente da vivere anche quando si vorrebbe sgusciarne via verso qualche illusione. Da vivere perché è il qui e ora che c'è ed è sul qui e ora che cresce il foraggio più nutriente per l'altrove spaziotemporale.
Come se fosse facile. Non lo è, coi tempi e lo spazio che annichiliscono. Tempi in disorganica sovrapposizione, tra memoria, visioni, speranze. Spazio grande, fin troppo, a pensarci sull'orlo dell'abisso blu scuro, troppo poco invece quando si cerca là quello che va trovato qui.
Non è facile, ma è bello. Vivere, rievocare, sperare. Tenere vivo lo sguardo della memoria, fino a moltiplicarne il luccichio blu nella condivisione di ricordi e sensazioni.
Ho detto a una persona: "Ti penso tanto, nel tempo e nello spazio."
Come a volerne abbracciare la vita intera.
Come se fosse facile. Non lo è, perché l'energia infraumana che scalda e scotta, elettrizza e carbonizza, rinfresca e gela, esalta e abbatte, è capacissima di far dimenticare il presente, di annientare il qui e ora, di mutare lo sguardo sul mondo offuscandone il luccichio bambino.
Non è facile, ma è bello. Esserci, sporgersi. Riaccendere quel luccichio, e lo sguardo, fino a moltiplicarlo nel riflesso di un altro sguardo, dal cuore dei sogni.
E magari, un giorno, posarlo insieme sul mondo, che mondo non è senza la nostra purezza.
ciao
Zu
17 agosto 2010
Solo un po' di batticroma
Il cuore ha una mielina, come i nervi, che a momenti si assottiglia o si dirada lasciandolo scoperto, esposto in nudità. Allora qualsiasi intemperie sembra infinita e impossibile da sopportare, come se il futuro fosse irrimediabilmente bloccato dietro una porta chiusa dalla parte sbagliata. Sono i momenti in cui occorre fare molta attenzione a quali pezzi ascoltare e quali evitare, ché la musica sa scardinare e può devastare, già sai. Sst, senti il respiro del sangue, accarezzalo finché non si scalda di nuovo e. Soffia. Pulsa. Vivi. Dammi miele lieve in gola, dammi rock a fior di pelle, dammi ritmo ritmo in vena, dammi un bacio di promesse. Non voglio conoscer lo spartito, ma ho voglia di suonarlo insieme.
15 agosto 2010
Ogni giorno dopo ogni giorno
Citando DFW:
"It is unimaginably hard to do this, to stay conscious and alive, day in and day out."
(È inconcepibilmente difficile riuscire, giorno dopo giorno, a rimanere consapevoli e vivi.)
Elena (quella di Londra) chiede:
Rispondo:
Suicidarsi è comunque un segno d'impazienza.
Per il resto, dipende forse dalla capacità* di raggiungere e più o meno mantenere un equilibrio tra la lucidità della consapevolezza e l'ebbrezza del godimento**.
* Una capacità necessaria anche per leggere Le correzioni di Jonathan Franzen, mi pare (ho appena superato la metà, è un libro bello e terribile).
** "Ebbro lucido" lo cantavo in una canzone dei Fragole e Sangue due dozzine d'anni fa.
"It is unimaginably hard to do this, to stay conscious and alive, day in and day out."
(È inconcepibilmente difficile riuscire, giorno dopo giorno, a rimanere consapevoli e vivi.)
Elena (quella di Londra) chiede:
Voi ci riuscite, ogni giorno?
Voi ci provate ogni giorno?
David Foster Wallace si è suicidato.
Rispondo:
Suicidarsi è comunque un segno d'impazienza.
Per il resto, dipende forse dalla capacità* di raggiungere e più o meno mantenere un equilibrio tra la lucidità della consapevolezza e l'ebbrezza del godimento**.
* Una capacità necessaria anche per leggere Le correzioni di Jonathan Franzen, mi pare (ho appena superato la metà, è un libro bello e terribile).
** "Ebbro lucido" lo cantavo in una canzone dei Fragole e Sangue due dozzine d'anni fa.
10 agosto 2010
Sentiero 541
A stare a ridosso del Catinaccio e sotto le Torri del Vajolet le vertigini mi funzionano al contrario. Guardando in su. Forse perché m'inebrio di tanta bellezza. Quelle rocce mi sono piaciute quanto... o quasi. Tanto, comunque.
05 agosto 2010
Rifulgenti Nuove Albe
Avevo il laringoscopio su per il naso e giù fino in gola (e ogni volta l'effetto mi fa ripensare con ammirato stupore a certe prestazioni graziosamente elargitemi), una dottoressa con mascherina (poi se l'è tolta, che carina) e un dottore (uno serio, anche se alla prima visita ridemmo un sacco), ero occupato a non tossire e mentre li sentivo discorrere sulla detersione del glottide capto alcune parole lasciate scivolare con nonchalance: la neoplasia non c'è più. Così, quasi fossero scontate. Estraggono la fibra ottica dalle mie cavità, appena il tempo di riprendermi e chiedo se ho capito bene. Alla fine, chiedo di nuovo conferma e se posso divulgare la notizia.
Poi esco nel corridoio e la prima persona alla quale lo comunico è una sconosciuta con cui avevo chiacchierato in sala d'aspetto, incoraggiandola sulla risoluzione del suo problema. Ci abbracciamo. È vero che sono affettuoso ed espansivo, sprimacciatore mi chiamarono e strafugno, però in quell'istante capisco che al di là delle considerazioni razionali che mi facevano attendere l'esito del controllo come si attende il responso del meccanico al momento della revisione biennale, c'era in me un carico emotivo stivato sottocoperta, lo stesso che all'uscita, mentre iniziavo a comunicare la rassicurante notizia ad alcune persone care, mi faceva avvertire un nodo di commozione tendente a sciogliersi proprio lì, in gola, dove deve tornare a vorticare per bene il chakra blu, quello dei 16 petali.
E quello sarà il prossimo passo, per tornare a parlare senza fatica e, auspicabilmente, a cantare* (questo l'ho promesso e in qualche modo, non so ancora come e quando, lo farò).
Intanto, grazie per i bei pensieri e i sorrisi, per le dita incrociate e i sogni portafortuna, per le onde positive e il bene diffuso, per gli abbracci e per i baci, per la felicità.
E naturalmente, grazie ai medici del San Pio X che a marzo scoprirono il carcinoma alla corda vocale destra e ai radioterapisti di Niguarda che, a quanto pare, l'hanno debellato.
* in più, conterò sullo speciale incoraggiamento ricevuto giorni fa poco dopo l'alba a Col Margherita (2560 m slm) da Moni Ovadia.
Poi esco nel corridoio e la prima persona alla quale lo comunico è una sconosciuta con cui avevo chiacchierato in sala d'aspetto, incoraggiandola sulla risoluzione del suo problema. Ci abbracciamo. È vero che sono affettuoso ed espansivo, sprimacciatore mi chiamarono e strafugno, però in quell'istante capisco che al di là delle considerazioni razionali che mi facevano attendere l'esito del controllo come si attende il responso del meccanico al momento della revisione biennale, c'era in me un carico emotivo stivato sottocoperta, lo stesso che all'uscita, mentre iniziavo a comunicare la rassicurante notizia ad alcune persone care, mi faceva avvertire un nodo di commozione tendente a sciogliersi proprio lì, in gola, dove deve tornare a vorticare per bene il chakra blu, quello dei 16 petali.
E quello sarà il prossimo passo, per tornare a parlare senza fatica e, auspicabilmente, a cantare* (questo l'ho promesso e in qualche modo, non so ancora come e quando, lo farò).
Intanto, grazie per i bei pensieri e i sorrisi, per le dita incrociate e i sogni portafortuna, per le onde positive e il bene diffuso, per gli abbracci e per i baci, per la felicità.
E naturalmente, grazie ai medici del San Pio X che a marzo scoprirono il carcinoma alla corda vocale destra e ai radioterapisti di Niguarda che, a quanto pare, l'hanno debellato.
* in più, conterò sullo speciale incoraggiamento ricevuto giorni fa poco dopo l'alba a Col Margherita (2560 m slm) da Moni Ovadia.
18 luglio 2010
Una smorfia e via
Traguardi lungo il percorso: farne quarantasette senza fare 47, continuando ad affrontare la vita con poca 90 e con lo sguardo pieno di 72.
*
*
16 luglio 2010
My Own Private Milano
Milano, fotografata dai non milanesi, e raccontata dagli indigeni: è questo il soggetto e l'oggetto dell'ennesima iniziativa di Squonk, capace ogni volta di innescare la voglia di partecipazione anche quando il pensiero tenderebbe altrove.
Mi sento lieto e onorato di essere tra quei venti "milanesi per nascita o per adozione, che un giorno hanno ricevuto una fotografia, e la richiesta di scriverci sopra qualcosa, qualsiasi cosa".
Il risultato al momento è un pdf scaricabile qui, pregevolmente confezionato da Nemo.
--
Se vuoi, dai un'occhiata alla bella foto scattata da Stefigno e al mio testo che la accompagna.
Mi sento lieto e onorato di essere tra quei venti "milanesi per nascita o per adozione, che un giorno hanno ricevuto una fotografia, e la richiesta di scriverci sopra qualcosa, qualsiasi cosa".
Il risultato al momento è un pdf scaricabile qui, pregevolmente confezionato da Nemo.
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Se vuoi, dai un'occhiata alla bella foto scattata da Stefigno e al mio testo che la accompagna.
05 luglio 2010
Chimere
A perdere il filo non è Teseo, ma il Minotauro, che un'idea del perché e per come delle cose la può derivare solo e direttamente dagli ampi spazi celesti, da quel che gli passa sopra la testa, molto al di sopra. Se solo potesse rispecchiarsi in quelle perle che seppur di rado cadono a rinfrescargli i pensieri, riconoscere la grandezza della propria doppia natura, quell'anima-lità che lo rende completo e che ad Arianna piacerebbe, se solo sapesse osare.
27 giugno 2010
Dalla terra alla luna (e ritorno)
Ho iniziato il viaggio senza pensare a portarmi un foglio e una matita. Ora che vorrei scrivere, non so come fare. Vorrei farlo per tener fede a una promessa, ma anche per me. Potendo, scriverei sulla tua pelle, lo sai, e invece la distanza materiale è molta, moltissima, troppa, la traiettoria è lunga quanto uno sguardo che si perde. Il mio però stasera non si perde, no, ché il plenilunio ha sempre la capacità d'attrarlo e attirarlo, dunque guardo dritto e anche dove vedo vuoto so che non cadrò.
Vado e vado e vado, sto andando non evado, procedo senza perdere il mio su e giù e qua e là, stavolta son io a dir non ho paura e lo dico perch'è vero, non è una fuga, è un viaggio senz'altra valigia che i ricordi futuri, quelli che si specchiano sul vetro quando fuori il blu scuro e l'azzurro chiaro si ribaltano, quando ringrazi la capsula e la buona stella per non esser già cenere e lapilli e sorridi al respiro che galleggia davanti al tuo stupore.
Lassù si troveranno tutti i folli descritti dagli affabulatori notturni e chiederanno tu vieni dalla Terra, io risponderò terra minuscolo, leggi bene, vengo dalla terra e alla terra tornerò, ma non senza un giro un respiro un sospiro e un altro, bonus, giro. Il bonus è importante, forse è il segreto di tutto: come quando una vacanza sta inesorabilmente terminando e t'inventi una deviazione, una sosta, un'ultima cena, qualsiasi gradevole iniziativa per sapere che non è mai finita, o che se finisce sarà un poco più in là, dopo quell'ennesimo godimento.
Le vertigini che potevano far capolino o addirittura esplodere paralizzanti sembrano un ricordo lontano, ma se ci penso capisco esattamente dove e quando si rifaranno vive. Tra stomaco e pancia, al momento del rientro. Al ritorno, quando si torna giù (per quanto siano il giù e il su, come pure il qua e il là, effimeri), c'è quello stacco, quell'inversione come sulla giostra più alta dalla quale non puoi più scegliere di scendere e da cui non avrebbe senso buttarsi per evitare la paura di cadere, è lì che il vuoto e il suo senso faranno sudare le mani e atrofizzare i gesti, ma forse questa volta ci sarà un antidoto, forse questa volta basterà ricordarsi che a destinazione c'è la vita, tutta. E che la vuoi riassaggiare e ancora respirare e di nuovo celebrare, tutta.
*
Vado e vado e vado, sto andando non evado, procedo senza perdere il mio su e giù e qua e là, stavolta son io a dir non ho paura e lo dico perch'è vero, non è una fuga, è un viaggio senz'altra valigia che i ricordi futuri, quelli che si specchiano sul vetro quando fuori il blu scuro e l'azzurro chiaro si ribaltano, quando ringrazi la capsula e la buona stella per non esser già cenere e lapilli e sorridi al respiro che galleggia davanti al tuo stupore.
Lassù si troveranno tutti i folli descritti dagli affabulatori notturni e chiederanno tu vieni dalla Terra, io risponderò terra minuscolo, leggi bene, vengo dalla terra e alla terra tornerò, ma non senza un giro un respiro un sospiro e un altro, bonus, giro. Il bonus è importante, forse è il segreto di tutto: come quando una vacanza sta inesorabilmente terminando e t'inventi una deviazione, una sosta, un'ultima cena, qualsiasi gradevole iniziativa per sapere che non è mai finita, o che se finisce sarà un poco più in là, dopo quell'ennesimo godimento.
Le vertigini che potevano far capolino o addirittura esplodere paralizzanti sembrano un ricordo lontano, ma se ci penso capisco esattamente dove e quando si rifaranno vive. Tra stomaco e pancia, al momento del rientro. Al ritorno, quando si torna giù (per quanto siano il giù e il su, come pure il qua e il là, effimeri), c'è quello stacco, quell'inversione come sulla giostra più alta dalla quale non puoi più scegliere di scendere e da cui non avrebbe senso buttarsi per evitare la paura di cadere, è lì che il vuoto e il suo senso faranno sudare le mani e atrofizzare i gesti, ma forse questa volta ci sarà un antidoto, forse questa volta basterà ricordarsi che a destinazione c'è la vita, tutta. E che la vuoi riassaggiare e ancora respirare e di nuovo celebrare, tutta.
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15 giugno 2010
Come si fa a scegliere le 10 canzoni preferite?
Non è indolore, ma se Mistro chiama, si risponde.
Così ho fatto e il risultato è pubblicato su M&B MUSIC (lo si commenta anche su friendfeed).
--
* Wooden Ships – Jefferson Airplane
* Electric Aunt Jemima – Frank Zappa
* Allison – Pixies
* There Is A Light That Never Goes Out – Smiths
* Tumbling Dice – Rolling Stones
* I’ll Be Your Mirror – Velvet Underground
* Blister In The Sun – Violent Femmes
* Bartali – Paolo Conte
* Is This Love – Bob Marley
* Laughing – David Crosby
Così ho fatto e il risultato è pubblicato su M&B MUSIC (lo si commenta anche su friendfeed).
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* Wooden Ships – Jefferson Airplane
* Electric Aunt Jemima – Frank Zappa
* Allison – Pixies
* There Is A Light That Never Goes Out – Smiths
* Tumbling Dice – Rolling Stones
* I’ll Be Your Mirror – Velvet Underground
* Blister In The Sun – Violent Femmes
* Bartali – Paolo Conte
* Is This Love – Bob Marley
* Laughing – David Crosby
04 giugno 2010
I debutti non finiscono mai
Stasera il Black Drop di Viale Monza 185 a Milano ospiterà il primo concerto assoluto degli Accauno, che alle ore 21.30 presenteranno i cinque brani del loro EP autoprodotto.
Alla batteria suona mio fratello Beppe, che torna a esprimersi in pubblico nel ruolo che già ricoprì con i Fragole e Sangue e i Pontebragas.
Alla batteria suona mio fratello Beppe, che torna a esprimersi in pubblico nel ruolo che già ricoprì con i Fragole e Sangue e i Pontebragas.
01 giugno 2010
Non sappiamo più quando stiamo andando
Dovessi dar retta alla percezione, dimenticando il foglio appeso al muro coi numeri e i nomi dei giorni e dei mesi, non troverei una collocazione spaziale al tempo, non saprei dire in quale anno e in quale periodo di quell'anno mi trovi. I ponti che riallacciano i giorni ai giorni saltano settimane, decadi o quindicine con la massima agevolezza, fulminei e rilucenti ammiccano e sorridono mentre falcidiano a mazzi intere piantagioni di momenti smarriti. L'incostanza climatica non è una ragione, non sufficiente quantomeno, per siffatta vaghezza. Forse è più un senso di sospensione, di cose da sistemare, di conti da riassestare, di fuoco in gola da spegnere, di corporeità da accudire, di voce perduta da ritrovare. Sapendo che essere vivi è già cosa bella, ma certe volte non basta.
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