Quella volta che dalla Sardegna tornai in aereo fu un trauma. Non me ne resi conto immediatamente, ma il distacco era stato troppo netto, troppo brusca la disparità climatica e cromatica. S'era in settembre, sul finire del secolo scorso, e per colmo di effetto speciale al contrario, a Milano trovammo la nebbia; la nebbia d'estate, senza nemmeno nessuno con cui protestare. (La nebbia d'estate l'avevo già vista a Agadir, incredulo nonostante mi avessero preavvertito -- e no, non avevo mica creduto a Bogart e compagnia bella, e invece).
Comunque, tornare da un posto così, come l'isola magica, tutto d'un tratto, non fa per me. Mi ci vuole più tempo, più gradualità, mi ci vuole il traghetto. Difatti, quella volta dell'aereo, piombai in una sorta di sottile abbacchiamento, un'esitazione ad accettare la realtà, un rifiuto ad abbracciare il grigiore del cielo di quei giorni dopo aver sbrigliato tanto a lungo e tanto in largo lo sguardo in cromie profumate, i sensi in sapori e spensieri, le energie in allegre delizie e feconde.
Dicono del mal di Sardegna, e sarà anche per quello, ma dev'essere soprattutto perché non ci so fare coi distacchi. Quella cosa per cui a una festa o anche in una serata qualsiasi vuoi essere sempre l'ultimo ad andartene, quella cosa per cui in nave stai ancora a lungo a poppa quando ormai la riva è lontana e invisibile all'occhio, quella cosa per cui ti restano attaccati lembi di cuore ai ricordi come pezzi di labbro alla sigaretta tenuta lì troppo a lungo.
Non ci so fare coi distacchi, sebbene mi ridica che "ogni distacco va considerato come un trampolino". Mi viene meglio tenere tesi e vivi i fili del sentire, anche a distanza di tempo e di spazio, mi viene meglio tenere in bocca e negli occhi aromi e colori e sorridere per averne goduto, per esserci stato. E solo poi, da quel sorriso, strizzare l'occhio ai gabbiani che accompagnano il navigare, senza capire se siano sempre gli stessi, eleganti angeli muti, a disegnar volteggi come inviti al futuro.
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Musica: "Che colori hai negli occhi?" "Eh, verde smeraldo."
25 luglio 2011
18 luglio 2011
14 luglio 2011
Tradurre è un giardino di mestieri che si biforcano
Un esempio di intraducibilità lo si trova spesso nelle battute, ancor più di frequente nelle vignette o strisce comiche, come questa:
- Show me a philosopher leading a funeral procession...
- And I'll show you a guy who puts Descartes before the hearse.
Letteralmente, i due personaggi dicono:
"Mostrami un filosofo in testa a un funerale..."
"E ti mostrerò un tizio che mette Cartesio davanti al carro funebre."
Il fatto è che Descartes (Cartesio) in inglese suona più o meno come "the cart" (il carro), mentre "the hearse" (il carro funebre) richiama "the horse" (il cavallo). Sapendo che "to put the cart before the horse" equivale al nostro "mettere il carro davanti ai buoi", ecco che si svela il gioco di parole.
Ora dimmi: sarebbe stato possibile tradurlo o renderlo con un meccanismo umoristico equivalente? Come?
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Precedenti: Esercizio di traduzione uno e due
- Show me a philosopher leading a funeral procession...
- And I'll show you a guy who puts Descartes before the hearse.
Letteralmente, i due personaggi dicono:
"Mostrami un filosofo in testa a un funerale..."
"E ti mostrerò un tizio che mette Cartesio davanti al carro funebre."
Il fatto è che Descartes (Cartesio) in inglese suona più o meno come "the cart" (il carro), mentre "the hearse" (il carro funebre) richiama "the horse" (il cavallo). Sapendo che "to put the cart before the horse" equivale al nostro "mettere il carro davanti ai buoi", ecco che si svela il gioco di parole.
Ora dimmi: sarebbe stato possibile tradurlo o renderlo con un meccanismo umoristico equivalente? Come?
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Precedenti: Esercizio di traduzione uno e due
08 luglio 2011
Il cielo poi alla fine non cade mai
Un vero e proprio lavacro, a ripensarci. Forse una nuvola impazzita o chissà che, da su di botto scarica un temporalone battente*, non s'accontenta e rinforza con grandine, grossa, a picchiare su vetri e metalli; precari anfibi su ruote sollevano giochi d'acqua sui percorsi allagati mentre si procede verso il sole; tempo da arcobaleni, ma nisba, però i colori sono comunque più belli all'uscita da quell'autolavaggio celeste e non importa se poi i piedi si bagnano, non importa se niente di grosso è cambiato, perché basta un po' d'acqualuce nuova per sbattezzarsi e ribattezzarsi, un raggio di voce per risorridere al mondo un momento, anche senza l'arcobaleno, benché con l'arcobaleno sia meglio, si sa.
*stavo per scrivere in automatico "battente bandiera liberiana".
*stavo per scrivere in automatico "battente bandiera liberiana".
07 luglio 2011
Se per caso un giorno o l'altro
Che corricchiare e non correre sia il verbo giusto l'ho verificato anche oggi, quando due tizi mi hanno superato scheggiando via in scioltezza senza smettere di chiacchierare tra loro. Per la cronaca, non ho ceduto alla tentazione di forzare e ho mantenuto l'andatura. D'altronde la mia bravura era già stata un'altra: trovare la determinazione, nel pressante marasma lavorativo, di staccare per andarmi a concedere mezz'ora di sudore, non in dolce compagnia o amoroso convivio, ma in solitario.
Oddio, solitario per modo di dire, visto che sono perfino passato in mezzo a una caccia al tesoro, sorridendo alla ciurma che mi chiedeva invano delle dritte (dov'è una grossa scacchiera qui nel parco?), per non parlare dei pensieri che porto nel cuore e degli occhi tuttora intrisi di antico stupore. Se ero solo, lo ero col mondo intorno.
Oddio, solitario per modo di dire, visto che sono perfino passato in mezzo a una caccia al tesoro, sorridendo alla ciurma che mi chiedeva invano delle dritte (dov'è una grossa scacchiera qui nel parco?), per non parlare dei pensieri che porto nel cuore e degli occhi tuttora intrisi di antico stupore. Se ero solo, lo ero col mondo intorno.
05 luglio 2011
Ma non ci dorme più nessuno
Se leggo Consonno, ancora oggi penso a una delle due linee urbane di Seregno, la numero 3, che taglia la cittadina da sud a nord e che all'epoca mia prendeva il nome dai due capolinea "Stadio-Consonno" (l'altra è la numero 1, "Dosso-Ceredo", mentre la 2 non è mai pervenuta).
Ora, mentre ammazzo zanzare usando le mani come piatti bandistici, il ricordo s'ingarbuglia perché riaffiorano visioni e sensazioni di viaggi quotidiani al ritorno dalla Terza Scuola Media (vicino allo Stadio) fino a via Montello (verso il Dosso), su un autobus che presumibilmente seguiva un percorso ad hoc per noi scolari, impegnati per l'intero tragitto in goffi animaleschi approcci esplorativi col genere complementare, rappresentato dalle nostre già sviluppate compagne di classe. Un ben di dio cui non si sapeva bene come attingere, in un bailamme tra finta ritrosia e allegra connivenza da zona franca itinerante, che iniziava e cessava quotidianamente in quel percorso d'autobus.
Consonno, scopro invece dopo qualche decennio, non è solo un quartiere seregnese, ma un'ex località dell'alta Brianza: una cittadella fantasma, frazione di Olginate in provincia di Lecco, dalla storia quasi incredibile, oscillante tra farsesca amarezza e tragedia grottesca, come racconta con parole e immagini il bell'articolo del blog Bizzarro Bazar, che rimanda anche al sito sulla storia di Consonno.
Ora, mentre ammazzo zanzare usando le mani come piatti bandistici, il ricordo s'ingarbuglia perché riaffiorano visioni e sensazioni di viaggi quotidiani al ritorno dalla Terza Scuola Media (vicino allo Stadio) fino a via Montello (verso il Dosso), su un autobus che presumibilmente seguiva un percorso ad hoc per noi scolari, impegnati per l'intero tragitto in goffi animaleschi approcci esplorativi col genere complementare, rappresentato dalle nostre già sviluppate compagne di classe. Un ben di dio cui non si sapeva bene come attingere, in un bailamme tra finta ritrosia e allegra connivenza da zona franca itinerante, che iniziava e cessava quotidianamente in quel percorso d'autobus.
Consonno, scopro invece dopo qualche decennio, non è solo un quartiere seregnese, ma un'ex località dell'alta Brianza: una cittadella fantasma, frazione di Olginate in provincia di Lecco, dalla storia quasi incredibile, oscillante tra farsesca amarezza e tragedia grottesca, come racconta con parole e immagini il bell'articolo del blog Bizzarro Bazar, che rimanda anche al sito sulla storia di Consonno.
19 giugno 2011
Al parco, al parco!
Oggi ho risposto al richiamo della giornata che urla di azzurro e sole e sono tornato a corricchiare al parco Nord dopo oltre un anno.
Così, come se tutto fosse.
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Bonus musicale: Everybody's Gotta Learn Sometime interpetata da Beck, canzone ipnotica da un film la cui parola chiave per me è "intimità".
Così, come se tutto fosse.
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Bonus musicale: Everybody's Gotta Learn Sometime interpetata da Beck, canzone ipnotica da un film la cui parola chiave per me è "intimità".
16 giugno 2011
Kiss
Leggo del tempo e delle attese, leggo del pensiero nel respiro, riascolto rasentando il pericolo del cuore sullo strapiombo, mi si apre la bocca, esce la nota, forte, un po' rauca ma deve uscire, deve riaprirsi tutto l'ansimare dopo il troppo annegarsi, e pazienza se insieme alla determinazione escono da sole le lacrime, sono lacrime di perdono, di superamento dell'angoscia, soprattutto di quella ricusata, ed è a quel punto che mi viene in mente che oggi è un anno, un anno dallo stop delle radioterapie, un anno dal sollievo, ma non dall'abbandono del dolore, quello fisico del napalm in gola, quello più intimo e legato al desiderio e ai sogni infranti, non meno devastante seppur prolungato fino all'agonia, comunque non importa l'anniversario, importa quel che sa fare la musica, come sappia sempre scardinare tutto quanto, anche le difese che non si credeva di avere allestito, le armature che si vedono più facilmente osservando gli altri che non sé stessi, la musica che è magica e terribile e dolce e tremenda, la musica che vuole e deve risuonare dentro e fuori e anche a metà strada tra noi e gli altri, la musica che è vibrazione vitale anche quando ti scaraventa in aria senza essere lì a riprenderti quando cadrai, la musica che voglio riabbracciare, presto o anche non presto, per come sarò o non sarò capace, perché ricominci a colorarmi l'anima dei toni iridescenti che tanto mi piacciono, affinché l'incanto parta da dentro ancor prima che dalle meraviglie donate dagli inesauribili incontri del vivere.
10 giugno 2011
Tra pelle e spirito
Sonno, non ti ruberò campo per scrivere, lascerò sia tu a masterizzarmi il verbo di quel che non s'afferra. Corpo, comprimerò di schianto il tempo o carezzevolmente a compiacerti e accontentarti, e in notte di librato volo ti raggiungerò.
L'anima è di carne, in note di terreno ardire scandisce già l'attacco di un tacer che sa di sogno lucido. Un regno da scoprire, s'irradia un bel pulsare dal sé. Ammicca e poi svapora all'appello dell'esistere, puf. Ha il segno del tuo dire, nel muto temporale tra un trepidar di palpebre e un suo respiro, clic.
Dormo, ritroverò il tuo sonno, di remiganti sillabe tarpate. Voce risponderà allo sguardo mentre al vegliarti rivedrò il mio volto. Allora saprò del tuo e del mio sopore, oltre ogni tempo la bramosia di riallacciarci in tutti e sette i sensi.
L'anima è di carne, in note di terreno ardire scandisce già l'attacco di un tacer che sa di sogno lucido. Un regno da scoprire, s'irradia un bel pulsare dal sé. Ammicca e poi svapora all'appello dell'esistere, puf. Ha il segno del tuo dire, nel muto temporale tra un trepidar di palpebre e un suo respiro, clic.
Dormo, ritroverò il tuo sonno, di remiganti sillabe tarpate. Voce risponderà allo sguardo mentre al vegliarti rivedrò il mio volto. Allora saprò del tuo e del mio sopore, oltre ogni tempo la bramosia di riallacciarci in tutti e sette i sensi.
18 maggio 2011
Vai
Guideresti, ora, o ti pensi a farlo, lungo un'autostrada con un clima soleggiato ma non troppo caldo, con una radio accesa su musica gradevole ma non tua, con intorno paesaggi non abituali ma nemmeno ignoti, le mani su un volante ubbidiente, la leva del cambio docile e poi abbandonata, un motore onesto e agile di un'auto noleggiata, dimentico delle pesantezze eppure consapevole di un semigusto che abbevera ogni respiro, di un semisorriso che condiscende a quasi ogni sguardo, di un pensiero latente che prova a riesumare quanto hai sepolto in giardino: la dinamite dei sentimenti vissuti a metà.
Vai e vai e vai, guardi bevi mangiucchi, vai, scivolando sull'essere, vai, vai, vai, ascolti e lasci vagare il sé a sospendere il fare, vai e non sai, non sai quando né se ti fermerai, vai e intanto dolce lieve giunge un'autocarezza indulgente, un incoraggiamento dell'anima a far ricircolare linfa e calore, un sussurro dal vento tra i prati a rammentarti che il cuore saprà dischiudere i suoi petali ad altri aneliti e forse, un giorno, a ciascun istante del vivere.
Vai e vai e vai, guardi bevi mangiucchi, vai, scivolando sull'essere, vai, vai, vai, ascolti e lasci vagare il sé a sospendere il fare, vai e non sai, non sai quando né se ti fermerai, vai e intanto dolce lieve giunge un'autocarezza indulgente, un incoraggiamento dell'anima a far ricircolare linfa e calore, un sussurro dal vento tra i prati a rammentarti che il cuore saprà dischiudere i suoi petali ad altri aneliti e forse, un giorno, a ciascun istante del vivere.
02 maggio 2011
Uno di questi giorni
Cosa si può dire alle persone care di un'intera vita, lontane nel tempo o nello spazio? Così scrivevo ascoltando One Of These Days di Neil Young poco più di un anno fa. Riascolto il pezzo e le parole, mi tocca e lo capisco perché so che non ci si perde, anche quando sembra che. Lo so per esperienza, e sebbene poi i successivi distacchi non siano meno dolorosi, anzi, insisto ad affermare che è bello, è umano, è meglio rimanere collegati tramite fili invisibili, elettrodi dell'anima che quando si tendono danno strappi in mezzo al torace, vicino al cuore, ma che quando trasmettono danno energia a tutto l'essere.
Il testo lo trovi qui e dice più o meno così:
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti gli amici che ho conosciuto e proverò a ringraziarli tutti per i bei momenti passati insieme, anche se siamo cresciuti così distanti.
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti i buoni amici che ho conosciuto, uno di questi giorni, e non ci vorrà molto.
Ringrazierò quel vecchio violinista country e tutti quei ragazzotti rudi che suonano rock and roll. Non ho mai cercato di bruciare ponti, anche se so di aver trascurato alcune cose buone.
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti i buoni amici che ho conosciuto, uno di questi giorni, e non ci vorrà molto.
Da Los Angeles fino a Nashville, da New York alla mia prateria canadese, i miei amici sono sparsi qua e là come foglie di un vecchio acero. Alcuni sono deboli, altri forti.
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti i buoni amici che ho conosciuto, uno di questi giorni, e non ci vorrà molto.
Il testo lo trovi qui e dice più o meno così:
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti gli amici che ho conosciuto e proverò a ringraziarli tutti per i bei momenti passati insieme, anche se siamo cresciuti così distanti.
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti i buoni amici che ho conosciuto, uno di questi giorni, e non ci vorrà molto.
Ringrazierò quel vecchio violinista country e tutti quei ragazzotti rudi che suonano rock and roll. Non ho mai cercato di bruciare ponti, anche se so di aver trascurato alcune cose buone.
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti i buoni amici che ho conosciuto, uno di questi giorni, e non ci vorrà molto.
Da Los Angeles fino a Nashville, da New York alla mia prateria canadese, i miei amici sono sparsi qua e là come foglie di un vecchio acero. Alcuni sono deboli, altri forti.
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti i buoni amici che ho conosciuto, uno di questi giorni, e non ci vorrà molto.
28 aprile 2011
Come siamo Messi?
Da circa un decennio seguo il calcio solo saltuariamente, cosa che provoca tuttora sconcerto in chi mi conosceva prima, quando ero tifoso accanito.
Ciò detto, vi sono gioielli degni di ammirazione anche da parte degli agnostici ed è bene sottolineare comportamenti che rendono onore alla lealtà sportiva: nel filmato che s'intitola "Messi non si tuffa mai" si vede come il piccolo grande Lionel sdegni la possibilità di farsi fischiare sacrosanti falli a favore, cercando di continuare l'azione in qualsiasi condizione.
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Tra l'altro, ieri sera ha segnato un gol strepitoso, come già sottolineava lucah.
Ciò detto, vi sono gioielli degni di ammirazione anche da parte degli agnostici ed è bene sottolineare comportamenti che rendono onore alla lealtà sportiva: nel filmato che s'intitola "Messi non si tuffa mai" si vede come il piccolo grande Lionel sdegni la possibilità di farsi fischiare sacrosanti falli a favore, cercando di continuare l'azione in qualsiasi condizione.
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Tra l'altro, ieri sera ha segnato un gol strepitoso, come già sottolineava lucah.
24 aprile 2011
Attraverso
Risorgere si risorge, certo, come è certo che i buchi lasciati dai chiodi continuano a vedersi e si vedono perché ci sono, perché rimangono. Non crucciartene: nonostante tutto, lo sai, è meglio, molto meglio così che non cancellare tutto appiattendo la fisarmonica dei ricordi.
Dove inizi o finisca un uovo non è dato saperlo (le risposte "culo" e "bocca" non valgono), è un'altra versione dell'ouroboros, ma intuisci che se l'eterno ritorno esiste, la ciclicità ha luogo su una spirale e non su un cerchio, per cui ogni passaggio non sarà, non potrà mai essere identico al precedente. E meno male, altrimenti dimmi tu che sfizio ci sarebbe.
Mentre ti senti e sei padre e figlio con lo spirito giusto, lascia scorrere il laser sul disco fino alle tracce invisibili, è lì che troverai le sorprese pasquali.
Che le acque si aprano a permettere un buon passaggio oggi, che un mare rosso di fazzoletti al collo si richiuda sulle malvagità domani, per dar vita a nuovi respiri fino a innescare caldi sorrisi. Buona Pasqua e buon 25 aprile.
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Gli Easter egg li trovi, per esempio, nei DVD per l'intrattenimento domestico.
L'ouroboros (detto anche: uroboro, oroborus, uroboros o uroborus) era menzionato in un romanzo di Vázquez Montalbán.
Bonus musicale: Paul Weller, You Do Something To Me
Dove inizi o finisca un uovo non è dato saperlo (le risposte "culo" e "bocca" non valgono), è un'altra versione dell'ouroboros, ma intuisci che se l'eterno ritorno esiste, la ciclicità ha luogo su una spirale e non su un cerchio, per cui ogni passaggio non sarà, non potrà mai essere identico al precedente. E meno male, altrimenti dimmi tu che sfizio ci sarebbe.
Mentre ti senti e sei padre e figlio con lo spirito giusto, lascia scorrere il laser sul disco fino alle tracce invisibili, è lì che troverai le sorprese pasquali.
Che le acque si aprano a permettere un buon passaggio oggi, che un mare rosso di fazzoletti al collo si richiuda sulle malvagità domani, per dar vita a nuovi respiri fino a innescare caldi sorrisi. Buona Pasqua e buon 25 aprile.
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Gli Easter egg li trovi, per esempio, nei DVD per l'intrattenimento domestico.
L'ouroboros (detto anche: uroboro, oroborus, uroboros o uroborus) era menzionato in un romanzo di Vázquez Montalbán.
Bonus musicale: Paul Weller, You Do Something To Me
08 aprile 2011
La vita mi piace un mondo
Insieme alla tessera del cineforum mi avevano dato un libricino di presentazioni, che leggo sempre dopo aver visto il film. Stamane ho avuto la bella sorpresa di vedervi citato un post di Elena Chesta a proposito di Julia Child, alla quale sul grande schermo dà vita l'immensa Meryl Streep.
Sarà un po' infantile, ma è stato bello l'effetto di veder proiettato nel quotidiano vivere uno spicchio di vita sul web (ché il mondo delle reti relazionali come lo intendiamo qui, dicemmo e ribadiamo, non è virtuale -- e questo non è plurale maiestatico, ma sentire condiviso).
Sull'onda del sorriso scivola il ricordo e riemerge un aneddoto: un paio d'anni fa un mio amico e vecchio compagno di palco, preparando il suo matrimonio, chiese al suo attuale cantante di consigliargli un dj da ingaggiare per la festa. Lui gli indicò un certo Manlio e cercando conforto al parere rovistò su internet per qualche notizia, trovò una recensione e gliela spedì via mail. Era un mio vecchio post e la sera in cui ci presentarono ci ridemmo su tutti insieme, brindando alle coincidenze, ai cerchi, alle cerchie, ai cerchioni, e naturalmente al rock!
Il fatto è che il mondo è piccolo e la rete è grande.
A quel matrimonio, poi, fui casualmente catalizzatore di una specie di carrambata, presentando mio fratello a Elena Petulia: momenti di commossa ilarità quando venne fuori che Beppe e il padre di lei si conoscevano bene...
Gli è che il frantumarsi dei gradi di separazione mi diverte e mi fa gioire, quasi fosse una proiezione di quei lacci bianchi illuminati.
--
...finché mi risucchia una galassia a spirale dritto dritto nel dna dell'universo e risbucherò fuori nel mattino del tunnel blu senza ricordare nulla tranne una fragranza di buono e bello e uno sventolio di lacci bianchi a collegare il sempreora e il tuttovoglio con un bacio dal cuore del sole di notte, attraverso l’inverno a dar calore al nuovo chiarore.
Sarà un po' infantile, ma è stato bello l'effetto di veder proiettato nel quotidiano vivere uno spicchio di vita sul web (ché il mondo delle reti relazionali come lo intendiamo qui, dicemmo e ribadiamo, non è virtuale -- e questo non è plurale maiestatico, ma sentire condiviso).
Sull'onda del sorriso scivola il ricordo e riemerge un aneddoto: un paio d'anni fa un mio amico e vecchio compagno di palco, preparando il suo matrimonio, chiese al suo attuale cantante di consigliargli un dj da ingaggiare per la festa. Lui gli indicò un certo Manlio e cercando conforto al parere rovistò su internet per qualche notizia, trovò una recensione e gliela spedì via mail. Era un mio vecchio post e la sera in cui ci presentarono ci ridemmo su tutti insieme, brindando alle coincidenze, ai cerchi, alle cerchie, ai cerchioni, e naturalmente al rock!
Il fatto è che il mondo è piccolo e la rete è grande.
A quel matrimonio, poi, fui casualmente catalizzatore di una specie di carrambata, presentando mio fratello a Elena Petulia: momenti di commossa ilarità quando venne fuori che Beppe e il padre di lei si conoscevano bene...
Gli è che il frantumarsi dei gradi di separazione mi diverte e mi fa gioire, quasi fosse una proiezione di quei lacci bianchi illuminati.
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...finché mi risucchia una galassia a spirale dritto dritto nel dna dell'universo e risbucherò fuori nel mattino del tunnel blu senza ricordare nulla tranne una fragranza di buono e bello e uno sventolio di lacci bianchi a collegare il sempreora e il tuttovoglio con un bacio dal cuore del sole di notte, attraverso l’inverno a dar calore al nuovo chiarore.
04 aprile 2011
Oggi e sempre
Non c'è foto che tenga, figlio mio. Non c'è macchina da immagini abbastanza capiente, non grandangolo sufficientemente ampio, non esiste diaframma tanto sagace né obiettivo davvero capace di catturare tutto quel che smuovi tu e che il grandanimo effonde guardagodendoti nel naturale essere.
Il cielo, il caldo, la campagna a cinque passi dal solito ristare, una passeggiata tante volte esperita e sempre diversa, stavolta di più perché, ci rendiamo conto dai colori, per la prima volta è in primavera. Si dice che il mare sia blu e invece ne conosciamo le innumerevoli sfumature: lo stesso è per il verde del prato, lo vedi, lo vediamo. Poi, poco prima di dov'era quella volta il riccio, ecco i fiori viola delle ortiche, ben frequentati da bombi golosi. L'aratura marrone del granturco e poi di nuovo l'erba, morbida, giustaccogliente per sdraiarsi in un po' d'oblio.
Una fioritura bianca da andare a veder da vicino, nuovo spettacolo in ogni singolo fiore, rami da accarezzare, boccioli da incoraggiare e la magia del guardarli da sotto in su, spillone emotivo a trafiggere in unica estasi cuore occhio e cielo. La condivisione raddoppia il piacere, ne conveniamo. E poi ti vedo partire di corsa e tuffarti nell'erbetta alta, e percepisco l'enormità di un lievitare, dietro lo sterno e fino in gola, da cuorpompante che parola non cattura, per la felicità dell'essere, effimera ed eterna per ciascun istante. Non ho di che fissare in oggetto quel momento, ma non c'è foto che tenga, figlio mio, gioia grande. Sii.
Il cielo, il caldo, la campagna a cinque passi dal solito ristare, una passeggiata tante volte esperita e sempre diversa, stavolta di più perché, ci rendiamo conto dai colori, per la prima volta è in primavera. Si dice che il mare sia blu e invece ne conosciamo le innumerevoli sfumature: lo stesso è per il verde del prato, lo vedi, lo vediamo. Poi, poco prima di dov'era quella volta il riccio, ecco i fiori viola delle ortiche, ben frequentati da bombi golosi. L'aratura marrone del granturco e poi di nuovo l'erba, morbida, giustaccogliente per sdraiarsi in un po' d'oblio.
Una fioritura bianca da andare a veder da vicino, nuovo spettacolo in ogni singolo fiore, rami da accarezzare, boccioli da incoraggiare e la magia del guardarli da sotto in su, spillone emotivo a trafiggere in unica estasi cuore occhio e cielo. La condivisione raddoppia il piacere, ne conveniamo. E poi ti vedo partire di corsa e tuffarti nell'erbetta alta, e percepisco l'enormità di un lievitare, dietro lo sterno e fino in gola, da cuorpompante che parola non cattura, per la felicità dell'essere, effimera ed eterna per ciascun istante. Non ho di che fissare in oggetto quel momento, ma non c'è foto che tenga, figlio mio, gioia grande. Sii.
01 aprile 2011
Un giorno perfetto per i pesci banana
Apri le
gambe, sirenetta.
Come, scusa, cosa
vuol dire che
per te
non è uno scherzo?
gambe, sirenetta.
Come, scusa, cosa
vuol dire che
per te
non è uno scherzo?
29 marzo 2011
Bestiaccia
Quelle d'idee sono associazioni a delinquere.
Cala la palpebra, vado a sciacquar la faccia, poi esco sul balcone dove mi trovo sempre a metà del cielo, di qua l'azzurro di là le nubi, che oggi sembrano voler seguire l'arco del sole per fargli da alabastro.
Ma cos'è 'sta sonnolenza, cos'è questo languore, sarà l'età o la primavera, sto per chiedermi, quando mi ricordo della maledetta zanzara che alle 4.55 m'ha svegliato per sempre, riaddormicchiarmi non vale come vero riposo, specialmente se il naso chiuso da presumibile allergia al cloro impedisce una soave respirazione. E va be', insomma, cosa vuoi che sia una zanzara, dove può portarti una luce accesa nel cuor del buio per darle la caccia... è che le associazioni d'idee son malandrine e insinuano lo struggimento dove la stanchezza lascia varchi.
Dunque non resta che scoprire un pezzo da ascoltare e lasciare che il pensiero vaghi attorno a formule di desiderio, tipo questa, magari: "Fammi fermare il tempo, fammi andare avanti e indietro nel tempo, a piacimento. Fammi fermare dove mi è piaciuto stare. Fammi restare lì per sempre. Per sempre."
Che poi so già che non accetterei, che vivere voglio vivere davvero, voglio, e per vivere davvero si va avanti e fino in fondo, si va, però... ma è tutta colpa delle associazioni d'idee, maledetta zanzara, e di un letto semivuoto.
--
Ribadisco anche qui l'attribuzione precisando che la formula presa a prestito è di Flounder.
Cala la palpebra, vado a sciacquar la faccia, poi esco sul balcone dove mi trovo sempre a metà del cielo, di qua l'azzurro di là le nubi, che oggi sembrano voler seguire l'arco del sole per fargli da alabastro.
Ma cos'è 'sta sonnolenza, cos'è questo languore, sarà l'età o la primavera, sto per chiedermi, quando mi ricordo della maledetta zanzara che alle 4.55 m'ha svegliato per sempre, riaddormicchiarmi non vale come vero riposo, specialmente se il naso chiuso da presumibile allergia al cloro impedisce una soave respirazione. E va be', insomma, cosa vuoi che sia una zanzara, dove può portarti una luce accesa nel cuor del buio per darle la caccia... è che le associazioni d'idee son malandrine e insinuano lo struggimento dove la stanchezza lascia varchi.
Dunque non resta che scoprire un pezzo da ascoltare e lasciare che il pensiero vaghi attorno a formule di desiderio, tipo questa, magari: "Fammi fermare il tempo, fammi andare avanti e indietro nel tempo, a piacimento. Fammi fermare dove mi è piaciuto stare. Fammi restare lì per sempre. Per sempre."
Che poi so già che non accetterei, che vivere voglio vivere davvero, voglio, e per vivere davvero si va avanti e fino in fondo, si va, però... ma è tutta colpa delle associazioni d'idee, maledetta zanzara, e di un letto semivuoto.
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Ribadisco anche qui l'attribuzione precisando che la formula presa a prestito è di Flounder.
25 marzo 2011
Bi-sogno
La voce deve riposare, l'orecchio no. Voglio musica, quella delle note e quella delle voci, quella dei sorrisi e delle domande, dei racconti e dei respiri. Ubriaco di sonno per le ore mancate, ebbro di acquazzoni salati per le vite svaporate, cerco carezze nell'aria e sono fatte di parole. O di ricordi. Parole e silenzi, lontananze e assenze. Scambi che colmano gli istanti e scolorano poi nello straniamento. Strani intrecci e pulsanti emozioni. Numeri e dadi. Lanci condivisi, slanci frustrati. Inchiostri di condizionali e di futuri negati, mancanze liquide capaci di riempirti fino all'implosione, tracciati geroglifici sul palmo di una mano. Il sentire passa dai polpastrelli, l'elettricità si avrà al contatto e solo allora la malinconia saprà farsi accarezzare via, almeno per un po', almeno per un po'. Devo appassionarmi di me. Universo, fammi le fusa, non sarà uno spreco.
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Bonus: Carlos Gardel, El día que me quieras
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Bonus: Carlos Gardel, El día que me quieras
23 marzo 2011
Di lei ci vivrei
Ieri era la giornata dell'acqua, ma voglio parlare dell'aria.
Di nuovo è il tempo in cui stendere il bucato fuori è non solo efficace, ma gradevole: affidi i panni all'aria e l'apertura sua te li profuma. La brezza soffia lieve, ma scompiglia e pare ebbrezza, strafatta di cromie che adescano la pelle. Seppure spalancato, l'occhio coglie l'invisibile e con respiro grato dice "vivo", ché è bene ricordarselo di quando in quando.
Di quando in quando è bene ricordarsi di quel che c'è e si dà per scontato. L'aria te lo insegna: magari non la calcoli, poi annaspi alla prima apnea. In verità, da queste parti, geopoliticamente parlando, s'annaspa tutto l'anno: la città e il suo hinterland sono fatti per la venerazione delle automobili, mai messe in discussione a favore dei portatori di polmoni.
Polmoni cercansi: polmoni rosa per scambi aerei senza bombardamenti, polmoni verdi per cittadini verdi di bile al semaforo rosso, polmoni d'acciaio per spasimanti dispnoici, polmoni pulsanti d'alacrità, polmoni allargati per chi agli spasmi caotici del quotidiano andirivieni fa ciao con la manina, almeno ogni tanto, per abbracciare il vento fino a scarmigliarsi il vivere.
--
Bonus musicale: Strade parallele (Aria siciliana) - Giuni Russo e Franco Battiato
P.S.: dell'acqua ha parlato ieri in tutti i sensi Mitì, cui oggi vanno gli auguri di buon compleblog.
Di nuovo è il tempo in cui stendere il bucato fuori è non solo efficace, ma gradevole: affidi i panni all'aria e l'apertura sua te li profuma. La brezza soffia lieve, ma scompiglia e pare ebbrezza, strafatta di cromie che adescano la pelle. Seppure spalancato, l'occhio coglie l'invisibile e con respiro grato dice "vivo", ché è bene ricordarselo di quando in quando.
Di quando in quando è bene ricordarsi di quel che c'è e si dà per scontato. L'aria te lo insegna: magari non la calcoli, poi annaspi alla prima apnea. In verità, da queste parti, geopoliticamente parlando, s'annaspa tutto l'anno: la città e il suo hinterland sono fatti per la venerazione delle automobili, mai messe in discussione a favore dei portatori di polmoni.
Polmoni cercansi: polmoni rosa per scambi aerei senza bombardamenti, polmoni verdi per cittadini verdi di bile al semaforo rosso, polmoni d'acciaio per spasimanti dispnoici, polmoni pulsanti d'alacrità, polmoni allargati per chi agli spasmi caotici del quotidiano andirivieni fa ciao con la manina, almeno ogni tanto, per abbracciare il vento fino a scarmigliarsi il vivere.
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Bonus musicale: Strade parallele (Aria siciliana) - Giuni Russo e Franco Battiato
P.S.: dell'acqua ha parlato ieri in tutti i sensi Mitì, cui oggi vanno gli auguri di buon compleblog.
22 marzo 2011
Turzo
Ieri ho fatto cinquantaquattro vasche. 54 per me non è un numero qualsiasi: invariabilmente nel pensiero mi si associa al cavolfiore e al suo torsolo.
Bisogna sapere che in casa mia si è sempre parlato a numeri, quelli della smorfia, o cabala napoletana, giacché nei numeri del lotto era il mestiere di mio padre e di entrambi i suoi genitori. Già ho detto di mio nonno e della sacralità che per me da bambino rivestivano le estrazioni del lotto. Quello che forse non ho mai scritto è che per me e i miei fratelli è sempre stato normale sentirsi chiedere dove fosse il 50 (pane) al momento di mettersi a tavola, chi avesse voglia di preparare il 34 (caffè) o se avessimo abbastanza 46 (soldi) in tasca prima di uscire. Il significato era per tutti quanti talmente ovvio che in caso di corrispondenze con termini sconvenienti, il numero veniva pronunciato a bassa voce o comunque in modo più discreto: era il caso del 18 (gabinetto) o dei vari riferimenti erotici: 6 e 29 (organi genitali femminili e maschili), 16 (il posteriore), 28 (le zizze).
Tornando al 54, mio nonno lo usava nella particolare accezione del "turzo 'e cavoliciore", che denota non troppo sgarbatamente una persona fessacchiotta. In effetti un po' fesso lo sono, però, come il cavolfiore, cotto son buono, assaggiami: ho un cuorcontento grato alla vita, gratinato d'amore è la morte mia.
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Altri numeri smorfiati in questo blog: 12, 21, (42), 47-72-90, 2209.
Bisogna sapere che in casa mia si è sempre parlato a numeri, quelli della smorfia, o cabala napoletana, giacché nei numeri del lotto era il mestiere di mio padre e di entrambi i suoi genitori. Già ho detto di mio nonno e della sacralità che per me da bambino rivestivano le estrazioni del lotto. Quello che forse non ho mai scritto è che per me e i miei fratelli è sempre stato normale sentirsi chiedere dove fosse il 50 (pane) al momento di mettersi a tavola, chi avesse voglia di preparare il 34 (caffè) o se avessimo abbastanza 46 (soldi) in tasca prima di uscire. Il significato era per tutti quanti talmente ovvio che in caso di corrispondenze con termini sconvenienti, il numero veniva pronunciato a bassa voce o comunque in modo più discreto: era il caso del 18 (gabinetto) o dei vari riferimenti erotici: 6 e 29 (organi genitali femminili e maschili), 16 (il posteriore), 28 (le zizze).
Tornando al 54, mio nonno lo usava nella particolare accezione del "turzo 'e cavoliciore", che denota non troppo sgarbatamente una persona fessacchiotta. In effetti un po' fesso lo sono, però, come il cavolfiore, cotto son buono, assaggiami: ho un cuorcontento grato alla vita, gratinato d'amore è la morte mia.
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Altri numeri smorfiati in questo blog: 12, 21, (42), 47-72-90, 2209.
21 marzo 2011
Che ci giunga
Da giorni cielo e sole ne proclamavano l'imminente rifiorire.
Primavera, stagione caricata a molla, pazza come marzo, incoraggiante come aprile, dolce come maggio. Scaturisce all'essere e sboccia, carica di novità inquietanti o spiazzanti, pregna di frizzanti meraviglie strane o incredibili, traccia fili in aria e si dipinge in acquerelli dalle imprevedibili cromie, straniandoti risboccia in densità colorate di magie.
Mentre il mondo incongruente rimbomba di orrori e pianti sfiguranti, la natura riesplode impetuosa ed è un carrarmato è un tornado è un'onda è una forza raggiante e mortale con la fretta di rivivere. Tu guardi al mondo e t'ingiostri, il globo puntino rotante che pulsa di affanni, il cosmico ritmo atrioventricolare che pompa ricordi dal futuro, negli occhi una nube di mistero toglie il tempo dal respiro e ti perdi girando nel vuoto del blu.
Eppure. Fai l'occhiolino a una luna bucaniera che immette argento squarcianubi con potente ardire. Quel mondo, lo stesso mondo si lascia guardare fin dietro i colori rivelavita e la scena si fa ricca di doni, lo sguardo vi ambisce e s'incanta, a lungo. Molti sono gli scrigni di bellezza e preziosità, qualcuno irresistibile. Bello che esistano, sebbene talvolta sia assai arduo imparare ad accontentarsi di ammirarli da lontano, come si fa con l'arcobaleno, creatura di luce capace di unire in un bacio il cielo e la terra.
Buona iridescente giornata.
Primavera, stagione caricata a molla, pazza come marzo, incoraggiante come aprile, dolce come maggio. Scaturisce all'essere e sboccia, carica di novità inquietanti o spiazzanti, pregna di frizzanti meraviglie strane o incredibili, traccia fili in aria e si dipinge in acquerelli dalle imprevedibili cromie, straniandoti risboccia in densità colorate di magie.
Mentre il mondo incongruente rimbomba di orrori e pianti sfiguranti, la natura riesplode impetuosa ed è un carrarmato è un tornado è un'onda è una forza raggiante e mortale con la fretta di rivivere. Tu guardi al mondo e t'ingiostri, il globo puntino rotante che pulsa di affanni, il cosmico ritmo atrioventricolare che pompa ricordi dal futuro, negli occhi una nube di mistero toglie il tempo dal respiro e ti perdi girando nel vuoto del blu.
Eppure. Fai l'occhiolino a una luna bucaniera che immette argento squarcianubi con potente ardire. Quel mondo, lo stesso mondo si lascia guardare fin dietro i colori rivelavita e la scena si fa ricca di doni, lo sguardo vi ambisce e s'incanta, a lungo. Molti sono gli scrigni di bellezza e preziosità, qualcuno irresistibile. Bello che esistano, sebbene talvolta sia assai arduo imparare ad accontentarsi di ammirarli da lontano, come si fa con l'arcobaleno, creatura di luce capace di unire in un bacio il cielo e la terra.
Buona iridescente giornata.
28 febbraio 2011
Quello che non ho
Non è che non lo si possa fare, ma è inutile cercare quel che non c'è. O cercarlo dove non c'è.
Così è per il proverbiale "midi à quatorze heures" ("Non cercate il mezzogiorno alle due!", tale sarebbe risuonato in una resa letterale l'ammonimento che Madame Ponsy ci rivolgeva nel secolo scorso durante le lezioni di traduzione). Così è, pure, per un ventinove febbraio in un anno non bisestile. Così è, purtroppo, per i fili che pur aleggiando ancora in qualche dimensione sottile faticano a trovare o ritrovare gustosa consistenza nel mondo della comunicazione terrena.
Per questo tra poco si passerà direttamente al primo marzo, per questo l'orologio non tornerà indietro, per questo il sorriso punterà a ricentrarsi sul qui e ora. Ben sapendo, tuttavia, che un anno bisestile prima o poi torna, che ai fusi orari anticipati si può anche andare incontro e che il "qui e ora", se lo si vuol portar con sé, può stare anche in uno zainetto arancione.
--
Nota: dato che in rete c'è chi finisce anche qui cercando di capire come si traducano determinate espressioni, diciamo chiaramente che "chercher midi à quatorze heures" significa "complicarsi l'esistenza".
Così è per il proverbiale "midi à quatorze heures" ("Non cercate il mezzogiorno alle due!", tale sarebbe risuonato in una resa letterale l'ammonimento che Madame Ponsy ci rivolgeva nel secolo scorso durante le lezioni di traduzione). Così è, pure, per un ventinove febbraio in un anno non bisestile. Così è, purtroppo, per i fili che pur aleggiando ancora in qualche dimensione sottile faticano a trovare o ritrovare gustosa consistenza nel mondo della comunicazione terrena.
Per questo tra poco si passerà direttamente al primo marzo, per questo l'orologio non tornerà indietro, per questo il sorriso punterà a ricentrarsi sul qui e ora. Ben sapendo, tuttavia, che un anno bisestile prima o poi torna, che ai fusi orari anticipati si può anche andare incontro e che il "qui e ora", se lo si vuol portar con sé, può stare anche in uno zainetto arancione.
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Nota: dato che in rete c'è chi finisce anche qui cercando di capire come si traducano determinate espressioni, diciamo chiaramente che "chercher midi à quatorze heures" significa "complicarsi l'esistenza".
13 febbraio 2011
Quando gli occhi chiedono
Un film è davvero bello quando alla seconda visione risulta addirittura migliore. Il segreto dei suoi occhi di Juan José Campanella, opera di notevole levatura per temi e trattazione, lo è.
Il tentativo di scrittura con cui si apre raddoppia per un momento il velo del fittizio dinanzi agli occhi dello spettatore, che non sa se un secondo schermo si frapponga tra fruizione e narrazione. Quando poi il racconto retrospettivo si rivela reale, dispiega un secondo intreccio di eventi e di emozioni: come in un'ouverture operistica, i temi si propongono subito tutti quanti, in una ricchezza sospesa.
Un caso archiviato, la volontà di ripescarlo dalla memoria e di riesumarne protagonisti e vittime, anche collaterali; un fastello di ricordi misti al rimpianto di un mancato vivere; una doppia vicenda che alternando i piani temporali si dipana a nuovi sviluppi. Sullo sfondo, la percezione di un'Argentina alla vigilia di orrende prevaricazioni. Il golpe, viscidume stramaledetto, strisciava già da prima e teneva ghermito il senso del giusto e il respiro dei giusti: contraltare pubblico, politico, della bellezza brutalizzata.
Gli attori sono bravi e ben diretti, ruoli secondari compresi. Tra di essi, quello di Pablo Sandoval, sottoposto del viceispettore Benjamín Esposito, rappresenta il personaggio chiave per le dinamiche del film. Detta i tempi comici, ha le intuizioni giuste per smuovere le acque dell'indagine, dice come stanno le cose anche sul piano privato, pronuncia il fondamentale discorso sulle passioni. Alcolista pervicace, impenitente, disadattato, nella sua innocente consapevolezza regala spunti quasi farseschi, ma lo si immagina capace d'eroismo tragico.
Titolo del romanzo ispiratore è La pregunta de sus ojos, letteralmente: la domanda dei suoi occhi. A saperli leggere, gli occhi, insieme agli sguardi che convogliano, danno la risposta, che solo il timore impedisce al protagonista di cogliere anche per sé stesso, oltre che per il caso da risolvere. Risposta che per qualcuno chiude le porte alla vita, alla speranza, alla voglia di futuro.
Eppure, perfino decenni dopo, le porte, anche quelle del cielo, si possono riaprire: basta accorgersene, trovare la chiave giusta per convincersi che quanto sembra impossibile, di rado lo è di fatto. L'esitazione e la paura fanno perdere interi tranci di vita. E invece, quando gli occhi chiedono, la risposta dev'essere tremendamente appassionata.
Il tentativo di scrittura con cui si apre raddoppia per un momento il velo del fittizio dinanzi agli occhi dello spettatore, che non sa se un secondo schermo si frapponga tra fruizione e narrazione. Quando poi il racconto retrospettivo si rivela reale, dispiega un secondo intreccio di eventi e di emozioni: come in un'ouverture operistica, i temi si propongono subito tutti quanti, in una ricchezza sospesa.
Un caso archiviato, la volontà di ripescarlo dalla memoria e di riesumarne protagonisti e vittime, anche collaterali; un fastello di ricordi misti al rimpianto di un mancato vivere; una doppia vicenda che alternando i piani temporali si dipana a nuovi sviluppi. Sullo sfondo, la percezione di un'Argentina alla vigilia di orrende prevaricazioni. Il golpe, viscidume stramaledetto, strisciava già da prima e teneva ghermito il senso del giusto e il respiro dei giusti: contraltare pubblico, politico, della bellezza brutalizzata.
Gli attori sono bravi e ben diretti, ruoli secondari compresi. Tra di essi, quello di Pablo Sandoval, sottoposto del viceispettore Benjamín Esposito, rappresenta il personaggio chiave per le dinamiche del film. Detta i tempi comici, ha le intuizioni giuste per smuovere le acque dell'indagine, dice come stanno le cose anche sul piano privato, pronuncia il fondamentale discorso sulle passioni. Alcolista pervicace, impenitente, disadattato, nella sua innocente consapevolezza regala spunti quasi farseschi, ma lo si immagina capace d'eroismo tragico.
Titolo del romanzo ispiratore è La pregunta de sus ojos, letteralmente: la domanda dei suoi occhi. A saperli leggere, gli occhi, insieme agli sguardi che convogliano, danno la risposta, che solo il timore impedisce al protagonista di cogliere anche per sé stesso, oltre che per il caso da risolvere. Risposta che per qualcuno chiude le porte alla vita, alla speranza, alla voglia di futuro.
Eppure, perfino decenni dopo, le porte, anche quelle del cielo, si possono riaprire: basta accorgersene, trovare la chiave giusta per convincersi che quanto sembra impossibile, di rado lo è di fatto. L'esitazione e la paura fanno perdere interi tranci di vita. E invece, quando gli occhi chiedono, la risposta dev'essere tremendamente appassionata.
29 gennaio 2011
Giorni e giorni e giorni della merla
C’è un rituale, c’è un andare in tondo, ci sono bimbi che sorridono, mamme che salutano, frutta candita, nuvole di fiato. Gli sguardi non si posano per molto, cercano. Cercano in giro, come se sapessero di dover trovare altro. Trovare o forse ritrovare. Le giostre non sono mai fuori stagione, né lo è la fiamma dell’infatuazione, vera o fatua che sia.
Accanto, un luccichio di complicità colora l’iride e ancor più il sorriso, goloso di sapori da scoprire o forse riscoprire. Un gettone e si parte, il contatto è immediato e il rinculo subito cancellato dal primo urto laterale; si prendono le misure per districarsi girando all’infinito il volante e premendo il pedale tra urletti assortiti e l’antiritmo di canzoni melense sparate insulsamente fino a far gracchiare gli altoparlanti.
Lui sa che si fermerà per un po’, ma non a lungo. Non sa dove ha lasciato la sua vita e pensa che ha perso il destino o il senso di averne uno. Guarda e legge come in un fumetto i pensieri della sventola straniera che sta campendo del suo lunghissimo passo le vie dello shopping invernale: Ti sento nei miei capelli, sento il tuo odore mentre cammino specchiandomi tutta nelle vetrine e negli occhi di passanti ingolositi. Sono poche ore e già mi manchi. Il peggio è sapere che è solo un’anticipazione di quanto succederà domani, su quell’aereo, e poi i giorni seguenti, ogni volta che il piede premerà sulla tavoletta per accelerare la distrazione su un qualsiasi rettilineo.
Quei due ridono, quelle altre ammiccano complici, anche in quel gruppetto motteggiano sotto i portici. Il freddo non esiste o meglio non resiste alla voglia di identità: dimostrare le appartenenze serve e un filo di nudo anche d’inverno trova spazio. Occhi bistrati e bistrattati, troppo azzurre e troppo rosa le palpebre, troppo carico il kajal, pesanti le matite e catarifrangenti le labbra. Però esserci e sapersi lì insieme conta, conta più di tutto, e in quel momento basta. Tutto il mondo, fuori.
Di fronte allo specchio, ricorda di essere stato un bel bocconcino, conteso addirittura e capace di leggerezza, nonché di stupide leggerezze. D’altronde, le priorità erano altre. Rievoca la prelibatezza del gioco, un modo di essere e fare cui abbandonarsi con serietà, quella indispensabile alla gioia che sa di sé. Già, il gioco, da cui farsi rapire con estasi fanciullesca e in fin dei conti un po’ cogliona, sì, ma vera e piena di presente. Di fronte allo specchio, anni dopo, gli occhi sono arrossati, l’epidermide chiede protezione, le pupille scintillano cogliendo l’immensa velocità del cronosoffio, mentre tutto viene rimandato come se ci fosse davvero tempo, come se bastasse anelare per garantirsi la prospettiva di nuovi splendori, di splendori nuovi o rinnovati.
Tutti quanti aspettano che il sole torni a scottare sulla pelle, disposti a sacrificarglisi fino al rossore, fino alle bolle se necessario. Sperano anche nel vento, quello capace di far alzare in volo gli aquiloni. E in un’onda da cavalcare, la preferita, indorata dal sole, richiamata dal mare o dall’amare. Senza nemmeno ancora allertare l’apparato circolatorio, ecco che una nuova felicità, illusoria o meno, agile si fa strada tra lo schiudersi delle labbra e lo stupore dietro alle palpebre. I bimbi dalle guance tonde, intanto, starnutiscono aggrappati a un albero, in attesa di un viaggiatore del tempo che li venga a prendere.
Accanto, un luccichio di complicità colora l’iride e ancor più il sorriso, goloso di sapori da scoprire o forse riscoprire. Un gettone e si parte, il contatto è immediato e il rinculo subito cancellato dal primo urto laterale; si prendono le misure per districarsi girando all’infinito il volante e premendo il pedale tra urletti assortiti e l’antiritmo di canzoni melense sparate insulsamente fino a far gracchiare gli altoparlanti.
Lui sa che si fermerà per un po’, ma non a lungo. Non sa dove ha lasciato la sua vita e pensa che ha perso il destino o il senso di averne uno. Guarda e legge come in un fumetto i pensieri della sventola straniera che sta campendo del suo lunghissimo passo le vie dello shopping invernale: Ti sento nei miei capelli, sento il tuo odore mentre cammino specchiandomi tutta nelle vetrine e negli occhi di passanti ingolositi. Sono poche ore e già mi manchi. Il peggio è sapere che è solo un’anticipazione di quanto succederà domani, su quell’aereo, e poi i giorni seguenti, ogni volta che il piede premerà sulla tavoletta per accelerare la distrazione su un qualsiasi rettilineo.
Quei due ridono, quelle altre ammiccano complici, anche in quel gruppetto motteggiano sotto i portici. Il freddo non esiste o meglio non resiste alla voglia di identità: dimostrare le appartenenze serve e un filo di nudo anche d’inverno trova spazio. Occhi bistrati e bistrattati, troppo azzurre e troppo rosa le palpebre, troppo carico il kajal, pesanti le matite e catarifrangenti le labbra. Però esserci e sapersi lì insieme conta, conta più di tutto, e in quel momento basta. Tutto il mondo, fuori.
Di fronte allo specchio, ricorda di essere stato un bel bocconcino, conteso addirittura e capace di leggerezza, nonché di stupide leggerezze. D’altronde, le priorità erano altre. Rievoca la prelibatezza del gioco, un modo di essere e fare cui abbandonarsi con serietà, quella indispensabile alla gioia che sa di sé. Già, il gioco, da cui farsi rapire con estasi fanciullesca e in fin dei conti un po’ cogliona, sì, ma vera e piena di presente. Di fronte allo specchio, anni dopo, gli occhi sono arrossati, l’epidermide chiede protezione, le pupille scintillano cogliendo l’immensa velocità del cronosoffio, mentre tutto viene rimandato come se ci fosse davvero tempo, come se bastasse anelare per garantirsi la prospettiva di nuovi splendori, di splendori nuovi o rinnovati.
Tutti quanti aspettano che il sole torni a scottare sulla pelle, disposti a sacrificarglisi fino al rossore, fino alle bolle se necessario. Sperano anche nel vento, quello capace di far alzare in volo gli aquiloni. E in un’onda da cavalcare, la preferita, indorata dal sole, richiamata dal mare o dall’amare. Senza nemmeno ancora allertare l’apparato circolatorio, ecco che una nuova felicità, illusoria o meno, agile si fa strada tra lo schiudersi delle labbra e lo stupore dietro alle palpebre. I bimbi dalle guance tonde, intanto, starnutiscono aggrappati a un albero, in attesa di un viaggiatore del tempo che li venga a prendere.
27 gennaio 2011
Fantasmi e speranze
Quando arrivammo ad Auschwitz-Birkenau aprirono le porte dei vagoni. Eravamo mezzi morti, ma dovemmo metterci velocemente in fila per cinque. C'era un uomo con in mano un bastone. Con un movimento della mano mandava le persone a destra o a sinistra. Mia madre, il mio fratellino e mia sorella andarono a sinistra. Non li rividi mai più.
- Lilly Ebert, ebrea ungherese, sopravvissuta ad Auschwitz
[fantasmi dal sito How to be a Retronaut, segnalato giorni fa da mastra]
E una canzone sorridente, Ale Brider (Tutti fratelli), da riascoltare e di cui, volendo, leggere testo e (mio) riadattamento in italiano.
[speranze dalla musica, sempre, dall'animo fanciullo che non si rassegna, che non smette di cercare con lo sguardo dei sensi i fiori in mezzo agli orrori del non senso]
01 gennaio 2011
2011
Il tempo forse esiste e forse no, sarà anche vero che è tutta una costruzione, ma intanto il valore simbolico che ci autocostruiamo qualche effetto lo scatena. S-cateniamoci dunque, per viaggiare secondo inclinazione autentica, con l'auspicio di far risuonare i palpiti nelle armoniche più propizie al benessere intero. E siccome non è bene rinunciare al sole pur di ripararsi dalla pioggia, non ti auguro un anno senza lacrime, ma che per ogni lacrima ci siano mille sorrisi.
Buon anno nuovo colorato di sorrisi condivisi ;-)
e baci :-***
Buon anno nuovo colorato di sorrisi condivisi ;-)
e baci :-***
29 dicembre 2010
Retrospezione
Una visione, anche parziale e lontana, capace di dar le vertigini è quella sul tempo andato, per chi ha da sempre la fisima della velocità con cui passa. Un soffio, questa vita è un soffio. Un anno fatto di un attimo e di un altro ancora e di un altro attimo che colpisce e staglia, s'accende e sfuma, scalda e svapora. In un soffio. Eppure sono tante le cataste dei momenti, le fastelle dei ricordi, enciclopedici gli album di memoria che risfogli: l'immane dentro una piccolissima finitezza. E se, invece che all'ultimo anno, guardassi al decennio appena trascorso? Quanta paura, quanta, nello sgomento dello scorrere infinito d'infinitesimali particolari, captati ma impossibili da cogliere, microscopici e troppo grandi per la capienza di un presente che si fa frattale mescolando istanti e vite, idee e respiri, aneliti e assenze. Un soffio, è un soffio questa vita, ma si fa uragano insieme a quelle altrui.
11 dicembre 2010
Addobbi di parole
Anche quest'anno ho scritto un pezzo per il PSLA (Post sotto l'albero) e stamane lo mando al Sir, che lo impaginerà insieme a quelli di tutti i partecipanti.
Di cosa si tratti lo spiega per esempio questo articolo di Akille.
Per riferimenti sulle vecchie edizioni, vedi qui.
(se vuoi partecipare, basta rispettare il termine ultimo di consegna, fissato per la giornata di domani, domenica 12 dicembre - una giornata che ricordiamo anche per motivi decisamente meno festosi)
--
[Aggiornamenti]
Il Post sotto l'albero 2010, dice, comprende 134 post, 192 pagine, 75.694 parole, 378.841 caratteri spazi esclusi, anzi: 135 post, 192 pagine, 76.141 parole, 381.038 caratteri spazi esclusi e uscirà venerdì 17 alle 17.
Per scaricare il pdf passa da Sir Squonk.
Se non ci avevi trovato il mio pezzo non è perché non l'avessi scritto: che sia o meno una strategia markettara, negli ultimi anni il Psla ci ha abituati alle edizioni "Gronchi rosa", quelle coi refusi e le dimenticanze, poi sostituite dalla definitiva (epperò conservate da qualche collezionista).
Abbi dunque un po' di pazienza: ora che il Sir ha sistemato le cose, riscarica il Post sotto l'albero 2010. Ci troverai anche il mio contributo, che s'intitola I sette palazzi celesti.
Di cosa si tratti lo spiega per esempio questo articolo di Akille.
Per riferimenti sulle vecchie edizioni, vedi qui.
(se vuoi partecipare, basta rispettare il termine ultimo di consegna, fissato per la giornata di domani, domenica 12 dicembre - una giornata che ricordiamo anche per motivi decisamente meno festosi)
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[Aggiornamenti]
Il Post sotto l'albero 2010, dice, comprende 134 post, 192 pagine, 75.694 parole, 378.841 caratteri spazi esclusi, anzi: 135 post, 192 pagine, 76.141 parole, 381.038 caratteri spazi esclusi e uscirà venerdì 17 alle 17.
Per scaricare il pdf passa da Sir Squonk.
Se non ci avevi trovato il mio pezzo non è perché non l'avessi scritto: che sia o meno una strategia markettara, negli ultimi anni il Psla ci ha abituati alle edizioni "Gronchi rosa", quelle coi refusi e le dimenticanze, poi sostituite dalla definitiva (epperò conservate da qualche collezionista).
Abbi dunque un po' di pazienza: ora che il Sir ha sistemato le cose, riscarica il Post sotto l'albero 2010. Ci troverai anche il mio contributo, che s'intitola I sette palazzi celesti.
06 dicembre 2010
A tempo, nel tempo, oltre il tempo
Ci sono giochini che ti fanno perdere tempo, ma riguadagnare vita, sotto forma di intrecci tra ricordi, sensazioni, piaceri e sguardi prospettici su di sé, come siamo e come eravamo, come siamo e come forse saremo. Così, perlomeno, ho preso quello dei "15 album" che gira su facebook e che ho svolto così:
15 album... o 21
pubblicata da Giulio Pianese il giorno lunedì 6 dicembre 2010 alle ore 10.25
Regole: Non ci pensate per troppo tempo. 15 album che hai ascoltato e che rimarranno sempre impressi su di te. Elenca i primi 15 che riesci a ricordare in non più di 15 minuti! [...]
--
Non "taggo" nessuno, ma invito chi vuole a rispondere con la sua selezione. Per conto mio, scelgo di elencare alcuni tra gli album che rappresentarono per me vere e proprie epifanie, imponendosi al riascolto quotidiano e imbibendo il vivere, indipendentemente dal loro valore assoluto. E ne elenco 21, perché già così ne lascio fuori tanti, ma almeno il minimo sindacale, ecco.
1. Rimmel - Francesco De Gregori
2. 4 Way Street - Crosby, Stills, Nash & Young
3. Non farti cadere le braccia - Edoardo Bennato
4. Happy Trails - Quicksilver Messenger Service
5. Bluesbreakers - John Mayall
6. Electric Ladyland - Jimi Hendrix
7. Volunteers - Jefferson Airplane
8. After The Gold Rush - Neil Young
9. Seconds Out - Genesis
10. If I Could Only Remember My Name - David Crosby
11. The Piper At The Gates Of Dawn - Pink Floyd
12. The Doors - Doors
13. Led Zeppelin II - Led Zeppelin
14. Remain In Light - Talking Heads
15. You Are What You Is - Frank Zappa
16. Vai mo' - Pino Daniele
17. The Velvet Underground & Nico - Velvet Underground & Nico
18. The Queen Is Dead - Smiths
19. Puta's Fever - Mano Negra
20. Mlah - Les Négresses Vertes
21. Bossanova - Pixies
P.S.: sì, ripropongono una sorta di cronologia delle scoperte personali, dai tempi delle scuole medie in avanti.
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Intanto last.fm, da un profilo che non utilizzo e in cui non entravo da chissà quanto, mi restituisce non solo l'elenco dei brani ascoltati di recente (desumendolo da blip.fm), ma la classifica degli artisti da me più gettonati. E mi fa contento:
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Aggiornamento: se vuoi, vai a vedere anche gli album di mastrangelina, chiaratiz... o proponi le tue scelte nei commenti qui sotto, come vix...
15 album... o 21
pubblicata da Giulio Pianese il giorno lunedì 6 dicembre 2010 alle ore 10.25
Regole: Non ci pensate per troppo tempo. 15 album che hai ascoltato e che rimarranno sempre impressi su di te. Elenca i primi 15 che riesci a ricordare in non più di 15 minuti! [...]
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Non "taggo" nessuno, ma invito chi vuole a rispondere con la sua selezione. Per conto mio, scelgo di elencare alcuni tra gli album che rappresentarono per me vere e proprie epifanie, imponendosi al riascolto quotidiano e imbibendo il vivere, indipendentemente dal loro valore assoluto. E ne elenco 21, perché già così ne lascio fuori tanti, ma almeno il minimo sindacale, ecco.
1. Rimmel - Francesco De Gregori
2. 4 Way Street - Crosby, Stills, Nash & Young
3. Non farti cadere le braccia - Edoardo Bennato
4. Happy Trails - Quicksilver Messenger Service
5. Bluesbreakers - John Mayall
6. Electric Ladyland - Jimi Hendrix
7. Volunteers - Jefferson Airplane
8. After The Gold Rush - Neil Young
9. Seconds Out - Genesis
10. If I Could Only Remember My Name - David Crosby
11. The Piper At The Gates Of Dawn - Pink Floyd
12. The Doors - Doors
13. Led Zeppelin II - Led Zeppelin
14. Remain In Light - Talking Heads
15. You Are What You Is - Frank Zappa
16. Vai mo' - Pino Daniele
17. The Velvet Underground & Nico - Velvet Underground & Nico
18. The Queen Is Dead - Smiths
19. Puta's Fever - Mano Negra
20. Mlah - Les Négresses Vertes
21. Bossanova - Pixies
P.S.: sì, ripropongono una sorta di cronologia delle scoperte personali, dai tempi delle scuole medie in avanti.
--
Intanto last.fm, da un profilo che non utilizzo e in cui non entravo da chissà quanto, mi restituisce non solo l'elenco dei brani ascoltati di recente (desumendolo da blip.fm), ma la classifica degli artisti da me più gettonati. E mi fa contento:
The Rolling Stones (319 ascolti)
Nick Drake (185 ascolti)
Tom Waits (166 ascolti)
Frank Zappa (143 ascolti)
The Velvet Underground (121 ascolti)
Neil Young (117 ascolti)
Otis Redding (116 ascolti)
Jefferson Airplane (112 ascolti)
Pixies (111 ascolti)
Ray Charles (110 ascolti)
Talking Heads (108 ascolti)
Paolo Conte (108 ascolti)
Janis Joplin (107 ascolti)
Lou Reed (103 ascolti)
The Smiths (101 ascolti)
Jimi Hendrix (101 ascolti)
David Bowie (94 ascolti)
Bob Dylan (87 ascolti)
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Aggiornamento: se vuoi, vai a vedere anche gli album di mastrangelina, chiaratiz... o proponi le tue scelte nei commenti qui sotto, come vix...
30 novembre 2010
Condivisione
Sono ormai parecchi anni che campeggia qui sopra e ancora ci credo: "la condivisione raddoppia il piacere".
Il perché e il percome ciascuno se li saprà spiegare a modo suo, ma oggi Chiara Tizian sul suo blog lo fa molto bene. E va anche un livello oltre, quello della condivisione delle cose con "le persone giuste":
Leggi anche il resto del suo post, che accarezza il sentire.
Il perché e il percome ciascuno se li saprà spiegare a modo suo, ma oggi Chiara Tizian sul suo blog lo fa molto bene. E va anche un livello oltre, quello della condivisione delle cose con "le persone giuste":
Ti accorgi che non le avresti godute alla stessa maniera se non le avessi vissute con la pelle tua e con quella degli altri allo stesso tempo.
Leggi anche il resto del suo post, che accarezza il sentire.
27 novembre 2010
04 novembre 2010
Non è star sopra un albero, a meno che non lo desideri veramente
Leggo alcune parole di wild sulla libertà e le trovo vere.
Mi torna ogni volta in mente la scena nel piazzale della caserma Mignone il giorno del congedo: ero sorridente, tranquillo, se non addirittura felice, mentre la maggior parte di quei giovanotti piangeva; a guardar bene, il motivo non era il prossimo distacco dai fra', i compagni di un anno di vita nella coercizione, bensì il ritrovarsi di colpo di fronte alla vita vera, senza nessuno che ti dicesse a ogni momento cosa fare e cosa non fare.
La libertà è di certo un banco di prova importante: non essere irreggimentati espone il proprio sguardo alla vista di una sorta di abisso vertiginoso, oppure al deserto dello smarrimento. Occorre crescere e in un istante stabilire direzione e velocità; occorre scegliere, momento per momento.
Pensa poi a cosa faresti se di colpo ti trovassi immune da qualsiasi incombenza coatta e non dovessi più preoccuparti delle necessità monetarie e materiali (sì, lo so, sembra un sogno, ma immagina che non sia per pochi giorni o settimane di vacanza, ma in via permanente). In effetti, tale condizione l'abbiamo sperimentata quasi tutti, da neonati. Però riviverla da esseri (semi)consapevoli sarebbe tutt'altra faccenda: il neonato fa esattamente quel che gli serve, l'adulto (o supposto tale) rischia sovente l'autodistruzione o l'alienazione.
La bacchetta magica per la condizione paradisiaca, ahimè, manca, tuttavia è sempre utile delineare i propri desideri, capire ciò di cui si ha autenticamente voglia.
Perlomeno per quanto dipende da noi stessi, ce la faremo. Per quanto riguarda il desiderio altrui, purtroppo e per fortuna, no (lo diceva persino il genio della lampada, a proposito dell'impossibilità di far innamorare qualcuno, per esempio -- purtroppo, e per fortuna).
Mi torna ogni volta in mente la scena nel piazzale della caserma Mignone il giorno del congedo: ero sorridente, tranquillo, se non addirittura felice, mentre la maggior parte di quei giovanotti piangeva; a guardar bene, il motivo non era il prossimo distacco dai fra', i compagni di un anno di vita nella coercizione, bensì il ritrovarsi di colpo di fronte alla vita vera, senza nessuno che ti dicesse a ogni momento cosa fare e cosa non fare.
La libertà è di certo un banco di prova importante: non essere irreggimentati espone il proprio sguardo alla vista di una sorta di abisso vertiginoso, oppure al deserto dello smarrimento. Occorre crescere e in un istante stabilire direzione e velocità; occorre scegliere, momento per momento.
Pensa poi a cosa faresti se di colpo ti trovassi immune da qualsiasi incombenza coatta e non dovessi più preoccuparti delle necessità monetarie e materiali (sì, lo so, sembra un sogno, ma immagina che non sia per pochi giorni o settimane di vacanza, ma in via permanente). In effetti, tale condizione l'abbiamo sperimentata quasi tutti, da neonati. Però riviverla da esseri (semi)consapevoli sarebbe tutt'altra faccenda: il neonato fa esattamente quel che gli serve, l'adulto (o supposto tale) rischia sovente l'autodistruzione o l'alienazione.
La bacchetta magica per la condizione paradisiaca, ahimè, manca, tuttavia è sempre utile delineare i propri desideri, capire ciò di cui si ha autenticamente voglia.
Perlomeno per quanto dipende da noi stessi, ce la faremo. Per quanto riguarda il desiderio altrui, purtroppo e per fortuna, no (lo diceva persino il genio della lampada, a proposito dell'impossibilità di far innamorare qualcuno, per esempio -- purtroppo, e per fortuna).
20 ottobre 2010
Afterglow
Sì, è anche il titolo di una canzone dei Genesis, gruppo che da ragazzo ascoltavo con devozione, invero un pochino attenuata per la produzione successiva alla fuoriuscita di Peter Gabriel, ma non è per quello che la parola campeggia qui sopra, anche se in questo momento la canzone, dopo tanti anni, sta riaffiorandomi all'ascolto.
No, la parola vale per sé, con tutte le sue accezioni (Merriam-Webster) e traduzioni (Sansoni).
L'effetto piacevole che indugia presso di te dopo che qualcosa di bello è successo, si è realizzato, è stato vissuto. La luminescenza che riverbera come gli attimi cangianti e fuori confine fra tramonto e crepuscolo. Il bagliore che permane quando l'anima riluce di godimento.
Tutto quel che non riesci a tenere vivo se ti lasci sopraffare dal mal di schiena, imbufalire dalle avversità, tarlare dalle assenze, divorare dalle gelosie, scorare dai contrattempi.
Ed è o sarebbe un peccato, quasi come buttar via la bellezza di ciò che è stato.
La memoria alle volte è come un sacco di ciarpame, gravoso da trascinare, ostacolo al procedere, ceppo alle caviglie a impossibilitare la corsa libera.
La luce, però, non pesa.
Un sorriso colorato e portafortuna, a te che leggi e passi, a te che leggerai. E a me, ora e attraverso la notte.
No, la parola vale per sé, con tutte le sue accezioni (Merriam-Webster) e traduzioni (Sansoni).
L'effetto piacevole che indugia presso di te dopo che qualcosa di bello è successo, si è realizzato, è stato vissuto. La luminescenza che riverbera come gli attimi cangianti e fuori confine fra tramonto e crepuscolo. Il bagliore che permane quando l'anima riluce di godimento.
Tutto quel che non riesci a tenere vivo se ti lasci sopraffare dal mal di schiena, imbufalire dalle avversità, tarlare dalle assenze, divorare dalle gelosie, scorare dai contrattempi.
Ed è o sarebbe un peccato, quasi come buttar via la bellezza di ciò che è stato.
La memoria alle volte è come un sacco di ciarpame, gravoso da trascinare, ostacolo al procedere, ceppo alle caviglie a impossibilitare la corsa libera.
La luce, però, non pesa.
Un sorriso colorato e portafortuna, a te che leggi e passi, a te che leggerai. E a me, ora e attraverso la notte.
27 settembre 2010
Una passeggiata
Percorrere a piedi le strade in cui solitamente transiti in auto, camminando di buona lena come se dovessi andare da qualche parte. Percorrerle con una curiosità estranea e tranquilla, cambiando marciapiede per non perdere gli ultimi raggi lunghi, lasciando lo sguardo libero di cogliere particolari insignificanti e di memorizzarli a breve nell'archivio delle cose belle impreviste. Adottare una diversa forma di meditazione, quella ambulante, in cui l'ozio si ribalta in dinamismo da pilota automatico, in cui distacco e vigilanza si scambiano i ruoli nell'accompagnare sentimenti e sensi. Allora trovi l'immagine e la sua verbalizzazione, allora speri anzi confidi che una scintilla di brace stia covando sotto le ceneri ancora quasi calde. Non hai bisogno di chiederti se avrai abbastanza fiato per soffiarvi su, ma se saprai pazientare per non soffocare il rinfocolarsi. Se saprai accompagnare con tranquilla curiosità il sorriso di sentimenti e sensi per non perdere i rinnovati raggi. Percorrere i tempi e gli spazi in cui solitamente transitano i sogni, percorrerli con lo sguardo libero e il cuore aperto alle cose belle impreviste.
06 settembre 2010
Chissà
Magari t'avrei raccontato di cose che orecchie innocenti non devono sentire, magari te ne avrei parlato con dovizia di particolari, magari t'avrebbe fatto piacere, magari stuzzicato fino a sospendere il respiro. Respiro quasi afasico perché il fiato trova un tunnel senza ostacoli e dunque non riesce a risuonare, un bisbiglio sottile è tutto ciò che resta, per ora. Per un'ora forse ti saresti chiusa nella tua stanza, forse ti saresti ascoltata impronta per impronta, blandita nei sensi e nel senso del sé. Se una sorta di connessione, qualsiasi sorta di connessione, si attiva è perché emittente e ricevente funzionano nei medesimi istanti. Distanti, eppure per un momento il gorgoglio degli apparati erogeni avrebbe ammantato tutto quanto, giungendo a zittire l'irritante frustrazione dei tempi lunghi. Per un tempo più prolungato, probabilmente, sarebbero poi stati dei lampeggiamenti di visualizzazioni magiche, quelle nel mio sguardo lontano, a rivelarti nuove e antiche bellezze. Bellezze permanenti di luce anche al buio, come quando guardi la lampada accesa, distogli lo sguardo e si spegne il resto del mondo, per la cecità scintillante. Scintillano gli occhi, stanchi o chissà. Chi sa sorridere saprà farlo anche domani, magari.
26 agosto 2010
Zonker's (pan)Zone
Commemorare significa ricordare insieme: nella mailing list della Zonker's Zone lo si fa il 26 agosto, perché in quel giorno sei anni fa si ebbe notizia della morte di Enzo.
Per ventiquattr'ore la list riapre i battenti (quella per gli scambi quotidiani è migrata, si chiama G_Zone) e ciascuno scrive quel che gli viene.
A me ieri notte è venuto questo:
Per ventiquattr'ore la list riapre i battenti (quella per gli scambi quotidiani è migrata, si chiama G_Zone) e ciascuno scrive quel che gli viene.
A me ieri notte è venuto questo:
La morte la si sfiora comunque vivendo, l'importante è non rischiare di sfiorare la vita anziché viverla.
Preziosa vita, come il tempo e gli spazi nei quali si inscrive. Preziosa vita, quella dell'istante presente di chi è presente a sé stesso.
Presente da vivere anche quando si vorrebbe sgusciarne via verso qualche illusione. Da vivere perché è il qui e ora che c'è ed è sul qui e ora che cresce il foraggio più nutriente per l'altrove spaziotemporale.
Come se fosse facile. Non lo è, coi tempi e lo spazio che annichiliscono. Tempi in disorganica sovrapposizione, tra memoria, visioni, speranze. Spazio grande, fin troppo, a pensarci sull'orlo dell'abisso blu scuro, troppo poco invece quando si cerca là quello che va trovato qui.
Non è facile, ma è bello. Vivere, rievocare, sperare. Tenere vivo lo sguardo della memoria, fino a moltiplicarne il luccichio blu nella condivisione di ricordi e sensazioni.
Ho detto a una persona: "Ti penso tanto, nel tempo e nello spazio."
Come a volerne abbracciare la vita intera.
Come se fosse facile. Non lo è, perché l'energia infraumana che scalda e scotta, elettrizza e carbonizza, rinfresca e gela, esalta e abbatte, è capacissima di far dimenticare il presente, di annientare il qui e ora, di mutare lo sguardo sul mondo offuscandone il luccichio bambino.
Non è facile, ma è bello. Esserci, sporgersi. Riaccendere quel luccichio, e lo sguardo, fino a moltiplicarlo nel riflesso di un altro sguardo, dal cuore dei sogni.
E magari, un giorno, posarlo insieme sul mondo, che mondo non è senza la nostra purezza.
ciao
Zu
17 agosto 2010
Solo un po' di batticroma
Il cuore ha una mielina, come i nervi, che a momenti si assottiglia o si dirada lasciandolo scoperto, esposto in nudità. Allora qualsiasi intemperie sembra infinita e impossibile da sopportare, come se il futuro fosse irrimediabilmente bloccato dietro una porta chiusa dalla parte sbagliata. Sono i momenti in cui occorre fare molta attenzione a quali pezzi ascoltare e quali evitare, ché la musica sa scardinare e può devastare, già sai. Sst, senti il respiro del sangue, accarezzalo finché non si scalda di nuovo e. Soffia. Pulsa. Vivi. Dammi miele lieve in gola, dammi rock a fior di pelle, dammi ritmo ritmo in vena, dammi un bacio di promesse. Non voglio conoscer lo spartito, ma ho voglia di suonarlo insieme.
15 agosto 2010
Ogni giorno dopo ogni giorno
Citando DFW:
"It is unimaginably hard to do this, to stay conscious and alive, day in and day out."
(È inconcepibilmente difficile riuscire, giorno dopo giorno, a rimanere consapevoli e vivi.)
Elena (quella di Londra) chiede:
Rispondo:
Suicidarsi è comunque un segno d'impazienza.
Per il resto, dipende forse dalla capacità* di raggiungere e più o meno mantenere un equilibrio tra la lucidità della consapevolezza e l'ebbrezza del godimento**.
* Una capacità necessaria anche per leggere Le correzioni di Jonathan Franzen, mi pare (ho appena superato la metà, è un libro bello e terribile).
** "Ebbro lucido" lo cantavo in una canzone dei Fragole e Sangue due dozzine d'anni fa.
"It is unimaginably hard to do this, to stay conscious and alive, day in and day out."
(È inconcepibilmente difficile riuscire, giorno dopo giorno, a rimanere consapevoli e vivi.)
Elena (quella di Londra) chiede:
Voi ci riuscite, ogni giorno?
Voi ci provate ogni giorno?
David Foster Wallace si è suicidato.
Rispondo:
Suicidarsi è comunque un segno d'impazienza.
Per il resto, dipende forse dalla capacità* di raggiungere e più o meno mantenere un equilibrio tra la lucidità della consapevolezza e l'ebbrezza del godimento**.
* Una capacità necessaria anche per leggere Le correzioni di Jonathan Franzen, mi pare (ho appena superato la metà, è un libro bello e terribile).
** "Ebbro lucido" lo cantavo in una canzone dei Fragole e Sangue due dozzine d'anni fa.
10 agosto 2010
Sentiero 541
A stare a ridosso del Catinaccio e sotto le Torri del Vajolet le vertigini mi funzionano al contrario. Guardando in su. Forse perché m'inebrio di tanta bellezza. Quelle rocce mi sono piaciute quanto... o quasi. Tanto, comunque.
05 agosto 2010
Rifulgenti Nuove Albe
Avevo il laringoscopio su per il naso e giù fino in gola (e ogni volta l'effetto mi fa ripensare con ammirato stupore a certe prestazioni graziosamente elargitemi), una dottoressa con mascherina (poi se l'è tolta, che carina) e un dottore (uno serio, anche se alla prima visita ridemmo un sacco), ero occupato a non tossire e mentre li sentivo discorrere sulla detersione del glottide capto alcune parole lasciate scivolare con nonchalance: la neoplasia non c'è più. Così, quasi fossero scontate. Estraggono la fibra ottica dalle mie cavità, appena il tempo di riprendermi e chiedo se ho capito bene. Alla fine, chiedo di nuovo conferma e se posso divulgare la notizia.
Poi esco nel corridoio e la prima persona alla quale lo comunico è una sconosciuta con cui avevo chiacchierato in sala d'aspetto, incoraggiandola sulla risoluzione del suo problema. Ci abbracciamo. È vero che sono affettuoso ed espansivo, sprimacciatore mi chiamarono e strafugno, però in quell'istante capisco che al di là delle considerazioni razionali che mi facevano attendere l'esito del controllo come si attende il responso del meccanico al momento della revisione biennale, c'era in me un carico emotivo stivato sottocoperta, lo stesso che all'uscita, mentre iniziavo a comunicare la rassicurante notizia ad alcune persone care, mi faceva avvertire un nodo di commozione tendente a sciogliersi proprio lì, in gola, dove deve tornare a vorticare per bene il chakra blu, quello dei 16 petali.
E quello sarà il prossimo passo, per tornare a parlare senza fatica e, auspicabilmente, a cantare* (questo l'ho promesso e in qualche modo, non so ancora come e quando, lo farò).
Intanto, grazie per i bei pensieri e i sorrisi, per le dita incrociate e i sogni portafortuna, per le onde positive e il bene diffuso, per gli abbracci e per i baci, per la felicità.
E naturalmente, grazie ai medici del San Pio X che a marzo scoprirono il carcinoma alla corda vocale destra e ai radioterapisti di Niguarda che, a quanto pare, l'hanno debellato.
* in più, conterò sullo speciale incoraggiamento ricevuto giorni fa poco dopo l'alba a Col Margherita (2560 m slm) da Moni Ovadia.
Poi esco nel corridoio e la prima persona alla quale lo comunico è una sconosciuta con cui avevo chiacchierato in sala d'aspetto, incoraggiandola sulla risoluzione del suo problema. Ci abbracciamo. È vero che sono affettuoso ed espansivo, sprimacciatore mi chiamarono e strafugno, però in quell'istante capisco che al di là delle considerazioni razionali che mi facevano attendere l'esito del controllo come si attende il responso del meccanico al momento della revisione biennale, c'era in me un carico emotivo stivato sottocoperta, lo stesso che all'uscita, mentre iniziavo a comunicare la rassicurante notizia ad alcune persone care, mi faceva avvertire un nodo di commozione tendente a sciogliersi proprio lì, in gola, dove deve tornare a vorticare per bene il chakra blu, quello dei 16 petali.
E quello sarà il prossimo passo, per tornare a parlare senza fatica e, auspicabilmente, a cantare* (questo l'ho promesso e in qualche modo, non so ancora come e quando, lo farò).
Intanto, grazie per i bei pensieri e i sorrisi, per le dita incrociate e i sogni portafortuna, per le onde positive e il bene diffuso, per gli abbracci e per i baci, per la felicità.
E naturalmente, grazie ai medici del San Pio X che a marzo scoprirono il carcinoma alla corda vocale destra e ai radioterapisti di Niguarda che, a quanto pare, l'hanno debellato.
* in più, conterò sullo speciale incoraggiamento ricevuto giorni fa poco dopo l'alba a Col Margherita (2560 m slm) da Moni Ovadia.
18 luglio 2010
Una smorfia e via
Traguardi lungo il percorso: farne quarantasette senza fare 47, continuando ad affrontare la vita con poca 90 e con lo sguardo pieno di 72.
*
*
16 luglio 2010
My Own Private Milano
Milano, fotografata dai non milanesi, e raccontata dagli indigeni: è questo il soggetto e l'oggetto dell'ennesima iniziativa di Squonk, capace ogni volta di innescare la voglia di partecipazione anche quando il pensiero tenderebbe altrove.
Mi sento lieto e onorato di essere tra quei venti "milanesi per nascita o per adozione, che un giorno hanno ricevuto una fotografia, e la richiesta di scriverci sopra qualcosa, qualsiasi cosa".
Il risultato al momento è un pdf scaricabile qui, pregevolmente confezionato da Nemo.
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Se vuoi, dai un'occhiata alla bella foto scattata da Stefigno e al mio testo che la accompagna.
Mi sento lieto e onorato di essere tra quei venti "milanesi per nascita o per adozione, che un giorno hanno ricevuto una fotografia, e la richiesta di scriverci sopra qualcosa, qualsiasi cosa".
Il risultato al momento è un pdf scaricabile qui, pregevolmente confezionato da Nemo.
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Se vuoi, dai un'occhiata alla bella foto scattata da Stefigno e al mio testo che la accompagna.
05 luglio 2010
Chimere
A perdere il filo non è Teseo, ma il Minotauro, che un'idea del perché e per come delle cose la può derivare solo e direttamente dagli ampi spazi celesti, da quel che gli passa sopra la testa, molto al di sopra. Se solo potesse rispecchiarsi in quelle perle che seppur di rado cadono a rinfrescargli i pensieri, riconoscere la grandezza della propria doppia natura, quell'anima-lità che lo rende completo e che ad Arianna piacerebbe, se solo sapesse osare.
27 giugno 2010
Dalla terra alla luna (e ritorno)
Ho iniziato il viaggio senza pensare a portarmi un foglio e una matita. Ora che vorrei scrivere, non so come fare. Vorrei farlo per tener fede a una promessa, ma anche per me. Potendo, scriverei sulla tua pelle, lo sai, e invece la distanza materiale è molta, moltissima, troppa, la traiettoria è lunga quanto uno sguardo che si perde. Il mio però stasera non si perde, no, ché il plenilunio ha sempre la capacità d'attrarlo e attirarlo, dunque guardo dritto e anche dove vedo vuoto so che non cadrò.
Vado e vado e vado, sto andando non evado, procedo senza perdere il mio su e giù e qua e là, stavolta son io a dir non ho paura e lo dico perch'è vero, non è una fuga, è un viaggio senz'altra valigia che i ricordi futuri, quelli che si specchiano sul vetro quando fuori il blu scuro e l'azzurro chiaro si ribaltano, quando ringrazi la capsula e la buona stella per non esser già cenere e lapilli e sorridi al respiro che galleggia davanti al tuo stupore.
Lassù si troveranno tutti i folli descritti dagli affabulatori notturni e chiederanno tu vieni dalla Terra, io risponderò terra minuscolo, leggi bene, vengo dalla terra e alla terra tornerò, ma non senza un giro un respiro un sospiro e un altro, bonus, giro. Il bonus è importante, forse è il segreto di tutto: come quando una vacanza sta inesorabilmente terminando e t'inventi una deviazione, una sosta, un'ultima cena, qualsiasi gradevole iniziativa per sapere che non è mai finita, o che se finisce sarà un poco più in là, dopo quell'ennesimo godimento.
Le vertigini che potevano far capolino o addirittura esplodere paralizzanti sembrano un ricordo lontano, ma se ci penso capisco esattamente dove e quando si rifaranno vive. Tra stomaco e pancia, al momento del rientro. Al ritorno, quando si torna giù (per quanto siano il giù e il su, come pure il qua e il là, effimeri), c'è quello stacco, quell'inversione come sulla giostra più alta dalla quale non puoi più scegliere di scendere e da cui non avrebbe senso buttarsi per evitare la paura di cadere, è lì che il vuoto e il suo senso faranno sudare le mani e atrofizzare i gesti, ma forse questa volta ci sarà un antidoto, forse questa volta basterà ricordarsi che a destinazione c'è la vita, tutta. E che la vuoi riassaggiare e ancora respirare e di nuovo celebrare, tutta.
*
Vado e vado e vado, sto andando non evado, procedo senza perdere il mio su e giù e qua e là, stavolta son io a dir non ho paura e lo dico perch'è vero, non è una fuga, è un viaggio senz'altra valigia che i ricordi futuri, quelli che si specchiano sul vetro quando fuori il blu scuro e l'azzurro chiaro si ribaltano, quando ringrazi la capsula e la buona stella per non esser già cenere e lapilli e sorridi al respiro che galleggia davanti al tuo stupore.
Lassù si troveranno tutti i folli descritti dagli affabulatori notturni e chiederanno tu vieni dalla Terra, io risponderò terra minuscolo, leggi bene, vengo dalla terra e alla terra tornerò, ma non senza un giro un respiro un sospiro e un altro, bonus, giro. Il bonus è importante, forse è il segreto di tutto: come quando una vacanza sta inesorabilmente terminando e t'inventi una deviazione, una sosta, un'ultima cena, qualsiasi gradevole iniziativa per sapere che non è mai finita, o che se finisce sarà un poco più in là, dopo quell'ennesimo godimento.
Le vertigini che potevano far capolino o addirittura esplodere paralizzanti sembrano un ricordo lontano, ma se ci penso capisco esattamente dove e quando si rifaranno vive. Tra stomaco e pancia, al momento del rientro. Al ritorno, quando si torna giù (per quanto siano il giù e il su, come pure il qua e il là, effimeri), c'è quello stacco, quell'inversione come sulla giostra più alta dalla quale non puoi più scegliere di scendere e da cui non avrebbe senso buttarsi per evitare la paura di cadere, è lì che il vuoto e il suo senso faranno sudare le mani e atrofizzare i gesti, ma forse questa volta ci sarà un antidoto, forse questa volta basterà ricordarsi che a destinazione c'è la vita, tutta. E che la vuoi riassaggiare e ancora respirare e di nuovo celebrare, tutta.
*
15 giugno 2010
Come si fa a scegliere le 10 canzoni preferite?
Non è indolore, ma se Mistro chiama, si risponde.
Così ho fatto e il risultato è pubblicato su M&B MUSIC (lo si commenta anche su friendfeed).
--
* Wooden Ships – Jefferson Airplane
* Electric Aunt Jemima – Frank Zappa
* Allison – Pixies
* There Is A Light That Never Goes Out – Smiths
* Tumbling Dice – Rolling Stones
* I’ll Be Your Mirror – Velvet Underground
* Blister In The Sun – Violent Femmes
* Bartali – Paolo Conte
* Is This Love – Bob Marley
* Laughing – David Crosby
Così ho fatto e il risultato è pubblicato su M&B MUSIC (lo si commenta anche su friendfeed).
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* Wooden Ships – Jefferson Airplane
* Electric Aunt Jemima – Frank Zappa
* Allison – Pixies
* There Is A Light That Never Goes Out – Smiths
* Tumbling Dice – Rolling Stones
* I’ll Be Your Mirror – Velvet Underground
* Blister In The Sun – Violent Femmes
* Bartali – Paolo Conte
* Is This Love – Bob Marley
* Laughing – David Crosby
04 giugno 2010
I debutti non finiscono mai
Stasera il Black Drop di Viale Monza 185 a Milano ospiterà il primo concerto assoluto degli Accauno, che alle ore 21.30 presenteranno i cinque brani del loro EP autoprodotto.
Alla batteria suona mio fratello Beppe, che torna a esprimersi in pubblico nel ruolo che già ricoprì con i Fragole e Sangue e i Pontebragas.
Alla batteria suona mio fratello Beppe, che torna a esprimersi in pubblico nel ruolo che già ricoprì con i Fragole e Sangue e i Pontebragas.
01 giugno 2010
Non sappiamo più quando stiamo andando
Dovessi dar retta alla percezione, dimenticando il foglio appeso al muro coi numeri e i nomi dei giorni e dei mesi, non troverei una collocazione spaziale al tempo, non saprei dire in quale anno e in quale periodo di quell'anno mi trovi. I ponti che riallacciano i giorni ai giorni saltano settimane, decadi o quindicine con la massima agevolezza, fulminei e rilucenti ammiccano e sorridono mentre falcidiano a mazzi intere piantagioni di momenti smarriti. L'incostanza climatica non è una ragione, non sufficiente quantomeno, per siffatta vaghezza. Forse è più un senso di sospensione, di cose da sistemare, di conti da riassestare, di fuoco in gola da spegnere, di corporeità da accudire, di voce perduta da ritrovare. Sapendo che essere vivi è già cosa bella, ma certe volte non basta.
20 maggio 2010
Seme di mela
Raccoglilo e prova ad accarezzarlo prima di gettarlo nell'umido. Non t'aspettare chissà cosa, turbinio d'artificio o che, ma sentilo, guardalo, ascoltalo.
Quel che conta è spesso fatto di sfumature, da cogliere tra le righe, da captare nelle cromie di passaggio tra le vibrofrequenze, da percepire sui polpastrelli tra una carezza e l'altra.
In un seme, quel che conta è fatto soprattutto di futuro. Una presenza timida e minuta che si fa potenza come sospensione di senso. Un'attesa muta e tranquilla.
In teoria: perché in verità, un seme è anche il ricordo della mela appena mangiata. Della fisicità organica, della meraviglia di esserci materialmente.
E nel contempo, il simbolo della volontà di rimanere nell'Eden, o di tornarci. Di tornarci a buon diritto, ritrovando un proprio personale paradiso, una volta imparata la capacità di perdonarsi comprendersi amarsi, cellula per cellula per cellula, dove risplenda parcellizzata la luce d'una divina umanità.
Semino di mela, le portavi scritte talmente in piccolo queste cose che per leggerle mi son dovuto affidare al sussurro di un cricetino, che ora però ti vuole mangiare: non te ne avere a male, né tu né il potenziale albero.
Quel che conta è spesso fatto di sfumature, da cogliere tra le righe, da captare nelle cromie di passaggio tra le vibrofrequenze, da percepire sui polpastrelli tra una carezza e l'altra.
In un seme, quel che conta è fatto soprattutto di futuro. Una presenza timida e minuta che si fa potenza come sospensione di senso. Un'attesa muta e tranquilla.
In teoria: perché in verità, un seme è anche il ricordo della mela appena mangiata. Della fisicità organica, della meraviglia di esserci materialmente.
E nel contempo, il simbolo della volontà di rimanere nell'Eden, o di tornarci. Di tornarci a buon diritto, ritrovando un proprio personale paradiso, una volta imparata la capacità di perdonarsi comprendersi amarsi, cellula per cellula per cellula, dove risplenda parcellizzata la luce d'una divina umanità.
Semino di mela, le portavi scritte talmente in piccolo queste cose che per leggerle mi son dovuto affidare al sussurro di un cricetino, che ora però ti vuole mangiare: non te ne avere a male, né tu né il potenziale albero.
26 aprile 2010
Dichiarazione
Ho firmato: 8 per mille ai Valdesi (vedi i loro criteri) e 5 per mille a Emergency (codice 97147110155, firma nel primo riquadro in alto a sinistra, quello sul sostegno al volontariato eccetera).
Per altre possibili ispirazioni dai un'occhiata oppure scrivi il tuo suggerimento nei commenti qui sotto.
--
Ecco:
- Caporale: il 5 all'ail (80102390582), l'8 alla chiesa evangelica luterana (sulla simpatia, diciamo).
- laPitta: l'otto per mille alla Chiesa cattolica (sono cattolica che ce volete fa', nessuno è perfetto!) e il 5 per mille alla Vidas (Assistenza ai malati terminali) codice 970 193 501 52. :-)
- Froggy: OPM ai Valdesi (sono contenta di aver letto il link... ne avevo sentito parlare e l'avevo devoluto sulla fiducia... davo comunque più fiducia a loro che alla Chiesa Cattolica...), CPM alla Fondazione Aiutiamoli a Vivere a sostegno dei progetti di accoglienza dei bambini bielorussi vittime del disastro di Chernobyl (C.F. 91017220558)
- Federica: il 5x1000 lo do a Pangea, associazione che eroga microcredito alle donne in paesi disagiati e, aggiungo io, di solide tradizioni maschiliste. Perché le donne? perché a differenza degli uomini che sono molto meno affidabili da questo punto di vista, i soldi prestati li investono creando piccole imprese (sartoria come esempio) che si autosostengono e contribuiscono già in pochi mesi al sostentamento della famiglia. Restituiscono tutto il prestito in percentuale molto più alta degli uomini, e il fatto di diventare autosufficienti le aiuta ad uscire da situazioni di oppressione familiare spesso legata alla loro condizione di "mangiapane a ufo". Anche io l'8x1000 lo do ai valdesi :-)
...
Per altre possibili ispirazioni dai un'occhiata oppure scrivi il tuo suggerimento nei commenti qui sotto.
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Ecco:
- Caporale: il 5 all'ail (80102390582), l'8 alla chiesa evangelica luterana (sulla simpatia, diciamo).
- laPitta: l'otto per mille alla Chiesa cattolica (sono cattolica che ce volete fa', nessuno è perfetto!) e il 5 per mille alla Vidas (Assistenza ai malati terminali) codice 970 193 501 52. :-)
- Froggy: OPM ai Valdesi (sono contenta di aver letto il link... ne avevo sentito parlare e l'avevo devoluto sulla fiducia... davo comunque più fiducia a loro che alla Chiesa Cattolica...), CPM alla Fondazione Aiutiamoli a Vivere a sostegno dei progetti di accoglienza dei bambini bielorussi vittime del disastro di Chernobyl (C.F. 91017220558)
- Federica: il 5x1000 lo do a Pangea, associazione che eroga microcredito alle donne in paesi disagiati e, aggiungo io, di solide tradizioni maschiliste. Perché le donne? perché a differenza degli uomini che sono molto meno affidabili da questo punto di vista, i soldi prestati li investono creando piccole imprese (sartoria come esempio) che si autosostengono e contribuiscono già in pochi mesi al sostentamento della famiglia. Restituiscono tutto il prestito in percentuale molto più alta degli uomini, e il fatto di diventare autosufficienti le aiuta ad uscire da situazioni di oppressione familiare spesso legata alla loro condizione di "mangiapane a ufo". Anche io l'8x1000 lo do ai valdesi :-)
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24 aprile 2010
Ri-generazioni
25 aprile in Bovisa

Domani sarò lì, saremo lì coi cuccioli: prendiamo il testimone dalla generazione che per motivi anagrafici sta scomparendo e lo passiamo alla prossima, insieme alla memoria di come sono andate le cose, anche per arginare il danno di quanti tra leghisti e neofascisti vorrebbero riscrivere la storia a modo loro.
[la foto del manifesto è stata ricavata da questa, onorato, grazie]
Inoltre, domani sera a Milano in Via dei Missaglia (fermata M2 Abbiategrasso), per la 4a edizione di Partigiani in ogni quartiere, dalle ore 19 alle 24 si esibiranno: Domenico Pugliares, Mago Barnaba, Fiore Meraviglioso, Sunigal, Arm on stage, Muzicanti, Erremoscia, Renato Sarti, Er Piotta, Flavio Oreglio, Vallanzaska, Rita Pelusio, Punkreas.
Domani sarò lì, saremo lì coi cuccioli: prendiamo il testimone dalla generazione che per motivi anagrafici sta scomparendo e lo passiamo alla prossima, insieme alla memoria di come sono andate le cose, anche per arginare il danno di quanti tra leghisti e neofascisti vorrebbero riscrivere la storia a modo loro.
[la foto del manifesto è stata ricavata da questa, onorato, grazie]
Inoltre, domani sera a Milano in Via dei Missaglia (fermata M2 Abbiategrasso), per la 4a edizione di Partigiani in ogni quartiere, dalle ore 19 alle 24 si esibiranno: Domenico Pugliares, Mago Barnaba, Fiore Meraviglioso, Sunigal, Arm on stage, Muzicanti, Erremoscia, Renato Sarti, Er Piotta, Flavio Oreglio, Vallanzaska, Rita Pelusio, Punkreas.
12 aprile 2010
Centratura
"Una cosa così l'avevo provata solo alla nascita, quando mi stavo strozzando col cordone ombelicale."
Colpa della maschera, che una volta irrigidita mi stringeva il collo. Ho alzato le mani chiedendo di essere liberato, mi è uscita quella frase e ci sono voluti diversi cicli di respirazione prima di acquietarmi. Poi si è capito che dipendeva dalla mia posizione, dato che era stato modellato non solo il profilo, ma anche l'inclinazione che mi avevano fatto assumere per facilitare l'opera preparatoria del programma terapeutico.
La potenza della mente funziona anche in negativo: a nuotare un po' sott'acqua non si va certo in panico, mentre un senso di costrizione prolungato per pochi secondi è sufficiente a scatenare reazioni incontrollabili nei processi vitali più evidenti e immediati. Battito, respiro, accelerazione e mancanza, il pulsare del vivere che si sente minacciato.
Poi uno pensa ai poverini che hanno patito il waterboarding, la tortura dell'annegamento controllato, e ridimensiona di brutto.
E infine, sorridendo su onde d'arcobaleno, rammenta la fortuna di poter contare su ogni tipo di aiuto: dalla scienza, dalla tecnica, dalla buona stella, dalle azioni, dai pensieri, dai sogni.
Colpa della maschera, che una volta irrigidita mi stringeva il collo. Ho alzato le mani chiedendo di essere liberato, mi è uscita quella frase e ci sono voluti diversi cicli di respirazione prima di acquietarmi. Poi si è capito che dipendeva dalla mia posizione, dato che era stato modellato non solo il profilo, ma anche l'inclinazione che mi avevano fatto assumere per facilitare l'opera preparatoria del programma terapeutico.
La potenza della mente funziona anche in negativo: a nuotare un po' sott'acqua non si va certo in panico, mentre un senso di costrizione prolungato per pochi secondi è sufficiente a scatenare reazioni incontrollabili nei processi vitali più evidenti e immediati. Battito, respiro, accelerazione e mancanza, il pulsare del vivere che si sente minacciato.
Poi uno pensa ai poverini che hanno patito il waterboarding, la tortura dell'annegamento controllato, e ridimensiona di brutto.
E infine, sorridendo su onde d'arcobaleno, rammenta la fortuna di poter contare su ogni tipo di aiuto: dalla scienza, dalla tecnica, dalla buona stella, dalle azioni, dai pensieri, dai sogni.
07 aprile 2010
Tic TAC
Tic, m'hanno ripristinato la linea sul cellulare.
TAC, l'ho fatta e son sopravvissuto.
Tic, alla fine le cose non sono mai gravi come ti sembrano, ma mentre ci sei in mezzo non innervosirsi non è facile.
TAC, Se doveva morire sarebbe già morto, Ma tanto avevo firmato che erano cazzi miei, Eh già, ma qua anche se scherziamo e ridiamo, le cose le facciamo bene.
Tic, una rubrica da ricostruire piano piano, tra messaggi cui rispondere, chiamate per tranquillizzare e contatti imprescindibili.
TAC, Lei m'ha fatto da anestetico estetico! Alla fine non ho potuto fare a meno di dirlo all'addetta che chinandosi mi aveva chiesto se sentissi il liquido di contrasto.
Tic, i contatti si possono mantenere in tanti modi, ma il primo è ricordarsene, anche a distanza di tempo e di spazio.
TAC, il fatto è che m'ero distratto ad ammirare il bellissimo disegno delle sue labbra, sia benedetta la sua fattrice.
Tic, TAC: quali labbra? M'ha chiesto un blogger vecchio porco quando gli ho raccontato l'episodio al telefono.
TAC, l'ho fatta e son sopravvissuto.
Tic, alla fine le cose non sono mai gravi come ti sembrano, ma mentre ci sei in mezzo non innervosirsi non è facile.
TAC, Se doveva morire sarebbe già morto, Ma tanto avevo firmato che erano cazzi miei, Eh già, ma qua anche se scherziamo e ridiamo, le cose le facciamo bene.
Tic, una rubrica da ricostruire piano piano, tra messaggi cui rispondere, chiamate per tranquillizzare e contatti imprescindibili.
TAC, Lei m'ha fatto da anestetico estetico! Alla fine non ho potuto fare a meno di dirlo all'addetta che chinandosi mi aveva chiesto se sentissi il liquido di contrasto.
Tic, i contatti si possono mantenere in tanti modi, ma il primo è ricordarsene, anche a distanza di tempo e di spazio.
TAC, il fatto è che m'ero distratto ad ammirare il bellissimo disegno delle sue labbra, sia benedetta la sua fattrice.
Tic, TAC: quali labbra? M'ha chiesto un blogger vecchio porco quando gli ho raccontato l'episodio al telefono.
06 aprile 2010
Come un canapo nella cruna della portabilità telefonica
Ma quanto sono zen con l'interlocutrice del call center, quanto, dopo tutti questi giorni nel limbo della porcabilità, sospeso nel passaggio da un operatore all'altro (tim-fastweb) senza possibilità di usare il cellulare, quanto, quando mi dice che mi apre un intervento tecnico perché la scheda "non riconosce il credito e per questo non mi permette di effettuare o ricevere chiamate"? Quanto sono zen standomene zitto e rispondendo, solo alla terza volta che lei mi ripete la tiritera tecnica: Sì, sì, ho capito. Sto zitto solo per evitare di esprimere il mio profondo disappunto. Ma soprattutto, mi è per forza necessario passare attraverso le fasi di scocciatura, malsopportazione, scontentezza, frustrazione, incazzatura, filadiporchi fino a valicare la soglia della rabbia oltre la rabbia prima di riuscire a essere zen? Non solo per i telefonini, dico.
26 marzo 2010
Musica? Vita!
Uh, avevo capito che si trattasse di intensificare l'ascolto delle mie stazioni preferite, tipo Radio Popolare o Lifegate. Invece, m'hanno spiegato, radioterapia è un'altra cosa. Ho già il calendario per una serie di applicazioni che con un raggio ultramirato distruggeranno il minuscolo intruso, un chicco di riso non sorridente, senza pregiudicare la corda vocale. Riguardo al canto, nessuna garanzia, si vedrà. Però so che sarò vivo, in giro e che potrò continuare a parlare.
Oggi poi la visita preliminare è finita a grandi sganasciate con il medico quando, dopo esserci resi conto di aver frequentato lo stesso liceo, abbiamo rievocato la gita fatta insieme dalla quinta A quinta B e quarta B, con tanto di episodi disdicevoli debitamente filmati... e meno male che all'epoca non esisteva YouTube!
Oggi poi la visita preliminare è finita a grandi sganasciate con il medico quando, dopo esserci resi conto di aver frequentato lo stesso liceo, abbiamo rievocato la gita fatta insieme dalla quinta A quinta B e quarta B, con tanto di episodi disdicevoli debitamente filmati... e meno male che all'epoca non esisteva YouTube!
23 marzo 2010
ADR
Nei verbali, è l'acronimo dell'espressione "A domanda risponde".
Quel che avevo fatto tempo fa in un filone su friendfeed in cui chiedevano:
Sapete che domani alle 20 lascerete questa terra. Che fate nel tempo che vi resta?
abbracciare i figli e parlare con loro, anche solo perché la voce trasmetta da cuore a cuore quello che già sappiamo; stare di nuovo per un po' (per sempre!) con una amatissima, per la bellezza di quei momenti d'eternità in cui il tempo si schiude in petali infiniti. --- Vorrei anche salutare tutti quanti, ma sarebbe impossibile in così poco tempo, a meno di scrivere un post. Ehi, ecco un altro vantaggio di avere un blog.
--
No, guarda che non ho alcuna intenzione di, è solo un esercizio per capire cosa conta davvero e per farlo bisogna rispondere a bruciapelo, senza eludere e senza tentennare. Nel frattempo, riascolta questa.
Quel che avevo fatto tempo fa in un filone su friendfeed in cui chiedevano:
Sapete che domani alle 20 lascerete questa terra. Che fate nel tempo che vi resta?
abbracciare i figli e parlare con loro, anche solo perché la voce trasmetta da cuore a cuore quello che già sappiamo; stare di nuovo per un po' (per sempre!) con una amatissima, per la bellezza di quei momenti d'eternità in cui il tempo si schiude in petali infiniti. --- Vorrei anche salutare tutti quanti, ma sarebbe impossibile in così poco tempo, a meno di scrivere un post. Ehi, ecco un altro vantaggio di avere un blog.
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No, guarda che non ho alcuna intenzione di, è solo un esercizio per capire cosa conta davvero e per farlo bisogna rispondere a bruciapelo, senza eludere e senza tentennare. Nel frattempo, riascolta questa.
22 marzo 2010
42
Quarantadue è un numero particolare, specialmente per chi ha letto, ma anche per chi come me non ha ancora mai letto quel testo fondamentale. Inoltre è il doppio di ventuno, numero magico di suo. Insomma: 42 suona bene, è divisibile anche per tre e per sette, si può dire sia un bel numero, ma se lo tiro in ballo è perché corrisponde alle vasche nuotate oggi pomeriggio, a una settimana da quando con indosso un camice bianco e accanto a un'infermiera dolcemente nostalgica di Margine Rosso e dei papassini, con l'ultima immagine sorridente del paio d'occhi scuri di un'anestesista dal nome in apparenza cecoslovacco, ma brasiliana d'origine libanese, m'han messo a dormire prima di ravanarmi in gola.
Ora, so bene che una quarantina di vasche sono una bazzecola se non una ridicolaggine per chi nuota sul serio (tipo Enzo coi suoi cimenti o Raffa coi master, e non voglio nemmeno pensare alla Tengi e ai suoi severi criteri), però per me che non son nessuno e che semplicemente approfitto una volta alla settimana dei 50 minuti in cui il mio Lorenzo segue il corso medio-avanzato (il patatino sta già imparando la virata e i rudimenti del delfino), per me, dico, quarantadue vasche sono una bella soddisfazione, nonché una di quelle cose che si fanno solo da vivi. E me ne compiaccio, giacché compiacersi tra un sorriso un bel pensiero e uno zuccherino è cosa buona e giusta, oh.
Ora, so bene che una quarantina di vasche sono una bazzecola se non una ridicolaggine per chi nuota sul serio (tipo Enzo coi suoi cimenti o Raffa coi master, e non voglio nemmeno pensare alla Tengi e ai suoi severi criteri), però per me che non son nessuno e che semplicemente approfitto una volta alla settimana dei 50 minuti in cui il mio Lorenzo segue il corso medio-avanzato (il patatino sta già imparando la virata e i rudimenti del delfino), per me, dico, quarantadue vasche sono una bella soddisfazione, nonché una di quelle cose che si fanno solo da vivi. E me ne compiaccio, giacché compiacersi tra un sorriso un bel pensiero e uno zuccherino è cosa buona e giusta, oh.
20 marzo 2010
Dai pixel alla lavatrice
Tempo fa avevo letto un consiglio pratico derivante dall'esperienza diretta di (C)assetto variabile. Oggi l'ho applicato e posso confermare che funziona.
Si trattava di questo (in sintesi: aceto bianco al posto dell'ammorbidente).
Si trattava di questo (in sintesi: aceto bianco al posto dell'ammorbidente).
18 marzo 2010
Firulì firulà
La storiella di Socrate e della cicuta la usai una volta per convincere un bravo chitarrista che valeva la pena dedicarsi a perfezionare l'esecuzione di un pezzo sebbene lui fosse in procinto di partire e dunque di lasciare per sempre il gruppo. A margine, non fu un per sempre, ci fu un revival, ma non era quello il punto. Il punto era che per decidere se vale-la-pena-di non si deve puntare su motivazioni esterne: non si può puntare sul futuro perché è ignoto, non si può puntare sull'utilità perché è incerta o discutibile, non si può puntare sul rosso e sul nero contemporaneamente perché alla fine se non sei il banco ci rimetti i soldi e la serata. Su cosa si debba puntare non posso dirtelo, non perché sia un segreto, ma perché è come il dito di Jack Palance: la cosa è la tua cosa, non potrebbe essere altrimenti, se te la dico io non è più la tua cosa e se non ti pago non ha senso che ti sforzi per realizzarla. Poi è pur vero che se anche potessi dirtelo, non te lo saprei dire, perché delle due l'una: o non m'interessa abbastanza di te e quindi non ti conosco fin dietro le pupille oppure m'interessa molto di te e in tal caso il mio parere sarebbe condizionato dal coinvolgimento. Non resta che tacere? Tacere o raccontar storielle, ma senza raccontare storie: ridicolo vantarsi di avere la soluzione in tasca, soprattutto mentre ci si pensa o ripensa nudi. Invece, dai, se non vuoi raccontartela, usa la scaltrezza e nota che una storiella usata manca di freschezza, che le alternative sono artificiose e che, in luogo del dito, un buon veterinario utilizza un braccio, sa che con le vacche ci vuole tutto, a costo di farsi inondare ogni tanto dalle loro esternazioni.
14 marzo 2010
Se tutto va bene
Domani, lunedì 15 marzo, mi sottoporrò a un intervento di microchirurgia alla corda vocale destra. Se tutto va bene, dopo un paio di settimane di silenzio ricomincerò a parlare normalmente e poi, spero, anche a cantare.
Baci e sorrisi, ciao.
Aggiornamento: sono già a casa. Riposo vocale almeno fino alla visita di controllo del 23 marzo.
Baci e sorrisi, ciao.
Aggiornamento: sono già a casa. Riposo vocale almeno fino alla visita di controllo del 23 marzo.
12 marzo 2010
Baci e abbracci ineffabili
Ho letto un post di chiaratiz (val sempre la pena leggerla, sempre) e mi è venuto in mente che ci sono delle foto, e ne sono contento perché è più facile agganciare i ricordi ai sensi più immediati, ci sono delle foto in cui una Cajuina di pochi mesi mi sta in braccio accarezzandomi la faccia, ma accarezzandola come se ne misurasse o ridisegnasse i lineamenti. Una roba di quel genere lì indescrivibile, uno scioglimento che fa confondere tra loro l'epidermide e gli apparati interni, inondando tutto di un sorriso che s'irradia fino a far bene al mondo.
08 marzo 2010
Jon-fen
Qualche sera fa sono andato ad ascoltare Jonathan Safran Foer. Era alla Feltrinelli a presentare il suo ultimo libro. Io c'ero andato per due motivi: uno, per distrarmi; due, perché lui ha scritto Everything Is Illuminated (Ogni cosa è illuminata).
Il suo ultimo libro però non c'entra con quello, non è nemmeno un romanzo, anche se lui sostiene che più che un saggio sia un diverso modo di raccontare una storia. Se niente importa (sottotitolo "Perché mangiamo gli animali?") parla di alimentazione, o meglio, parte da lì ma a quanto pare dice molto di più.
Sul libro non posso pronunciarmi, non avendolo letto, ma dell'autore posso dire che mi è piaciuto ascoltarlo: lui è diventato vegetariano, ma nelle sue argomentazioni sul consumo di carne è tutt'altro che integralista; mostra flessibilità e ragionevolezza, auspicando cambiamenti comportamentali anche minimi.
L'obiettivo è quello di contrastare l'allevamento intensivo o industriale (factory farming), con il suo carico di supplizi inflitti a esseri viventi, il dannosissimo uso massiccio di antibiotici e l'enorme impatto ambientale. Safran Foer fa notare che anche solo un pasto carnivoro in meno alla settimana inciderebbe molto a livello di inquinamento, tanto per dirne una (se lo facessero tutti gli statunitensi, equivarrebbe a togliere dalla strada 5 milioni di veicoli).
Inoltre ha l'intelligenza di considerare l'intero ventaglio dei possibili aspetti della questione, rimanendo aperto alle eventuali obiezioni, rispettando i diversi punti di vista e considerando una vittoria qualsiasi variazione comportamentale orientata verso una maggiore consapevolezza, di sé e del mondo in cui ci si trova.
Così, non mangiare carne o mangiarne un po' meno o mangiare solo quella che ci gustiamo veramente o mangiare solo quella di ottima qualità sono tutte scelte che produrranno benefici in vari ambiti: la salute personale e quella del pianeta, la percezione di sé e della propria capacità di incidere sul futuro, l'evoluzione delle considerazioni etiche e del senso di responsabilità nei confronti dell'umanità presente e prossima.
Ogni nostra azione quotidiana determinerà dei cambiamenti, perché contiamo molto di più come consumatori che non come elettori.
A giudicare da quel che ho visto e sentito, è uno scrittore anche quando parla, per il senso del ritmo, per il gusto del raccontare, per la presenza di sé e la capacità di ascolto. In più mi piace che nella sua compostezza sappia essere spiritoso e trasmettere la sua gioia di vivere.
Il suo ultimo libro però non c'entra con quello, non è nemmeno un romanzo, anche se lui sostiene che più che un saggio sia un diverso modo di raccontare una storia. Se niente importa (sottotitolo "Perché mangiamo gli animali?") parla di alimentazione, o meglio, parte da lì ma a quanto pare dice molto di più.
Sul libro non posso pronunciarmi, non avendolo letto, ma dell'autore posso dire che mi è piaciuto ascoltarlo: lui è diventato vegetariano, ma nelle sue argomentazioni sul consumo di carne è tutt'altro che integralista; mostra flessibilità e ragionevolezza, auspicando cambiamenti comportamentali anche minimi.
L'obiettivo è quello di contrastare l'allevamento intensivo o industriale (factory farming), con il suo carico di supplizi inflitti a esseri viventi, il dannosissimo uso massiccio di antibiotici e l'enorme impatto ambientale. Safran Foer fa notare che anche solo un pasto carnivoro in meno alla settimana inciderebbe molto a livello di inquinamento, tanto per dirne una (se lo facessero tutti gli statunitensi, equivarrebbe a togliere dalla strada 5 milioni di veicoli).
Inoltre ha l'intelligenza di considerare l'intero ventaglio dei possibili aspetti della questione, rimanendo aperto alle eventuali obiezioni, rispettando i diversi punti di vista e considerando una vittoria qualsiasi variazione comportamentale orientata verso una maggiore consapevolezza, di sé e del mondo in cui ci si trova.
Così, non mangiare carne o mangiarne un po' meno o mangiare solo quella che ci gustiamo veramente o mangiare solo quella di ottima qualità sono tutte scelte che produrranno benefici in vari ambiti: la salute personale e quella del pianeta, la percezione di sé e della propria capacità di incidere sul futuro, l'evoluzione delle considerazioni etiche e del senso di responsabilità nei confronti dell'umanità presente e prossima.
Ogni nostra azione quotidiana determinerà dei cambiamenti, perché contiamo molto di più come consumatori che non come elettori.
A giudicare da quel che ho visto e sentito, è uno scrittore anche quando parla, per il senso del ritmo, per il gusto del raccontare, per la presenza di sé e la capacità di ascolto. In più mi piace che nella sua compostezza sappia essere spiritoso e trasmettere la sua gioia di vivere.
24 febbraio 2010
Leggere e distruggere
Il gioco era quello di dire il nome di un calciatore che iniziasse con la lettera estratta a sorte. Uno a giro, al tuo turno, finché ne sapevi e poi eri eliminato. L'ultimo vinceva. Fu come insegnar loro a pescare anziché limitarsi a regalare un pesce. Loro erano i miei compagni di naja, alpini da alpeggio al IV C.A., spesso incapaci di farsela passare e sempre più spesso inclini a rimanere in camerata a guardare la tele anziché usufruire della libera uscita man mano che il congedo sembrava paradossalmente allontanarsi come la tartaruga che sfugge ad Achille. La tele era un apparecchio clandestino, che il più topo doveva custodire nel suo armadietto schiacciando oltremodo gli effetti personali nel già esiguo spazio disponibile. Il più topo aveva anche un altro compito ingrato, quello di sorvegliare il corridoio al mattino, per consentirci di dormire qualche minuto in più senza essere puniti dall'arrivo di qualche sergente. Però la sua condizione, la condizione del topo, rimaneva tale solo per un mese, e per un mese uno sopporterebbe ben altro, sapendo che poi qualcuno prenderà il suo posto e così via. Una catena virtuosa, come quella delle diecimila lire che si mettevano per il televisorino, cosicché il congedante potesse recuperare il proprio investimento iniziale. Sono le cinque e venti, apri il culo e stringi i denti, ma invece di qualche scherzaccio crudele che magari in altri contesti succedeva pure, solo un gradito avviso per alzarsi a vedere la finale dei 100 metri, quella vinta dal futuro squalificato Ben Johnson. C'è una morale in tutto questo? Sì, certo, ci sarà. Che cosa abbiamo imparato? Non so. Non lo so nemmeno io. Penso che abbiamo imparato a non rifarlo più. Anche se non ho la più pallida idea di che cavolo abbiamo fatto. Sissignore, è difficile a dirsi.
03 febbraio 2010
Esplosivamente
Oggi è san Biagio, cui tradizionalmente ci si affida per proteggere la gola. In questo periodo ne ho particolarmente bisogno: la semiafonia che mi affliggeva da mesi è attribuibile a una forte infiammazione della corda vocale destra, l'ha sancito con le immagini la fibroendoscopia* e per fortuna gli esami del sangue sono perfettamente nella norma, ché le facce e le domande degli specialisti m'avevano indotto a qualche preoccupazione di troppo (tradurre protocolli medici sbriglia la mente in territori orrendi).
E pensare che fino a un mese fa, se m'avessero detto "cordite" avrei tutt'al più associato il termine alle storie dell'Alligatore, alle sue avventure in noir e polvere da sparo con il vecchio Rossini nei romanzi di Massimo Carlotto.
Ora mi sto lentamente ristabilendo. Curioso che abbia iniziato a farlo prima ancora di iniziare le cure antibiotiche prescritte (sarà una coincidenza o autosuggestione, ma è successo dopo che sono stato oggetto di una sorta di atto sciamanico a distanza, sarà quel che sarà ma se funziona ben venga, come ha detto anche la mia dottoressa).
Se recupererò in tempo, come confido, oltre a riprendere i concerti con i Blubaluba, già richiesti per qualche data in locali pubblici e feste private tra maggio e giugno, conto anche di partecipare al MusiCamp, idea in evoluzione a partire dalle lande di friendfeed.
* che impressione trovarsi in gola un cavo di fibra ottica che ti è stato infilato su per una narice! Facendo le proporzioni, ripenso ammirato e stupefatto a certe graziosità elargitemi in varie occasioni.
E pensare che fino a un mese fa, se m'avessero detto "cordite" avrei tutt'al più associato il termine alle storie dell'Alligatore, alle sue avventure in noir e polvere da sparo con il vecchio Rossini nei romanzi di Massimo Carlotto.
Ora mi sto lentamente ristabilendo. Curioso che abbia iniziato a farlo prima ancora di iniziare le cure antibiotiche prescritte (sarà una coincidenza o autosuggestione, ma è successo dopo che sono stato oggetto di una sorta di atto sciamanico a distanza, sarà quel che sarà ma se funziona ben venga, come ha detto anche la mia dottoressa).
Se recupererò in tempo, come confido, oltre a riprendere i concerti con i Blubaluba, già richiesti per qualche data in locali pubblici e feste private tra maggio e giugno, conto anche di partecipare al MusiCamp, idea in evoluzione a partire dalle lande di friendfeed.
* che impressione trovarsi in gola un cavo di fibra ottica che ti è stato infilato su per una narice! Facendo le proporzioni, ripenso ammirato e stupefatto a certe graziosità elargitemi in varie occasioni.
28 gennaio 2010
Porompo
D'accordo, scenderò dal pero. Quando ci sono salito? Dunque, vediamo: l'ultima volta probabilmente l'altro giorno. L'ultima nel senso della più recente, ovvio. Non che non sia goloso di quei frutti, è che la frutta perennemente fuori stagione e comunque fuori portata fa più male che bene e poi, soprattutto, sui rami secchi ti sbalestri, anche quando non cadi: ti sbalestri fintanto che ci resti su. E poi ricordati che da piccolino il barone rampante non t'era piaciuto affatto, al contrario t'aveva scandalizzato con siffatta ostentazione di cotale stupida ostinazione. Dunque, scendi. Ora.
Bene. Adesso vai a fare altro, che ce n'hai da fare, giù dal pero.
Bene. Adesso vai a fare altro, che ce n'hai da fare, giù dal pero.
27 gennaio 2010
Nei risvolti delle palpebre
La colpa è anche far finta di niente la volta che ti capita di assistere a un'ingiustizia, lì dove ti trovi, nel tuo tempo. Perché è bene ricordare, ma la memoria collettiva acquista pienezza di senso quando serve a conferire al presente lo spessore necessario a cambiare in meglio il futuro.
L'intento semplice e fondamentale di difendere la dignità umana è indubbiamente condivisibile, purché sia tradotto in azioni coerenti, da ciascuno secondo la propria potenza d'azione diretta.
Nel frattempo, un pensiero di calore a chi gli orrori li ha avuti o li ha ancora lì, indelebili, nei risvolti delle palpebre.
L'intento semplice e fondamentale di difendere la dignità umana è indubbiamente condivisibile, purché sia tradotto in azioni coerenti, da ciascuno secondo la propria potenza d'azione diretta.
Nel frattempo, un pensiero di calore a chi gli orrori li ha avuti o li ha ancora lì, indelebili, nei risvolti delle palpebre.
26 gennaio 2010
Quasi sottozero
Stava insaccandosi nell'inadeguato cappotto, mentre tra i brividi metteva i passi uno davanti all'altro e imbacuccati i pensieri restringeva perfino lo sguardo nell'illusione di far calotta ed evitare la dissipazione termica, quando alla coda dell'occhio lampeggiò un istinto d'attrazione. Aveva incrociato una figura carica di bellezza nota, ma sconosciuta all'archivio dei ricordi.
Non volle né poté fare a meno di voltarsi, praticamente all'istante, incollando la vista sul flessuoso asse verticale di cui inquadrò chioma, folta e corta, portamento e calore. Lei dovette percepire quella direttrice polarizzata, giacché lasciò trasparire come un trasalimento, quasi un indugio, prima di riprendere il passo.
D'un tratto dimentico d'ogni svantaggio climatico, lasciò che i muscoli facciali abbandonassero il rattrappimento stagionale per scaldare il volto di un sorriso gratuito. Già contento di quel segnale di vita, trascorse qualche secondo di troppo a compiacersene prima di rendersi conto che non avrebbe più potuto tentare una qualsiasi forma d'approccio senza un decuplicato imbarazzo, data la distanza che quella falcata da puledra aveva posto tra loro nel frattempo.
Semi-inebetito si riavviò, meno raggrumato e sbrigliando un pochino le membra e l'attenzione al mondo circostante. Le persone che incrociava lo fissavano, alcune sorridendo, dal che capì di non avere ancora dismesso la propria maschera raggiante spontanea e inattesa. Basta poco, constatò, a non morire.
Non volle né poté fare a meno di voltarsi, praticamente all'istante, incollando la vista sul flessuoso asse verticale di cui inquadrò chioma, folta e corta, portamento e calore. Lei dovette percepire quella direttrice polarizzata, giacché lasciò trasparire come un trasalimento, quasi un indugio, prima di riprendere il passo.
D'un tratto dimentico d'ogni svantaggio climatico, lasciò che i muscoli facciali abbandonassero il rattrappimento stagionale per scaldare il volto di un sorriso gratuito. Già contento di quel segnale di vita, trascorse qualche secondo di troppo a compiacersene prima di rendersi conto che non avrebbe più potuto tentare una qualsiasi forma d'approccio senza un decuplicato imbarazzo, data la distanza che quella falcata da puledra aveva posto tra loro nel frattempo.
Semi-inebetito si riavviò, meno raggrumato e sbrigliando un pochino le membra e l'attenzione al mondo circostante. Le persone che incrociava lo fissavano, alcune sorridendo, dal che capì di non avere ancora dismesso la propria maschera raggiante spontanea e inattesa. Basta poco, constatò, a non morire.
25 gennaio 2010
La trama scoppia
- Adesso non è che voglio star lì a farti le menate, ma è non so quanto che stai lì così, in stato catalitico, che mi fai pena mi fai; pena, poi: mi fai proprio incavolare, orcozzio, altro che storie, ma sarà mica la maniera, sarà.
(Inutile pensare di poter andare avanti così, senza uno spiraglio di luce calda in grado di avvolgerti e restare, anzi in grado di avvolgerti e restare perché tu lo desideri, anzi, in grado di avvolgerti e restare perché tu non solo lo desideri ma lo vuoi e sei e fai perché così sia.)
- Varda lì che roba, tutto sto casino, tutto, e le cose si fan mica da sole, eh, bisogna farle, perché ci vuole che si deve reagire, capito?
(Flusso flusso fluttua fluttuo. Flessuose movenze, fluttuante danza, arzigogolami i pensieri, lieve lambiscimi le reti neuronali, ammaliami i soprasensi.)
- Oh, la degnazione, manco una parola, siam gente che stanno male in silenzio, che stanno. Ma dimmi te se è la maniera. Oh, ma ci senti?
(Inutile sperare di poter far materializzare uno sbuffo di spirito, uno sbuffo in grado d'insufflarti vita pura, anzi uno sbuffo in grado d'insufflarti vita pura e fresca, anzi, uno sbuffo in grado d'insufflarti vita fresca e pura e pure gradita e dello stesso tenore vibrazionale di quella ch'emani tu cellula per cellula.)
- Ecco, almeno facciamo due mucchi: da lavare, da metter via, da lavare, da lavare, questo... mmmh, da stralavare, madonna che sentore d'umanità.
(A un passo, è lì, qui a un passo, la percezione dice e crea, la parola e il suo potere, l'evocazione della memoria magica, l'atemporalità e le porte di comunicazione, il colore è vibrazione, ti dipingo in me alle frequenze che saprai captare da ovunque e in ognissempre.)
- Boh, qua nemmeno una a far le pulizie a tempo fisso, pieno, come si dice, nemmeno sette giorni su cinque ci basterebbero, qua a andare avanti così una badante, notte e giorno che è un'indecenza, scusa eh.
(Inutile pensare di poter far materializzare il flusso di luce spirituale in grado di ammaliarti le frequenze, anzi, in grado di percepirti le memorie, anzi, in grado di ammaliarti le memorie e frequentarti il colore vibrazionale, anzi, in grado di dipingere lo spiraglio della trama neuronale, anzi...)
(Inutile pensare di poter andare avanti così, senza uno spiraglio di luce calda in grado di avvolgerti e restare, anzi in grado di avvolgerti e restare perché tu lo desideri, anzi, in grado di avvolgerti e restare perché tu non solo lo desideri ma lo vuoi e sei e fai perché così sia.)
- Varda lì che roba, tutto sto casino, tutto, e le cose si fan mica da sole, eh, bisogna farle, perché ci vuole che si deve reagire, capito?
(Flusso flusso fluttua fluttuo. Flessuose movenze, fluttuante danza, arzigogolami i pensieri, lieve lambiscimi le reti neuronali, ammaliami i soprasensi.)
- Oh, la degnazione, manco una parola, siam gente che stanno male in silenzio, che stanno. Ma dimmi te se è la maniera. Oh, ma ci senti?
(Inutile sperare di poter far materializzare uno sbuffo di spirito, uno sbuffo in grado d'insufflarti vita pura, anzi uno sbuffo in grado d'insufflarti vita pura e fresca, anzi, uno sbuffo in grado d'insufflarti vita fresca e pura e pure gradita e dello stesso tenore vibrazionale di quella ch'emani tu cellula per cellula.)
- Ecco, almeno facciamo due mucchi: da lavare, da metter via, da lavare, da lavare, questo... mmmh, da stralavare, madonna che sentore d'umanità.
(A un passo, è lì, qui a un passo, la percezione dice e crea, la parola e il suo potere, l'evocazione della memoria magica, l'atemporalità e le porte di comunicazione, il colore è vibrazione, ti dipingo in me alle frequenze che saprai captare da ovunque e in ognissempre.)
- Boh, qua nemmeno una a far le pulizie a tempo fisso, pieno, come si dice, nemmeno sette giorni su cinque ci basterebbero, qua a andare avanti così una badante, notte e giorno che è un'indecenza, scusa eh.
(Inutile pensare di poter far materializzare il flusso di luce spirituale in grado di ammaliarti le frequenze, anzi, in grado di percepirti le memorie, anzi, in grado di ammaliarti le memorie e frequentarti il colore vibrazionale, anzi, in grado di dipingere lo spiraglio della trama neuronale, anzi...)
21 gennaio 2010
No, guarda
No, guarda, non posso venire perché è il compleanno di mia figlia.
No, guarda, non posso venire perché ho il compromesso per la nuova casa.
No, guarda, non posso venire perché è morto mio zio.
No, guarda, non posso venire perché mi arriva la visita fiscale.
No, guarda, non posso venire perché devo studiare dei documenti per la riunione di domani.
No, guarda, non posso venire perché mi tocca stirare e ce n'è una pila fino al soffitto.
No, guarda, non posso venire perché voglio assolutamente controllare dov’è finito il libro che dovevo restituire il mese scorso alla biblioteca.
No, guarda, non posso venire perché questa settimana ho deciso di riascoltarmi tutta la discografia delle sigle televisive anni ’80 e sono ancora a un terzo.
No, guarda, non posso venire perché il mio vicino di casa è partito e gli ho dato la disponibilità a firmare per le raccomandate.
No, guarda, non posso venire perché non so cosa mettermi.
No, guarda, non posso venire perché è l’anniversario di quando il pappagallino ha detto “ciao, bel rutto” per la prima volta.
No, guarda, non posso venire perché qua c’è un sacco di polvere e se non spolvero oggi non spolvero più.
No, guarda, non posso venire perché sospetto che uno dei pescetti dell’acquario stia rubando il mangime agli altri due e devo star qui a controllare.
No, guarda, non posso venire perché oggi non è giornata.
No, guarda, non posso venire perché proprio non posso.
Però tu richiamami, eh, che ho un sacco di voglia di vederti.
No, guarda, non posso venire perché ho il compromesso per la nuova casa.
No, guarda, non posso venire perché è morto mio zio.
No, guarda, non posso venire perché mi arriva la visita fiscale.
No, guarda, non posso venire perché devo studiare dei documenti per la riunione di domani.
No, guarda, non posso venire perché mi tocca stirare e ce n'è una pila fino al soffitto.
No, guarda, non posso venire perché voglio assolutamente controllare dov’è finito il libro che dovevo restituire il mese scorso alla biblioteca.
No, guarda, non posso venire perché questa settimana ho deciso di riascoltarmi tutta la discografia delle sigle televisive anni ’80 e sono ancora a un terzo.
No, guarda, non posso venire perché il mio vicino di casa è partito e gli ho dato la disponibilità a firmare per le raccomandate.
No, guarda, non posso venire perché non so cosa mettermi.
No, guarda, non posso venire perché è l’anniversario di quando il pappagallino ha detto “ciao, bel rutto” per la prima volta.
No, guarda, non posso venire perché qua c’è un sacco di polvere e se non spolvero oggi non spolvero più.
No, guarda, non posso venire perché sospetto che uno dei pescetti dell’acquario stia rubando il mangime agli altri due e devo star qui a controllare.
No, guarda, non posso venire perché oggi non è giornata.
No, guarda, non posso venire perché proprio non posso.
Però tu richiamami, eh, che ho un sacco di voglia di vederti.
31 dicembre 2009
Ciao, vado, poi torno, ciao
La luna, ricordati la luna, stasera. Piena, piena e blu (blue). E poi tutto il resto, tutto il resto da sistemare, prima che. Tutto quanto, pronti a partire o ripartire, pronti a ricominciare o cominciare, ma in realtà, e lo sai, a continuare a cambiare. Cambiare. Fare. Fermarsi. Sentire. Però pronti a partire s'ha da essere, prepàrati dunque a portare con te, attraverso una strettoia fittizia, quanto più puoi di te, ma ridotto come un buon sughetto. Nuota cavalca balza scivola o semplicemente cammina, o ancora: dormici su. Passalo come davvero ti senti e se devi cogliere qualcosa di simbolico, fa' che ti serva a stare meglio. Buona irradiazione e mi raccomando, fatti del bene.
26 dicembre 2009
Storie di volatilità
Haloscan chiude l'attuale sistema di commenti. Mi hanno permesso di esportarli tutti e ottomila e rotti in una serie di file XML e chissà, forse riuscirò a recuperarli come si deve.
Intanto, per oggi 26 dicembre voglio assicurarmi di non perdere questi, anche per celebrare un non-compleanno (ciao, Tano).
Intanto, per oggi 26 dicembre voglio assicurarmi di non perdere questi, anche per celebrare un non-compleanno (ciao, Tano).
23 dicembre 2009
Il mondo visto da sotto il metro
Frasi Storiche è un blog che da anni raccoglie e ripropone esempi della "micidiale logica stringente dei bambini" (compresi alcuni aneddoti dei miei due gioielli).
Ora Andrea ne ha pubblicato il meglio, col titolo Ho una testa di cervello!, liberamente scaricabile in formato pdf.
Ora Andrea ne ha pubblicato il meglio, col titolo Ho una testa di cervello!, liberamente scaricabile in formato pdf.
11 dicembre 2009
PSLA significa Post Sotto l'Albero
Quella del 2009 sarà la settima edizione, sempre a cura di Sir Squonk, che ogni anno già un paio di mesi prima comincia a fracass... ehm a ricordarci dell'iniziativa. Ho consegnato stamane, ultimo giorno utile (ma c'è tempo fino a mezzanotte e se vuoi partecipare devi solo scrivere un pezzo e mandarglielo via e-mail).
I miei precedenti sono questi: Opera d'arte, Sotto l'albero, Luminarie zerocinque, Buon Natale in digest, Ho ho ho, Al vento decembrino.
Le raccolte complete, con i contributi di tutti i partecipanti anno per anno sono ancora scaricabili in formato pdf: 2008, 2007, 2006, 2005, 2004, 2003.
--
Aggiornamento: grazie a Sir Squonk, è già disponibile il pdf liberamente scaricabile del PSLA 2009 (se ho contato bene, 108 partecipanti per 164 pagine).
Il mio contributo l'ho riportato anche tra le Zuccate, s'intitola: Come un cioccolatino.
I miei precedenti sono questi: Opera d'arte, Sotto l'albero, Luminarie zerocinque, Buon Natale in digest, Ho ho ho, Al vento decembrino.
Le raccolte complete, con i contributi di tutti i partecipanti anno per anno sono ancora scaricabili in formato pdf: 2008, 2007, 2006, 2005, 2004, 2003.
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Aggiornamento: grazie a Sir Squonk, è già disponibile il pdf liberamente scaricabile del PSLA 2009 (se ho contato bene, 108 partecipanti per 164 pagine).
Il mio contributo l'ho riportato anche tra le Zuccate, s'intitola: Come un cioccolatino.
05 dicembre 2009
Térez Montcalm
Ieri sera, da sola con la sua chitarra sul palco dell'Auditorium di Radio Popolare, Térez Montcalm ci ha regalato un gran bel concerto.
Brava e intensa, questa cantautrice canadese sembra mastichi la musica mentre te la trasmette corpo e anima, con la levità di chi sa essere mentre fa. I classici pop rock e jazz rivisitati e i brani di sua composizione presentati in scaletta sono risultati tutti pregevolmente marchiati dalla personalità delle interpretazioni.
Abituata a esibirsi con una band, all'inizio si era schermita; in realtà mi è parso che con questi riarrangiamenti, scarni per necessità contingente, la resa ne abbia addirittura guadagnato, valorizzando ancor più le sue qualità. Oltre a padroneggiare la chitarra (e il contrabbasso, che però nell'occasione non è stato usato per un disguido tecnico), questa artista autentica gioca sui suoi due registri vocali, velato e risonante, sfruttandone dinamiche e ampia gamma espressiva fino a ottenere una moltitudine di effetti naturali che colorano ogni singolo passaggio.
Gusti variegati, gesti potenti tra soffio linfatico e scatto dei fianchi, sempre al sapore di jazz:
1. Where the streets have no name
2. My baby just cares for me
3. Le requin danse
4. Private lies
5. E penso a te
6. Sweet dreams
7. C'est extra
8. Ciao ciao bambino
Le esecuzioni erano inframmezzate dai dialoghi con il conduttore Niccolò Vecchia, un'intervista dal vivo e in diretta radiofonica che ha permesso a noi presenti e al pubblico a casa di conoscere meglio la storia musicale e le passioni di Térez*.
Se vuoi ascoltarla:
- la sua pagina su myspace
- il jukebox della casa discografica
- YouTube
--
(*) molto simpatica anche nelle chiacchiere post concerto, dapprima sotto il palco e più tardi all'Enosud.
Brava e intensa, questa cantautrice canadese sembra mastichi la musica mentre te la trasmette corpo e anima, con la levità di chi sa essere mentre fa. I classici pop rock e jazz rivisitati e i brani di sua composizione presentati in scaletta sono risultati tutti pregevolmente marchiati dalla personalità delle interpretazioni.
Abituata a esibirsi con una band, all'inizio si era schermita; in realtà mi è parso che con questi riarrangiamenti, scarni per necessità contingente, la resa ne abbia addirittura guadagnato, valorizzando ancor più le sue qualità. Oltre a padroneggiare la chitarra (e il contrabbasso, che però nell'occasione non è stato usato per un disguido tecnico), questa artista autentica gioca sui suoi due registri vocali, velato e risonante, sfruttandone dinamiche e ampia gamma espressiva fino a ottenere una moltitudine di effetti naturali che colorano ogni singolo passaggio.
Gusti variegati, gesti potenti tra soffio linfatico e scatto dei fianchi, sempre al sapore di jazz:
1. Where the streets have no name
2. My baby just cares for me
3. Le requin danse
4. Private lies
5. E penso a te
6. Sweet dreams
7. C'est extra
8. Ciao ciao bambino
Le esecuzioni erano inframmezzate dai dialoghi con il conduttore Niccolò Vecchia, un'intervista dal vivo e in diretta radiofonica che ha permesso a noi presenti e al pubblico a casa di conoscere meglio la storia musicale e le passioni di Térez*.
Se vuoi ascoltarla:
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(*) molto simpatica anche nelle chiacchiere post concerto, dapprima sotto il palco e più tardi all'Enosud.
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