Non c'è foto che tenga, figlio mio. Non c'è macchina da immagini abbastanza capiente, non grandangolo sufficientemente ampio, non esiste diaframma tanto sagace né obiettivo davvero capace di catturare tutto quel che smuovi tu e che il grandanimo effonde guardagodendoti nel naturale essere.
Il cielo, il caldo, la campagna a cinque passi dal solito ristare, una passeggiata tante volte esperita e sempre diversa, stavolta di più perché, ci rendiamo conto dai colori, per la prima volta è in primavera. Si dice che il mare sia blu e invece ne conosciamo le innumerevoli sfumature: lo stesso è per il verde del prato, lo vedi, lo vediamo. Poi, poco prima di dov'era quella volta il riccio, ecco i fiori viola delle ortiche, ben frequentati da bombi golosi. L'aratura marrone del granturco e poi di nuovo l'erba, morbida, giustaccogliente per sdraiarsi in un po' d'oblio.
Una fioritura bianca da andare a veder da vicino, nuovo spettacolo in ogni singolo fiore, rami da accarezzare, boccioli da incoraggiare e la magia del guardarli da sotto in su, spillone emotivo a trafiggere in unica estasi cuore occhio e cielo. La condivisione raddoppia il piacere, ne conveniamo. E poi ti vedo partire di corsa e tuffarti nell'erbetta alta, e percepisco l'enormità di un lievitare, dietro lo sterno e fino in gola, da cuorpompante che parola non cattura, per la felicità dell'essere, effimera ed eterna per ciascun istante. Non ho di che fissare in oggetto quel momento, ma non c'è foto che tenga, figlio mio, gioia grande. Sii.
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Grazie per aver letto le mie parole, sarò lieto di leggere le tue.