03 gennaio 2017

Tris

Diceva Silvio Ceccato, a una lezione di estetica cui ebbi la fortuna di assistere ai tempi dell'università, che il valzer ci induce a girare in tondo perché è in tre quarti mentre noi abbiamo due piedi. Pare dunque una complicata compatibilità in grado di risolversi alla perfezione, quella tra gli esseri umani e il numero tre.

Di quest'ultimo, spicca il carattere ambiguo che qua e là gli si attribuisce: dalla supposta completezza della trinità all'evocazione di un'assenza nel tavolino a tre gambe; così pure nel triangolo, che passa dal privilegio di circonferenze inscritte e circoscritte alla scomodità di relazioni complicate (non tutti possono avere la rilassatezza di un David Crosby in Triad), oppure dalla falsa modestia dello strumento musicale allo scongiuro che accompagna il segnale mobile di pericolo.

Per tre lo fa chi fa da sé, da tre ricominciava il grande Troisi, tre sono gli elementi in un sacco di contesti diversi, leggendari fiabeschi fatati stregati. Come che sia, dal tressette alle tresche, sta sempre a te tener testa al tre: non tremare, datti tregua o perderai la trebisonda.

Giorno tre: lasciare il valzer a quelli del concerto di Capodanno e puntare invece sul tango vals, fiduciosi e appassionati.

bonus: di Triad, la versione dei Jefferson Airplane

02 gennaio 2017

Piacere terapeutico

Non trascurare il valore terapeutico di fare le cose che davvero ti piace fare.
Lo sai quali sono, e se ci pensi sai anche distinguerle bene da quelle che danno semplicemente dipendenza e, alla lunga, frustrazione. Un buon criterio, non esaustivo né infallibile, ma semplicemente utile per distinguerle, può essere di considerare se sono condivisibili, nella fruizione o nel racconto.
La scusa del tempo che manca è solo una scusa, soprattutto rammentando le dritte di Pennac, secondo cui pochi istanti sono meglio di niente.

Giorno due: ricordarsi che, in mancanza di lunghe camminate o escursioni, due passi sono sempre meglio di niente.

01 gennaio 2017

L'uomo propone, la nonna dispone

Capodanno senza tango, ma stavolta non per scelta.
La notte tra l'ultimo e il primo l'ho passata prevalentemente al pronto soccorso, dove era stata ricoverata mia mamma che aveva sbattuto la faccia a terra cadendo sul marciapiede sotto casa. Ora è stata dimessa e considerando la situazione sta abbastanza bene, anche se ha l'aspetto di una che si sia scontrata con Mike Tyson incazzato.
Niente brindisi di mezzanotte, dunque, ma complimenti e ringraziamenti a medici e personale infermieristico per la loro opera che continua anche quando noi normalmente ci divertiamo.

E pensare che un momento prima di ricevere la chiamata d'emergenza, stavo per scrivere di come, appropinquandomi a momenti d'abbracci in musica, sognassi di poterli estendere chilometricamente per avvolgervi, almeno per un istante, le persone care distanti, e in particolare i miei due tesori di figli.

Giorno uno: aprire le ali e lasciarsi planare sulle priorità, confidando che per tutto il resto si possa dare tempo al tempo.

23 dicembre 2016

Passaggio colorato

Il solstizio d'inverno e i giorni successivi sono il momento in cui i fautori del qui e ora incontrano la prospettiva. La luce e il colore del cielo dicono e dimostrano che le giornate tornano ad allungarsi, e non importa se la notte è ancora molto più lunga del giorno.

La felicità, se mai può darsi, è nella tendenza e nella credenza: ritenere che qualcosa di bello sia ripetibile e addirittura migliorabile può regalare una serenità grazie alla quale si apprezzeranno più facilmente sfaccettature, aspetti, minuzie, modi e fatti altrimenti negletti.

27 novembre 2016

Violenza e ignoranza, violenza è ignoranza

Riguardo alla giornata contro la violenza sulle donne, l'argomento mi è parso talmente ovvio da non farmi sentire la necessità di ribadirlo con qualche logo o dichiarazione ad hoc su facebook, come si usa.

Non per questo ritengo inutili le esternazioni, siano esse telematiche o, molto meglio, espresse mediante una manifestazione pubblica. Intendiamoci: non credo possano in qualche modo fermare i violenti, i quali lo sono innanzitutto perché non ascoltano né, forse, sanno farlo.
Cionondimeno, una dimostrazione di unità, comprensione, condivisione può servire a dare coraggio alle vittime dei soprusi, affinché osino contestare, contrastare, denunciare le violenze subite. Affinché non si sentano sole, ma soprattutto perché cessino di considerare normali dei comportamenti inaccettabili e subumani.

Educazione: la vicinanza è la più efficare nemica della violenza.

Se estendiamo un po' il concetto, attigui alla violenza sono gli atteggiamenti sprezzanti, pregiudiziali, ignoranti. Non di rado i misogini sono anche razzisti. Entrambi questi modi di porsi trovano terreno fertile nell'ignoranza: non so chi è l'altro, non lo riconosco, perciò, prudenzialmente, lo detesto. Da un'insicurezza di fondo nasce un'aggressività ingiustificata e stupida.

A scuola, noto che in generale nelle classi esclusivamente maschili prevale l'ostentazione di modalità da cavernicoli nel rapportarsi all'altro sesso, mentre nelle classi miste tale modalità è quantomeno attenuata, se non addirittura assente.

Occorre capire e far capire che avvicinarsi, conoscersi e riconoscersi è più interessante e più bello che farsi la guerra; che la conoscenza può avvenire solo attraverso un avvicinamento condito da curiosità e interesse; che riconoscendo l'altro, riconoscerò un'altra parte di me.

03 novembre 2016

Sacrifici

Ho fatto esercizio fisico, ieri sera: sono andato a piedi alla panetteria il cui pasticciere fa il pan dei morti così buono da resuscitarli.

31 ottobre 2016

Vigilia d'Ognittanghi

La luce, che se ne va un po' prima rispetto all'altro ieri, la rivedrai stasera in una zucca. Sorridile, lascia che t'illumini da dentro e risplendi a tua volta. Bailoween.

29 settembre 2016

L'eternità è nell'istante

Il tempo vola sempre via troppo veloce, vero? Corre e svanisce, fluttua e svapora, è una freccia che colpisce e di continuo frantuma l'illusorio restare.

Ricorda però che abbracciandosi, il tempo rallenta.

Forse perché subisce l'effetto della massa gravitazionale*, o perché così è più facile innescarne la dilatazione, come la rosa dai petali infiniti che si schiude nel persempre di meravigliosi istanti eterni.

Vieni qui, dai, stritoliamoci un po' in un baciabbraccio galattico.

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* Questo è vero per davvero, per masse molto grandi: l'hanno ricordato di recente alla conferenza "La fisica di Interstellar", all'auditorium del Pertini, il centro culturale sede della mai abbastanza lodata biblioteca civica di Cinisello Balsamo.

30 agosto 2016

C'è più gentilezza che cattiveria

Per esempio: mi hanno rubato il sellino della bici, un sellino da poco conto di una bici vecchiotta, recuperata da una cantina. Non so quanto possano ricavarci, credo zero, ma so che per me è stata una scocciatura (e l'ho declamato ad alta voce con vari e coloriti improperî) tornare dai miei giretti minivacanzieri e trovare il "canotto" nudo, quasi un dito medio alzato in risposta alla voglia di farsi una modesta ma allegra pedalata.

Ebbene: mentre mi accingevo a raggiungere il ciclista che ha aperto qui vicino, in via Giordano Bruno (l'avevo notato con riconoscenza, perché i ripara-bici sono sempre più rari), un condomino mi ha visto e mi ha detto di seguirlo in garage per sistemare la bicicletta. Detto fatto, mi ha regalato un sellino quasi nuovo, me l'ha montato e in più mi ha risistemato un parafango e le luci.
Son cose, cose che contribuiscono a giustificare l'anda da cuorcontento che spesso, qualche volta anche a sproposito, m'accompagna.

23 agosto 2016

Venezia è avvenente

I passi sono nelle gambe, che insaziabili ne richiedono altri e altri ancora. Dev'essere la conseguenza delle decine di migliaia compiuti andando per calli e campi e fondamente e sotoporteghi e ponti e salizade, mai sazi di bellezza casuale e imprevista.
Non avevo ancora letto Venezia è un pesce di Tiziano Scarpa, l'ho fatto solo al ritorno, ma l'istinto di girare a caso, perdendosi per ritrovarsi e solo di tanto in tanto consultare la cartina per capire dove si fosse capitati, quello è venuto da sé fin da subito, a Venezia.

Tra quelle che si posson dire, almeno due le cose fatte per la prima volta* a Venezia, entrambe nella prima giornata: il bagno al Lido e il tango in campo san Tomà. Non vedevo l'ora di provare a mischiare le due magie, musica e luogo, ed è valsa la pena farlo su quel selciato, cinto per l'occasione da lumini accesi. L'impianto era stato prestato dal gentilissimo gestore del Basegò, in cui ci siamo poi rifocillati con sfiziosi cicchetti e buon vino, apprezzando anche le competenti chiacchiere di chi ama far bene il proprio mestiere.

La musica che non m'è piaciuta, invece, è stata generalmente quella proposta dai musicisti di strada, troppo spesso noiosi o pessimi, a parte una cantante non potente ma espressiva in campo san Barnaba una sera. I suoni e i rumori, invece, facevano parte dell'incanto complessivo o lo co-generavano (spesso cercavo assonanze con le onomatopee di Marco Paolini nel suo Milione, visto anche a teatro tre anni fa).

Tra i sapori più deliziosi della minivacanza, le sarde in saor alla taverna San Trovaso e i tramezzini del bar Toletta, dove lo spritz al campari è stata una "tonada" almeno pari a quella di due giorni prima, in piazza Frutti a Padova. A proposito di Padova, anche lì era stato bello camminare più o meno per tutto il centro storico, fermandosi poi a cena al Bacaro Padovano, in zona ghetto (grazie alla dritta di ranafatata).

Andare a piedi, a lungo, è indubbiamente il modo migliore per farsi imbibire dai colorati aromi di un'atmosfera cittadina. Lasciare che le suole e gli occhi si posino anche sul non prescritto, scegliere mete ondivaghe e variabili, prediligere deviazioni e digressioni, rimodellare lo spaziotempo sull'estro dell'istante, divengono nel contempo fine e mezzo: strumenti di conoscenza diversa, obiettivi di godimento immediato.

I mezzi di trasporto che ci siamo concessi sono stati solo il vaporetto per il Lido il primo giorno e in ultimo quello dalla Salute alla Stazione ferroviaria per congedarci dal Canal Grande, inframmezzati da una gondola-traghetto all'altezza di Santa Maria del Giglio, breve ma intensa emozione che per soli due euro ci ha per una volta abbreviato il tragitto verso il nostro sestiere.

Quel che non abbiamo fatto è stato sottostare al martirio delle code, preferendo una volta tanto riunciare alle visite più clamorose, e scattare foto: credo sia una specie di record trascorrere a Venezia due notti e tre giorni tralasciando di immortalare in pixel o su pellicola almeno qualche esempio delle centinaia e centinaia di inquadrature che lo sguardo afferrava e tentava di ritenere.

Le menzioni da concedere sarebbero innumerevoli, ma un paio le voglio attribuire: le gentilezze ricevute, tra cui quelle che hanno permesso di scoprire qualche curiosità ascosa (per esempio, San Nicolò dei Mendicoli, grazie a un signore reduce dal supermercato in luogo semideserto, o le prospettive su tela del soffitto di San Pantalon, grazie a uno dei custodi) e il gelato alla crema veneziana gustatissimo al Fontego delle Dolcezze di campo Santa Margarita.

Ricevere come regalo posticipato di compleanno un viaggio è cosa bellissima. Anche perché, a differenza di un oggetto, che si può perdere o rompere, un'esperienza non te la potrà portare via nessuno (Alzheimer a parte, ovviamente). Rigrazie :-)**

Potessi scegliere, tornandoci farei base un'altra volta nel sestiere di Dorsoduro, che è anche quello in cui prima di ripartire ho incontrato per ben due volte la Marghe, fiore meravigliosamente cresciuto da una Sphera.
E poi, potendo, risponderei al richiamo della Giudecca, idea che accarezzavo soprattutto dalle Zattere.

Una bella cartolina ha solo due dimensioni, ma se ci entri diventano quattro, elevate ai cinque sensi (o sei, o sette, a seconda). Ed è allora che t'illude di lasciarsi divorare, mentre ti nutre d'insaziabilità.


* ennesime risposte alla domanda frequente Quand'è l'ultima volta che hai fatto una cosa per la prima volta?

16 agosto 2016

Solchi dorati

"Pronto"
"Ciao"
"Ciao!"
"Allora, che desiderio hai espresso?"
"Veramente non ho nemmeno fatto in tempo..."
"Ah ah ah"
"... però quando quella luce ha solcato il cielo, in un certo senso il desiderio era già compreso: in quel momento mi stavo beando, ero tutto lì. Sai quando senti di non aver bisogno di niente da tanto che te la godi?"
"Sì, sì, bellissimo. Quando basta che entri aria dalle narici"
"Ecco, era come se fossi incluso nel tutto, una sorta di serena euforia, di presenza e completezza. La sensazione che bastasse esserci, che mi bastasse essere."

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Riuscitissima la milonga de Las Estrellas organizzata da Tango23 di Bolzano presso le Distillerie Roner di Termeno; per me ancora di più, grazie alle mie amiche per l'affettuosa accoglienza ricevuta, a loro e alle altre tanguere per le piacevoli tande, agli amici e alle nuove conoscenze per la gradevolezza della serata.

Rientrando in val di Fiemme a notte fonda, sulla statale 48 a un certo punto ho accostato in una rientranza sicura, ho spento i fari e, sceso dall'auto, mi sono goduto una stellata sontuosa, un pieno di emozioni corredato dal passaggio di una stella cadente.
Meraviglia delle meraviglie!

05 agosto 2016

Il mio Trentino

Ieri sera, dopo qualche partita intergenerazionale a briscola, una breve passeggiata in cui quasi ogni passo ripercorreva le orme di ricordi ripetuti su e giù per le viuzze del paesino, Castello di Fiemme, quindi la buonanotte con il proposito di un giretto a piedi oggi. Oggi, però, piove, parecchio, quindi le escursioni montane sono procrastinate, si spera solo di ventiquattr'ore.

La voglia è quella di replicare e moltiplicare i bei giri di luglio, quando qui in val di Fiemme ero salito per festeggiare il compleanno di mia mamma e il mio.

Il primo giorno salimmo in zona Pale di san Martino: ascesa rapida al Castellazzo con mia sorella mentre i genitori ultraottantenni ci aspettavano alla Baita Segantini, dov'erano saliti con la navetta. Per rientrare al Rolle, però, fecero metà strada a piedi (mia mamma addirittura dal sentiero).

Il pranzo di compleanno della mamma lo prenotammo al passo Lavazè, dalla Maria. Prima però andammo agli Oclini, dove io e mia sorella Teresa facemmo una toccata e fuga sulla cima del Corno Bianco, che offre il miglior rapporto qualità/prezzo, per così dire, considerando che una cinquantina di minuti di fatica vengono ripagati da un panorama a 360 gradi che abbraccia il mondo: in una giornata serena, lo sguardo spazia, tra l'altro, fino a Corno Nero, Pala Santa, Latemar, Catinaccio, Sciliar, i ghiacciai alpini fino all'Austria e, dall'altra parte dell'Adige, le dolomiti del Brenta.

Il terzo giorno, alla vigilia del mio 53° compleanno e nonostante la vescica sul calcagno destro, aderii all'invito di mia sorella e di un nostro amico d'infanzia, Alberto C., per un'escursione un po' più impegnativa in termini di fatica. Accettai il consiglio di usare i bastoncini, che negli anni passati avevo sempre sdegnato, e dal Gardeccia (1.949) al Vajolet (2.243) fu ordinaria amministrazione. Dopo un cambio di maglietta, proseguimmo fino al Passo Principe (2.600), dove però arrivai qualche minuto dopo di loro e, non intendendo rallentarli ulteriormente, li invitai a proseguire senza di me, ipotizzando di rivederli sulla via del ritorno. Invece, dopo qualche esercizio per i piedi, ripresi coraggio e voglia e ricominciai a salire, con l'intenzione di raggiungere almeno la forcella sovrastante. Arrivatoci, pensai che mi sarei potuto allungare a vedere il passo Antermoia (2.770) e ne valse la pena. A quel punto, m'incamminai verso la cima Scalieret (2.889), senza nemmeno sapere bene il cammino da seguire. A un dato momento incrociai uno skyrunner (quei superatleti o superpazzi che corrono su e giù anche per le vette più impervie) che mi confermò di trovarmi sul percorso giusto. Loro stavano già ridiscendendo, a causa del vento troppo impetuoso, ma si fermarono ad aspettare che anch'io raggiungessi la meta.
Lasciai lì lo zaino e i bastoncini e proseguii camminando in cresta e assaporando il silenzio, o meglio, il canto delle montagne. Il vento si era placato e così rimasi un po' lì, incantato a guardare, ad ascoltare, a sentire, a sentirmi pieno di gratitudine e godimento. Capisco quelli che iniziando a inerpicarsi o addirittura ad arrampicare poi non riescono più a farne a meno, perché quelli sono momenti perfetti, di unicità e completezza, di annullamento e rinascita, di bella essenzialità, come orgasmi dell'anima, insomma.
Sulla via del ritorno, attraversando il ghiaione subito dopo passo Antermoia, provai uno spavento che mi fece sbucciare il ginocchio: tum, tum, tu-tutum, bum tum bubububububum tutum... una gragnuola di pietre che franava dai roccioni incombenti rimbalzando come i proiettili di un film d'azione, io che scartavo di lato per scappare, non capendo quanta roccia eventualmente sarebbe caduta giù. Non è stato niente di grave, per fortuna, ma un piccolo promemoria di quanto sia opportuno ringraziare la montagna ogniqualvolta ci permetta di salirle in groppa.

Il giorno dopo, come ogni 18 luglio ho compiuto gli anni, ma non mi sono sentito vecchio: d'altronde, finché ci si sbuccia le ginocchia, si è bambini, no?

Catinaccio d'Antermoia 17 luglio 2016

23 luglio 2016

A riveder Guccini

Ho vinto un biglietto grazie alla tessera TECA+ della mia biblioteca, così sono andato a sentire Francesco Guccini a Villa Arconati. Al momento dell'annuncio telefonico m'ero illuso fosse un concerto, poi mi hanno fatto notare che si trattava di un incontro, ma ho deciso di non perdermelo comunque.

La prima volta che vidi Guccini su un palco ero un ragazzino: io e i miei amici giungemmo in bici da Seregno all'Arena di Milano, dove si tenne il concerto per Demetrio Stratos: nelle intenzioni doveva essere per sostenerne le cure, ma pochi giorni prima la leucemia non gli aveva lasciato scampo e così la serata si tramutò in un grande omaggio resogli da tutti o quasi tutti i cantautori e i gruppi italiani più importanti dell'epoca.
Credevo che la prima volta fosse anche l'unica, invece il riascolto della Locomotiva mi ha fatto ricordare di aver assistito a un intero concerto di Francesco Guccini, sempre a Milano, non saprei dire quando... probabilmente nella prima metà degli anni ottanta, e che quello era il brano conclusivo (vedi a proposito i "bis di Guccini").

L'altra sera è iniziata in modo per me inconsueto: sono arrivato addirittura in anticipo a Castellazzo di Bollate, luogo di un incantevole borgo antico attorno a una sontuosa e decadente villa storica in mezzo al parco delle Groane, purtroppo reputato incantevole anche da numerosissime zanzare di varie dimensioni.
Come previsto, Guccini è salito sul palco insieme a Ernesto Assante e Gino Castaldo, giornalisti e critici musicali, che l'hanno indotto a raccontare e raccontarsi, tra aneddoti, esperienze, spiegazioni e opinioni, seguendo il tracciato della sua musica e delle sue molte canzoni intramontabili.

Nella seconda parte sono stati presentati i Musici, ovvero i musicisti che negli anni l’hanno accompagnato in numerosissimi concerti live. Hanno interpretato alcune sue canzoni e la band ha funzionato egregiamente, com'è ovvio, con l'ovvio problema della resa vocale. Di cantare i pezzi s'incarica Flaco, il suo storico chitarrista, che dopo un inizio un po' zoppicante se l'è cavata bene ed è stato in grado di trasmettere la giusta intensità. Però.
Però non è lui, non è la sua voce e se ne sente assai la mancanza. Constatando le difficoltà, ci si rende anche conto della grandezza di un musico che da noi rockettari adolescenti era sempre derubricato a cantautore, come se rispetto alle nostre star preferite non fosse un vero cantante, come se contassero più le parole che la musica. Le parole contavano, contano, eccome, ma è la musica a intarsiare le vie dello struggimento. Lo è stato anche l'altra sera, molto, troppo.

L'annegamento del torace in certi istanti era quello da groppo in gola troppo grosso. So forse anche il perché: c'era una sensazione di presenza-assenza, un'anticamera della lontananza assoluta. Un po' come quando una ti lascia e come per caso ti trovi a passare la serata conversando con la sua amica, ad abradere un po' le ferite ancora aperte, in quel malsano atteggiamento che porta quasi alla ricerca del dolore pur di vivificare quel che più non è.
Ma tutto questo trovava via libera per due motivi: uno contingente, dovuto alla potenza scardinante della musica; l'altro personale, conseguente alle smagliature dell'animo ogniqualvolta tenti di abbracciare tutto il tempo, tutto quanto il vissuto e specialmente il distillato del sentimento del vivere, dell'essere e dell'esserci stato.

07 luglio 2016

Quartini e quartetti

Non avevo ancora ringraziato Giovanni Scaglione, violoncellista del Quartetto di Cremona, per avermi offerto l'occasione di ascoltare il loro CD Beethoven - Complete string quartets vol. V.
Eravamo vicini di tavolo qualche mese fa alla trattoria napoletana Il tegamino, a Milano in zona viale Monza, e il gentile omaggio scattò in seguito a una mia dritta sul menù di quella sera.
Be', se non è troppo tardi per dirlo: grazie, siete proprio bravi.

05 luglio 2016

Dieta?

Un paio d'anni fa ero riuscito a dimagrire per bene eliminando completamente per due mesi di seguito alcol e dolci (colazione esclusa).
In questi giorni ho constatato di aver di nuovo raggiunto gli 80 kg (decisamente troppi) e mi sono detto che dovrei riprovarci.
Non so se troverò di nuovo la forza di volontà, ma intanto nelle ultime 24 ore non ho bevuto alcolici e non ho mangiato dolci né dolciumi.
Molto bene, mi dico, però qualche minuto fa una zanzara m'ha punto e subito dopo s'è accasciata. Dunque?

01 luglio 2016

La bici è una figata

Quando i miei figli erano piccoli, la bici la usavo quotidianamente per accompagnarli all'asilo e a scuola o al parco. Inizialmente si accomodavano sul seggiolino e per un breve periodo li ho portati tutti e due insieme, uno davanti e l'altra dietro, e nel tragitto si cantava.

Poi, con la separazione e il mio trasferimento a Cinisello Balsamo, non avevo più dove metterla e così per anni mi sono limitato a usarla in occasioni rare, ovvero il 25 aprile e qualche vacanza.
Da poco però ne ho recuperata una e l'assenza di ricovero è stata ovviata da una combinazione di due antifurti che valgono più della bici stessa (un u-lock e un cavo spiralato in acciaio rivestito, entrambi con chiusura a chiave).

Così, almeno per ora (e incrocio le dita nel dirlo) posso contare su una due ruote che mi ha già permesso di goderne sia come svago, sia come mezzo di trasporto.
Diciamo che nel primo caso ho la fortuna di abitare vicino al parco Nord, che grazie a una serie di ponti ciclabili permette di raggiungere Niguarda e Affori senza avere a che fare con il fastidioso e pericoloso traffico automobilistico.
Quanto al secondo aspetto, è innegabile che in una città come Milano e nel suo hinterland si potrebbe e dovrebbe fare molto di più per proteggere e privilegiare la viabilità non inquinante e più sana, estendendo le zone pedonali e moltiplicando e raccordando le piste ciclabili.

Pur non essendo un ciclista consumato né costante, mi sento di affermare, di nuovo e con maggiore convinzione, che ogni volta che sia possibile farlo, usare la bicicletta in città anziché l'automobile è una figata.

30 giugno 2016

Orizzonti

Da un orizzonte all'altro passano pochi secondi se sei in orbita, oppure se sei distratto. Questo, purtroppo o per fortuna, vale anche per l'orizzonte temporale, facci caso.

Così capita di fare qualche pedalata, passare qualche serata ballando a sfinimento, risistemare scaffali e scartoffie, esultare per dei gol inorgogliendosi infantilmente di prestazioni altrui, ritessere fili serici di affetti familiari, occuparsi d'incombenze, preoccuparsi di ecatombi, rimandare e rimandare e ritrovarsi rimandati a un tempo che è l'altro lato dell'alba, il chiarore oscuro del bilico tra benessere e cedimento.

Provare a fare anziché fare propositi, e poi fare anziché provare a fare.

31 maggio 2016

Un pesce sull'albero

Tra i libri usciti quest'anno ce n'è uno che ho letto grazie a Dori Agrosì, che mi ha chiesto di scriverne una recensione per la sua rivista web La Nota del Traduttore.

Ne è conseguito un piacere triplo: la lettura, agevole, gradevole e interessante; la scrittura, che sempre aiuta a fissare meglio sensazioni e ragionamenti; la gratitudine delle persone alle quali l'ho poi consigliato.

Un pesce sull'albero, di Lynda Mullaly Hunt, è stato pubblicato da uovonero nella traduzione dall'inglese in italiano di Sante Bandirali.

21 aprile 2016

Dovrei dire

Dovrei dire di un brano con la più bella intro e di quella volta che sentendolo in birreria, complice il luppolo, ci misi per l'appunto tutta l'intro per individuarlo, sebbene fin dalle primissime note avessi detto a boccoli d'oro, lì con me a far fuori boccali artigianali al Fermento, che quel pezzo era... certo, lo conosco, cavoli, aspetta, adesso inizia, è... caspita, che bella intro, eh? non la ricordavo così lunga, ma senti quant'è imperdibile, ora arriva, ora arriva, senti... Eccola! Sweet Jane, Lou Reed, da Rock n Roll Animal.
Sorrisi musicali condivisi, belli quanto le chiacchiere autentiche di una vita che continua.

13 aprile 2016

Durante e dopo la pioggia

Oggi ho fatto venire a piovere, come ha constatato anche la tanguera corsara che da sotto un ombrello mi ha salutato al Parco Nord. Le mie corsette sono diventate talmente rade che il cielo si commuove quando le intraprendo.
Poi però, mentre gli occhiali già si velavano come un parabrezza dai tergicristalli rotti, quello stesso cielo mi ha sorriso, colorandosi di un arcobaleno a tutto sesto, intenso ed elegante, ambito quanto lo striscione di un traguardo mondiale. Ed è lì che a tutto sesto ho riso e risorriso anch'io, a braccia aperte di contentezza.
Poco dopo ha pure spiovuto e sono stati raggi caldi ad accompagnarmi verso la via di casa.
Ora vado, che ho una lavatrice da svuotare.

30 marzo 2016

Fino in fondo al giorno

Oggi, su facebook, clicco su un video musicale di un cantautore che piace anche a me. Ascolto, rapito da quella musica, sobria ma toccante come la voce che l'accarezza di parole. Gianmaria Testa. Mi sono goduto la canzone senza sapere. Poi ho trovato vari link pubblicati da qualche altro mio contatto, che coincidenza. Ho anche letto qualcosa, qualche frase stramba, ma forse ero soprappensiero o forse non so, fatto sta che solo dopo un po' ho capito. È stato a quel punto che mi è presa una corrente allo spirito, una brezza d'anima nel fisico, fino al prorompere di un rassegnato desiderio, così: Vorrei bermi un bianco da una terrazza che verso sud guardi al mare, condito da una malinconia e una bellezza come quelle che porge tra le parole Jean-Claude Izzo, che di Gianmaria Testa era grande estimatore.

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per esempio: Gianmaria Testa, Per accompagnarti

27 marzo 2016

Avrei fatto, avrei detto, avrei scritto

Avrei fatto, avrei detto, avrei scritto, ma mi hanno tolto un'ora. Me l'hanno tolta, giuro, un attimo prima era lì e poi è sparita. A un dato momento si era fatta una certa e un istante dopo era una certa più una. Mi hanno tolto un'ora e senza chiedermi il parere, me l'hanno tolta in automatico. In automatico sui dispositivi più avanzati; gli altri stanno ancora col vecchio orario, infatti passando da una stanza all'altra non so più in che fuso mi trovo. Quel che so è che mi hanno tolto un'ora, altrimenti avrei fatto, avrei detto, avrei scritto, altroché. Avrei fatto, detto, scritto, sempre che non mi fossi perso via a giocare a dama.

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bonus: Rolling Stones, Time Waits For No One

29 febbraio 2016

Problematici snellimenti

Ultimamente mi sono avvicinato a libri che non solo procurano il piacere immediato della lettura, ma promettono di far leva nel profondo per indurre cambiamenti immediati e concreti nel quotidiano vivere. Mi riferisco in particolare a un manuale sul riordino casalingo e a un testo sul cibo proveniente dagli allevamenti intensivi.

Il primo è Il magico potere del riordino di Marie Kondo, altresì detta "giappa pazza" dagli utenti di qualche piccolo social network. L'approccio è drastico, l'intimazione preliminare e conclusiva è un perentorio "butta via", atteggiamento che serve a darsi il coraggio di riordinare davvero, trovando un posto per ogni cosa, ma solo alle cose che saranno sopravvissute a un'attenta e draconiana selezione. La sequenza in cui procedere è di fondamentale importanza: vestiti, libri, carte, oggetti, ricordi. Solo rispettandola sarà possibile accedere alle difficoltà di grado superiore con la necessaria efficacia e decisione.

L'altro è Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? di Jonathan Safran Foer, che sto leggendo anni dopo averne sentito parlare. I punti sono tanti, giacché è un libro denso di informazioni, sia pur presentate con il garbo di chi sa davvero raccontare storie. Un punto è che il 99% della carne che mangiamo proviene dagli allevamenti intensivi, che sono una porcheria disumana per noi, per gli animali, per l'ambiente: per noi a causa di varie schifezze, tra cui per esempio gli antibiotici di cui sono imbottite le bestie o il brodo di feci assorbito dai polli raffreddati "ad acqua"; per gli animali a causa delle condizioni di sadica crudeltà nelle quali sono costretti a trascorrere lo spezzone di esperienza subvitale che tocca loro in sorte grazie all'avidità dei magnati dell'allevamento industriale e alla golosità di tutti noi magnoni avvezzi alla distribuzione commerciale; per l'ambiente perché il basso prezzo della carne è un artifizio che non tiene conto dei costi e dei danni legati al pesantissimo inquinamento di terra, acqua e aria, costi e danni che ricadono sull'intera comunità a differenza dei profitti, strettamente canalizzati.

Nell'uno e nell'altro caso alla lettura dovrà e vorrà seguire l'azione, ma so già che sarà un'azione parziale e limitata.
Riguardo all'alimentazione, non mi illudo di potere né volere abbracciare posizioni e comportamenti estremistici, per quanto eticamente corretti. M'accontenterò di una crescita di consapevolezza e di un miglioramento, consistente in una maggiore attenzione e in un contenimento dei consumi.
Quanto alla riorganizzazione domestica, sto già facendo tesoro di alcuni accorgimenti (vedi la verticalizzazione degli indumenti o degli asciugamani) e procederò senz'altro a una cernita totale, ma anziché buttar via, seguirò per gli articoli d'abbigliamento le consuete strade del riutilizzo: mercatino dell'usato, cassonetti gialli per la redistribuzione, impiego come stracci.

Il comun denominatore è per me l'esigenza di snellire la vita, in tutti i sensi. Sgombrare gli spazi, ridurre gli oggetti, assottigliare la figura, ampliare il respiro, alleggerire il passo. Perché vivere sia davvero un ballo e un vero sballo.
Tutto questo, sapendo che la presa di coscienza altro non è se non il risveglio di ciò che già c'è, ricordando che l'esigenza primaria del benessere è intimamente connessa con quella della bellezza, ribadendo che tutto è collegato, e che fino a un attimo prima del buio, tutto è illuminato.

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"se non ora quando" è il bonus musicale dedicato al giorno in più: Tracy Chapman, If Not Now

21 gennaio 2016

Luci come baci

Dev'esser stato un trucco per convincere dell'opportunità di alzarsi presto, molto presto: in ora antelucana, nel cielo verso sud appariva una teoria di pianeti, ieratico corteo, sfilza di perle luminose, catalogo completo di quelli visibili a occhio nudo. In verità, dal mio balcone il catalogo era limitato, forse perché non ho l'abbonamento a sky, o più logicamente a causa dell'inquinamento luminoso, a quattro su cinque, ma lo spettacolo era comunque niente male.

Poi va be', sarà pure vero che un'occhiata al cielo non basta da sola a illuminare una giornata, però lo sguardo puntato sul bello rappresenta sempre un buon allenamento per chi intenda approfittare di ogni possibile istante favorevole, di ogni sia pur fuggevole gioia o godimento, della polvere dorata di ogni favoloso sfavillio. Della musica che suonerà, del concerto che risuonerà per chi saprà ascoltare le frequenze giuste, cogliendo e accogliendo tra i boati i trilli.

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bonus: che l'entusiasmo si carichi d'energia (The Flaming Lips, Everything's Explodin').

08 gennaio 2016

Forse non tutti sanno che...

Guardo gli asini che volano nel ciel, ovvero la canzone dal testo assurdo e bellissimo ballata e cantata rispettivamente da Stanlio e Ollio nella versione italiana del film "I diavoli volanti" non riproduce affatto l'originale.
Nel film The Flying Deuces, Oliver Hardy riprendeva Shine On, Harvest Moon, una canzone romantica dal testo normale, solo lievemente strano dato il contesto (menziona la neve* mentre loro si trovano nei pressi del deserto).
Molto probabilmente, dice Wikipedia, il surreale testo della versione italiana fu creato da Alberto Sordi, doppiatore di Ollio.
Una curiosità per chi non avesse mai ascoltato in versione originale la più classica delle coppie comiche cinematografiche: la voce più grave era quella di Stan, mentre Oliver aveva un timbro tenorile.

Edit: (*) in verità, probabilmente fa un gioco di parole, dato che "Snow time", "Tempo da neve", suona più o meno come "(there')s no time", ossia: "Non c'è tempo".



03 gennaio 2016

A piedi per il piede

C'erano ciuffi di neve tra l'erba, al parco.

Ho rimesso le scarpette, indossato la maglia termica sotto la tuta e sono uscito al freddo. L'aria era umida, ma dava almeno l'illusione di essere pulita. Non ho corso, ma ho camminato velocemente per poco più di un'ora. Un'ora e dieci comprese l'andata e il ritorno da casa, percorso urbano ma con scarso traffico. Percorso suburbano considerando il tunnel delle vomitate, quello che passa sotto la tangenziale. A parte quello, però, il giro è stato piacevole anche per lo sguardo, specialmente girando per il parco Nord, che non delude mai. Quasi mai: a un certo punto, da dietro la collina si sente un rumore di fondo, come lo scorrere d'un fiume; invece è una semplice salita, verso un ponte pedonale che passa sopra un flusso quasi regolare di automobili. Comunque, dopo la curva gli occhi ritrovano alberi e piante, erba e terra, rimasugli di foglie e rami e tronchi scuri e chiari.

Il piede ha reagito bene. Il corpo è fatto per muoversi. Per muoversi tutto quanto, il su-e-giù non basta. Il piede ha reagito bene dopo un po', ché all'inizio doleva alquanto. Dentro le scarpe, però, c'erano i plantari.
Per ballare invece non li indosso, nelle scarpe da tango non entrano, e sarà per questo che l'altra sera ho patito non poco durante quasi tutte le tande, inficiando in parte quel che mi sembrava ormai di saper fare con disinvoltura.

Ora, siccome ci tengo, ci tengo al tango e al benessere quotidiano, ho deciso di intervenire come posso. Le buone intenzioni rimangono tali se non diventano propositi, ma i buoni propositi buoni sono solo quelli verificabili, meglio ancora se di immediata applicazione.
Dunque, al mattino ho seguito la piccola serie di esercizi per i piedi già consigliata o condivisa su fb dalle mie amiche tanguere bolzanine Tania e Laura:



P.S.: altri esercizi: per il rafforzamento dei piedi.

01 gennaio 2016

366

I rituali: a pranzo i passatelli in brodo, lo spumante, il concerto di Capodanno alla tele; rare telefonate o messaggi per condividere un momento di benessere, il tutto con un indugiare rilassante, incline a un gradevole torpore.
Poi, qua e là, qualche capitolo di Fred Vargas da lettore goloso (Vargas si pronuncia VaRgàs, te lo confermo, bibliotecario scettico), in attesa che la cuoca provetta termini di riposare e si ritrasformi in tanguera, prima della milonga di stasera.
E nel frattempo, una sorpresa: non ricordavo che il 2016 fosse bisestile. Che bello, un giorno in più per godersela!

31 dicembre 2015

Buon 2016

Stavolta, niente tango per l'ultima notte dell'anno. Meglio una cenetta come si deve e senza obblighi.
A ballare ci andrò domani sera, a quanto pare in ottima compagnia.
Buon divertimento, buon passaggio, buona musica, sorrisi. Ciao.

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bonus: Postmodern Jukebox, All About That Bass

30 dicembre 2015

Nidiata e involo

Se hai figli piccoli e li trovi impegnativi, hai ragione. La stanchezza è comprensibile perché le cose da fare per loro o in funzione loro in aggiunta al tuo vivere sono tante e incalzanti. Però tu sai quanto sia bello che loro esistano, sai che non ricordi più com'era prima che ci fossero, sai che non potresti mai farne a meno. Tutto questo basta e avanza a compensare stanchezza e dedizione, però sappi che all'elenco puoi aggiungere almeno un altro elemento: non saranno piccoli per sempre.

L'altro giorno ho letto (con l'aiuto di un traduttore automatico e di un po' d'intuizione) un post della cara Esther Gons che parla di un passaggio importante: quello in cui i figli cominciano a fare da sé, lasciandoti i tuoi spazi e i tuoi momenti e una serie di sensazioni contrastanti.

Vivo anch'io un periodo analogo, con i miei adolescenti (femmina e maschio, rispettivamente classe 1996 e 2000) alle prese con uno dei periodi cruciali per la loro evoluzione. Da un lato, il distacco suscita varie striature melanconiche, ma dall'altro scoppietta di bollicine di gioia per loro, belle e agili frecce del nostro arco genitoriale. Inoltre adesso ogni momento condiviso, ogni cosa fatta insieme sembra avere ancora più valore perché sappiamo che non è scontata, ma frutto di decisioni concordate quasi alla pari.

Riguardo ai tuoi spazi e ai tuoi momenti, ricordati di non annullarti mai, nemmeno quando ti senti alle strette per le innumerevoli incombenze improrogabili e le ululanti urgenze, affinché allorquando ti verrà restituito il tuo tempo tu non debba temere il vuoto estremo della ritrovata libertà di autodeterminazione.

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bonus: Jefferson Airplane, Good Shepherd

29 dicembre 2015

Traffici illeciti

La passeggiatina di oggi tra mezzogiorno e l'una è stata doppiamente piacevole. M'ero dimenticato del blocco delle auto e così, dirigendomi verso la biblioteca dopo aver fatto la spesa, è stata una piccola sorpresa poter constatare ancora una volta che l'assenza pressoché totale delle quattroruote dalle vie cittadine regala ai viandanti una maggiore, sia pur prudente, rilassatezza. Prudente per diffidenza, giacché al pedone non par vero di disporre dello spazio urbano, solitamente usurpato dai mezzi inquinanti e pericolosamente ingombranti. Dico usurpato a ragion veduta, perché non è bene dare per scontato che lo spazio in città debba essere occupato dalle automobili in via prioritaria, sebbene io stesso mi ponga troppo spesso come usurpatore, al volante di un veicolo.

Nell'hinterland milanese, un ostacolo all'idea di fare a meno dell'auto è la carenza di collegamenti tra le periferie. Eppure un mio ex vicino di casa (Antonio) osservava che basterebbero pochi e mirati investimenti per chiudere l'anello ferroviario che circonda per tre quarti la metropoli, permettendo così di raggiungere rapidamente tutti i punti tangenziali alla circonvallazione esterna senza dover passare necessariamente dal centro.

Al momento, come si sa, ci troviamo per l'ennesima volta nell'emergenza riguardo all'inquinamento dell'aria e i tentativi fatti per porvi rimedio vengono criticati per svariati e spesso opposti motivi.
Il primo punto da tenere presente è l'assurdità del chiedere opinioni su fatti accertati: l'inquinamento dell'aria è misurabile, quindi non ci interessa se un pincopallo qualsiasi tende a minimizzarlo (lo stesso discorso vale più in generale per il cambiamento climatico*).
Di conseguenza, è incontestabile la necessità di fare qualcosa e di farlo subito. In tal senso, qualsiasi provvedimento immediato va salutato con favore e pazienza, in attesa di interventi strutturali che lascino meno potere all'improvvisazione e dunque alle ricorrenti emergenze (discorso che dovrebbe valere in senso più ampio per la cura del territorio).

Sappiamo per esperienza che un blocco del traffico breve o parziale non risolve la situazione, ma almeno un po' di respiro ce lo concede. Mi chiedo allora perché - in verità, me lo chiedevo pubblicamente già nel 2002, su un blog collettivo ormai scomparso dal web - mi chiedo perché non si adotti sistematicamente tale misura, e in modo drastico.
Per esempio, un blocco totale del traffico privato inquinante di 12 ore ogni otto giorni, per tutto l'anno, indipendentemente dalle condizioni meteo e dai livelli di inquinamento. In tal modo, si conoscerebbe in anticipo il calendario dei giorni "proibiti" (il giorno della settimana varierebbe ogni volta) e ci si potrebbe organizzare di conseguenza. Come? Rimandando o anticipando quel che si può, trovando soluzioni alternative di trasporto o di soggiorno per gli impegni inderogabili.
Sarebbero ammessi tutti i mezzi pubblici e quelli privati non inquinanti a livello locale (come i veicoli ad alimentazione elettrica) o poco inquinanti (come quelli alimentati a metano), oltre ovviamente ai mezzi a locomozione umana. Con l'andare del tempo, le soluzioni alternative si moltiplicherebbero e concorrerebbero ad arricchire il parco degli interventi strutturali che nel frattempo andrebbero sviluppati (potenziamento del trasporto pubblico, adeguamento degli impianti di riscaldamento e delle classi energetiche edilizie, incentivazione del trasporto privato non inquinante, del telelavoro, dell'economia locale...).

Intanto mi contenterò d'un'altra passeggiatina in tranquillità, domani.


(*) se capisci l'inglese, segui questo video divertente riguardo alle discussioni sul cambiamento climatico (climate change debate), in particolare dal minuto 3:30.

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bonus: Jimi Hendrix, Crosstown Traffic

28 dicembre 2015

Il nuovo Nuovo Testamento

Dio esiste e vive a Bruxelles è un film divertentissimo. Partendo da un grottescamente plausibile ribaltamento sulla figura di Dio, ne fa conseguire una serie di trovate che suscitano grande ilarità e del pensiero, considerando vari aspetti della condizione umana.
Se guardi l'anteprima, scommetto ti verrà voglia di vederlo tutto. Sbrigati però, perché tende a sparire dalle sale, il che mi innesca indignazione (se penso alle scelte dei distributori) o scoramento (se penso alle preferenze del grande pubblico).
Per mia fortuna, me lo sono goduto appena è uscito. Già sapevo che mi sarebbe piaciuto: Jaco Van Dormael è il regista che all'inizio degli anni novanta aveva diretto uno dei miei film preferiti in assoluto (Toto le héros: un eroe di fine millennio).
Per mia doppia fortuna, l'ho visto in compagnia di mio figlio quindicenne, che a sua volta ha molto apprezzato e assai gradito.

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bonus: Charles Trenet, La Mer

23 dicembre 2015

Felici stordimenti

Ero lì che stavo parcheggiando e sebbene in ritardo me la stavo prendendo abbastanza comoda, quasi obnubilato dall'ascolto di un CD degli Stones sparato a palla. L'abitacolo era pieno dell'energia di Sympathy for the devil, le mie orecchie captavano tutti gli intrecci, mai abbastanza stranoti, cogliendo il prorompente equilibrio tra la potenza ritmica di tutto l'insieme, dal basso alle percussioni, dal piano ai cori in falsetto, e l'assolo della chitarra in acido.
Beandomi, d'un tratto resto sorpreso da uno strano inserto melodico in sottofondo: doppie voci mai sentite, com'è possibile?, in tanti anni di ascolti; roba da farmi dubitare della razionalità, a favore delle molteplici leggende diffuse su questo brano "maledetto". Pochi secondi, poi il lampo: era la suoneria del telefonino che urlava dalla tasca del cappotto.
"Dove sei?" "Sto parcheggiando." "Ah, bene." E sorridendo al mio stordimento, sono entrato alla festa dalla scuola di tango.

P.S.: dopo tanti giorni senza connessione, do libero sfogo ai bonus musicali qui sotto.

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bonus: The Rolling Stones, Sympathy For The Devil (il brano in questione)
secondo bonus: Ritchie Valens, Come On, Let's Go! (la suoneria del mio cellulare)
terzo bonus: Carlos Gardel, Volver (un tango)

30 novembre 2015

Librandosi

Tra i privilegi per i quali bisognerebbe esser sempre grati c'è quello di sapere che ci sta aspettando un libro che non vediamo l'ora di continuare a leggere. È un mondo che si apre e ci rapisce, è un premio e un volano, è il passepartout che ci permette di permetterci del tempo in più, della vita extra. Come una fisarmonica o un ventaglio o una rosa dai mille e più petali, aprendosi svela un bel po' di mondo che altrimenti avremmo trascurato. Può essere una fuga temporanea, ma è un perdersi per ritrovarsi.

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bonus: Frankie Hi-nrg Mc, Libri di sangue

29 novembre 2015

Una via

Una delle cose che mi ha divertito oggi alla festa della scuola giapponese di Milano è stato lo Shodō. Letteralmente significa "la via (o l'arte) della scrittura" ed è stato bello sedermi in un banco accanto a quello scelto da mia figlia e provare entrambi a tenere in mano il pennello da intingere nell'inchiostro di china per tracciare sul foglio segni orizzontali e verticali seguendo le istruzioni del maestro, che in seguito ci ha indotti a osare riprodurre un ideogramma. Lei ha scelto la forza, io l'albero, semplicemente perché mi sembrava il meno difficile.
Non importa il risultato ottenuto e nemmeno il fatto che l'azione non abbia un seguito, ma rimanga un'esperienza occasionale. Quel che conta è mantenere e coltivare la curiosità di provare, anche solo per capire la difficoltà reale di gesti che altrimenti parrebbero scontati. Ce ne siamo accorti poco dopo, non tanto ammirando in un'altra aula delle tele artistiche, bensì nel momento in cui, osservando i lavori degli scolaretti delle elementari e delle medie, ne comprendevamo la bravura.
Grazie a Martina che ci ha fatto da guida, anche tra le specialità alimentari che abbiamo gustato non appena arrivati lì. Contavamo di fare solo una scappata a questa festa e invece, complice l'incontro con alcuni amici, siamo rimasti fino al momento in cui una voce severa all'altoparlante informava tutti quanti che ce ne dovevamo andare, ripetendo con monotona decisione le parole: "l'evento di oggi è finito".

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bonus: Meiko Kaji, The Flower Of Carnage

25 novembre 2015

Pulviscolo di stelle

Luna bucaniera, luna iridescente, con questo freddo di' grazie al mio occhio che t'accarezza di sorrisi desideranti, al mio sguardo che più ti fa bella, adornando le tue sabbie inerti e le pietre di carezze sorridenti, grazie a questo inebetirsi volutamente ingenuo, al bearsi di un'illusione che su quella volta scura punteggiata dipinga un senso. Di' grazie perché anche tu, come me, come noi, sei frutto di interazioni. E ora lascia che vorticanti si traccino linee di luci e di suoni affinché sia plasmata bellezza dalla creta puntiforme che siamo.

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bonus: Pink Floyd, Astronomy Domine

14 novembre 2015

Lutti

Al bar non puoi sperare di convincere le persone, ma almeno di instillare in loro un piccolo dubbio e qualche interrogativo, sì.
Trovandosi ad ascoltare generalizzazioni superficiali e ignoranti, qualcosa da rispondere sarebbe meglio trovarla.
Altrimenti non stiamo facendo il nostro mestiere di esseri umani.

"Sono tutti uguali."
"Non è vero. I terroristi sono una piccolissima minoranza. Altrimenti, ogni strada sarebbe in fiamme, anche qui intorno."
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"Bisogna prenderli e farli fuori."
"Meglio il carcere a vita. Una persona disposta a farsi saltare in aria non avrà mai paura della pena di morte."
-
"Bisogna rimandare ognuno a casa sua, come una volta."
"Quale volta? Quando mai è successo che gli esseri umani non si siano spostati per il mondo?"
-
"Per me sono malati di mente."
"...sì, è vero."

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bonus: niente bonus, oggi. Un pensiero preoccupato alle vittime di Parigi e ai loro cari.

31 ottobre 2015

Frammenti

"Devi aver realmente sbattuto la testa se ti dimentichi che 'frammenti' è anche il titolo di una canzone che hai scritto con i Fragole e Sangue." Così commentò su facebook Luca Talamazzi dopo aver letto quel post.

Luca che in quella canzone piena di musica e di rumori suonava la chitarra. Gli altri erano mio fratello Beppe alla batteria, Maurizio al basso elettrico (in questo brano, suonato con l'archetto) e Aaron alle tastiere (che in anticipo sui tempi comprendevano un campionatore di suoni). In effetti, come dice spesso Babele Dunnit: "facevamo il suo bel casino".

Se ne hai voglia, ascoltala: Frammenti, Fragole e Sangue, 1989.
A me continua a piacere.

Le parole che cantavo erano queste:
FRAMMENTI

Nei miei sogni nei tuoi film
Nei tuoi occhi dentro il bar
Stessi ludi e musiche
Ma sola dentro te

Tra i tuoi sogni ed incubi
Senti storie ascolti idee
Ogni lampo è carico
Ma solo dentro te

Solo un passo solo tra
Uno sguardo e un'iride
Solo un velo ed è follia
Il tuo sguardo è un'isola

Lete Sorte Insana Arte
Vestale di ogni soglia

30 ottobre 2015

Quel che sa di casa

Quel che "sa di casa" è il vero antidoto all'omologazione, ma non solo riguardo al cibo.
Non solo i sapori e gli odori, gli aromi e gli effluvi, ma anche i gesti e le abitudini, le consuetudini e perfino le manie, grandi o piccole, purché "sappiano di casa", aiutano a definire e delineare, a caratterizzare individualità riconoscibili. Al di là degli affetti, le fortune di ogni personalità saranno coadiuvate dalla presenza di un substrato forte, tanto più forte se stratificato.

I limiti che tutto ciò sembra portare con sé e convogliare nel tracciato futuro dei singoli esseri umani in crescita costituiscono in realtà percorsi facilitati e rappresentano ancoraggi di sicurezza. Paletti o steccati presenti ma non per questo invalicabili, validi nella misura in cui scaturiscano da autenticità sperimentate anziché da dogmatiche astrattezze.
In un modo o nell'altro, quel che "sa di casa" ti aiuterà a essere l'essere che vorrai saper diventare.

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bonus: Neil Young, Homegrown

18 ottobre 2015

Il bello di internet

Il bello di internet è... in realtà, ce ne sono tanti. Comunque, in questo momento mi sento di dire che il bello di internet è soprattutto imbattersi per caso in qualcosa di strepitoso e poterlo condividere quasi immediatamente, confidando però che possa essere fruito anche in seguito (per intenderci: ho detto il bello di internet, non di facebook).

Oggi per me tale funzione è svolta da uno scritto trovato per una serie di rimbalzi imprevisti. Si tratta di un pezzo scritto da Rafael Zoehler: When I'm Gone.
La versione in cui mi sono felicemente imbattuto è quella tradotta in italiano da Monica Cainarca: Quando non ci sarò più.
Buona lettura.

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bonus: Patti Smith, Gone Again

16 ottobre 2015

Lassi e lacci

Finestre temporali troppo brevi per realizzare alcunché di produttivo, intervalli cronologici dai margini troppo risicati per organizzare alcunché di sbrigativo, manciate di minuti che si consumano a decine in un limitare che sembra predestinato all'oblio da sciacquone: lassi di tempo non cumulabili con altre offerte.

È necessario, perfino indispensabile, dilatare il tempo: quello che ci si è presi per non lasciarcisi prendere, quello dispoticamente destinato a qualcosa d'improcrastinabile, alla faccia d'ogni procrastinazione.

Per farlo, occorre fermarsi. Né più, né meno: fermarsi un giro, lasciar perdere qualcosa per ritrovare altro; rinunciare senza timore a un'occasione di divertimento presunto per favorire la serenità futura. Non sto parlando di massimi sistemi, ché il ragionamento vale pari pari per delle minuzie e l'effetto positivo si concreta anche solo restando a casa una sera a lavare i pavimenti.

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bonus: Pink Floyd, Time

02 ottobre 2015

Un'altra zuccata

Ieri ho picchiato la testa, ma forte, contro il contatore del gas. Avevo poggiato un piede sulla sedia per prendere una cosa in cima al mobile della cucina e sono andato a incocciare con tutto lo slancio in quell'aggeggio che sarà sempre stato lì, non lo metto in dubbio, ma che ieri m'ha sorpreso affatto e violentemente sbarellato. Ho sentito un crac e pensavo di essermela spaccata, la testa, invece allo specchio ho constatato che ci era solo cresciuto un grosso bernoccolo, rosso e allungato tra cranio e fronte, sulla sinistra.

Rintronato, dolorante e un tantino preoccupato, prima ancora di procurarmi il ghiaccio da appoggiarci sopra, il pensiero è corso al mio amico Gilgamesh, perché il suo massaggio terapeutico mi sarebbe servito come e più di quella volta in Sardegna, quando andai a sbattere la zucca sull'architrave di un nuraghe a Barumini. Delle sue cure invece devo fare a meno e purtroppo in questo caso non si tratta solo di distanza chilometrica, ma siderale.

Distanze siderali, distanze temporali... Cosa siano i mesi o gli anni non sappiamo, se non frazioni disomogenee di una suddivisione arbitraria di casi o apparenze o eventi o coincidenze. Frazioni o frammenti di tempo. Frammenti, come il titolo di un raccontino che scrisse proprio il mio amico Fabrizio De Santis, “Gilgamesh”, ora presumibilmente fuori dal tempo. Dico bene, goppai?

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bonus: Ottavo Padiglione, Ho picchiato la testa

30 settembre 2015

Coi calzoni corti

Un tempo, domani sarebbe stato un giorno di nuovi inizi, un autentico capodanno, molto più del 1° settembre. Il primo ottobre cominciava la scuola, quella di grembiule, fiocco, cartella e calzoni corti, con classi maschili e femminili separate. Era quello il momento in cui si avvertiva di trovarsi immersi nella stagione autunnale. Le foglie secche erano già annunciate dai colori di quelle in mutamento, che finivano tra le pagine dei quaderni insieme ai disegni di castagne coi loro ricci.
Oggi, immerso nella scuola mi trovo già da un paio di settimane, ma dall'altra parte della cattedra. Un impegno che va ben oltre le ore effettivamente dedicate a questa porzione delle mie attività lavorative (oltre a traduzione, interpretariato e copywriting), perché l'insegnamento svolto con la dovuta passione assorbe anche interiormente e non solo dal punto di vista professionale. Molte le energie profuse, altalenanti le gratificazioni didattiche, enorme il ritorno umano.
Autunno e nuovi inizi: tra ruggini cromatiche e fisiche, sono molte le energie necessarie a fare buoni propositi, ma si troveranno, affinché sia un buon autunno, buono abbastanza. Oggi però il freddo si sente un po' troppo, mentre allora non si faceva caso nemmeno alle ginocchia nude.

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bonus: Nick Drake, Fly

28 settembre 2015

Dalle stille alle stelle

Aggiornandomi su di sé, un'amica mi scrive: "Pas trop le temps pour les amours pour l'instant, ça viendra." (Ossia, più o meno: Non molto tempo per gli amori al momento, arriveranno.) In generale, mi rendo conto di non essere portato per questa abilità molto femminile, quella dell'attesa, dico. Il mio atteggiamento continua a essere quello di chi si sente davanti a un gelato che si scioglie. E se coi gelati ho imparato a cercare la gelateria d'eccellenza e a rinunciare nel frattempo, con tutto il resto prevale l'impazienza, come quel tizio che nelle ultime ore della notte si alzava e procedeva speditamente verso est per vedere l'alba in anteprima.

Cito nuovamente Tino (Tindaro Granata) e il suo Antropolaroid ricordando la benedizione della stidda, la stella cui l'aveva raccomandato la bisnonna, augurandogli "fortuna, bellezza, sofferenza. Perché non c'è fortuna, non c'è bellezza se non si passa dalla sofferenza". Bello, quasi sempre vero, però, ecco, di passare (o ripassare) dalla sofferenza probabilmente non ho voglia, o forse non sono capace di farlo volontariamente. Ogniqualvolta posso scegliere, tendo a optare per la soluzione più facile e a preferire la felicità più a portata di mano. Chissà se è pigrizia o una forma di paura, paura che l'attimo fuggente faccia il suo mestiere e scappi.

L'attimo fuggente in realtà lo si incontra camminando laddove il sentiero non sia tracciato in anticipo. Là dove si porta un passo davanti all'altro e passo passo si procede. Lo sguardo spazia senza volontà di possesso e là dove muscoli e sudore si lasciano dimenticare, passo passo si può camminare a lungo anche in salita. Sicuramente il cammino risulterà più agevole dopo che mi sarò fatto sistemare il piede dolorante. Il cammino, e la corsa, e il ballo. Beh, in fondo da un qualche tipo di sofferenza si passa comunque. Poi sarà fortuna, sarà bellezza.

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bonus: Crosby, Stills, Nash & Young - Love The One You're With

20 settembre 2015

Persone per sé e per gli altri

Alla fine del suo spettacolo, Tino ha fatto un discorsetto. Tino è Tindaro Granata, attore e autore teatrale molto bravo, intenso ed efficace. In Antropolaroid riesce a essere toccante e divertente al tempo stesso. Sono stato arcicontento di riassistervi e in più c'è stato il bonus del discorsetto, in cui ci ha raccontato in modo semplice e diretto i suoi esordi e le difficoltà che lo aiutarono a crescere e soprattutto a rendersi conto dell'imprescindibilità di lavorare per "diventare persone migliori".

L'evoluzione personale non sempre ci accompagna, è umano e normale che si attraversino periodi anche lunghi di stagnazione, dovuti essenzialmente a stanchezza e pigrizia. Tuttavia, restare umani è una necessità irrinunciabile per non sciupare la bellezza del vivere (tenendo presente che è già un lusso potersi accorgere di tale bellezza) e "restiamo umani" è il motto che specialmente di questi tempi ci si ripete e si propugna come invito alle autorità nei confronti dei profughi e dei migranti.

Proprio su questo concetto giocava il titolo del manifesto dell'altro giorno ("Arrestiamo umani"), a proposito delle reazioni ai drammi che stanno bussando fisicamente alle porte dell'Europa. Drammi, problemi, situazioni... tutti modi un po' asettici di riferirsi a emergenze che in realtà vengono vissute da persone, persone come noi ma probabilmente meno fortunate alla lotteria di Babilonia.

In rete è stata diffusa la bella immagine di un poliziotto danese che gioca con una bimba profuga. Dà una certa carica di speranza, restaurando un po' di fiducia nelle immense potenzialità del "bene" anche laddove pare che la realtà fattuale non lasci spiragli all'ottimismo.

Chiave di lettura straordinaria per questa foto è la frase stramba che ha utilizzato per commentarla Federica Bellagamba:
"Quando le persone si personano poi non si torna indietro".


A corredo delle riflessioni che tale considerazione può innescare, segnalo due interventi da parte di altrettanti blogger della vecchia guardia (ossia attivi su blog fin da inizio millennio).
Uno è un resoconto estemporaneo di Rillo, che inizia così:
Esterno notte, area residenziale a sud di Milano, piovechediolamanda.
Rientrando a casa scorgo la figura di un uomo vestito molto dignitosamente.
Sta fermo. In piedi, sul marciapiede sotto la pioggia torrenziale, la testa china, sembra che aspetti qualcosa.
[continua a leggere]
L'altro è un post di Gaspar Torriero, Rifugiati, che in modo diretto e sintetico e a partire dalla propria storia familiare, illumina sull'universalità dell'esperienza umana.

In entrambi i casi, la parola chiave, esplicita o implicita, è: "persone".
Ricordiamoci che anche loro, i reietti, lo sono; ricordiamoci che noi lo siamo, si spera.

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bonus: Manu Chao, Clandestino

05 settembre 2015

A occhi aperti

Il piacere captato dalla realtà circostante o dal sottomondo intrecciato negli anfratti dell'indicibile si amplifica se riesci a raccontarlo, e condividerlo vuol dire questo, in special modo se le distanze impediscono di puntare occhi e spirito verso un medesimo panorama di multisensazioni.

Per questo, anche per questo, cerchi di raccontare i sogni, ma non tutti i sogni sono fatti per essere raccontati. Non certo per pudore, piuttosto per la mancanza di fili logici che riescano a tenere insieme il tutto. Quel tutto che un racconto, per l'appunto, saprebbe tenere insieme, restituendo o donando un senso a tante indifferenti singole casualità (dal caso alla causalità, ecco un percorso che si nutre di verbalizzazioni).

Sogni, sogni ne fai, ma non sai se ne hai. Quando ti chiedono qual sia il tuo sogno, un sogno qualsiasi, non ti affiorano risposte. Ti pare vada bene così, magari aggiustando un po' le cose, migliorandole e migliorandoti, ma non sapresti, non sai andare oltre un trittico di desideri a ogni plenilunio, con uno sguardo che rimane corto, nel bene e nel male.
Sogni a occhi aperti, però, sì, quelli li hai sempre fatti e, sebbene confinati a parziali e intense felicità, seguitano a risbocciare vivissimi, identici e diversissimi, schiudendosi al sorriso armonioso di un benessere condiviso.

Il piacere captato nei sogni a occhi aperti si mescola con quello captato dagli occhi in panorami da sogno. Anche in varianti inattese, come quella volta di un tardo pomeriggio sul confine tra Trentino e Alto Adige.

Ero partito con l'animo contrariato, perché l'iniziale richiesta di mia figlia per un passaggio preserale fino a Varena (3 paesi più in su di Castello di Fiemme) si era trasformata all'ultimo minuto in Malga Varena, che si trova oltre il passo Lavazè. Luogo stupendo e tra i miei preferiti, ma proprio quel giorno avevo declinato un invito ad andarci di pomeriggio, troppo lo sbattimento per così poco tempo, e così avevo lasciato che fossero mia sorella e un paio di amici a beccarsi l'acquazzone, mentre passavo qualche ora al computer a sistemare i testi per il sito web di un albergo (che prossimamente sarà on-line...).

Poi, raggiunta la destinazione poco prima del tramonto e lasciata giù la Caju, anziché ritornare subito proseguii fino agli Oclini e mi fermai a far spaziare lo sguardo. Il cielo era cupo, ma luce forte filtrava qua e là, agli orli delle numerose nuvole. In piedi tra Corno Nero e Corno Bianco, osservavo il Latemar in una colorazione inedita, scurissima e quasi violacea. Anche tutto il resto, a 360 gradi, restituiva immagini per me inconsuete, aduso come sono a godermi di lassù gli splendori di giornate climaticamente favorevolissime.

Avrei voluto fotografarlo, quel paesaggio, ma non ne avevo i mezzi né, in ogni caso, le capacità per renderlo in maniera soddisfacente. Il bisogno di ritrarlo fu soddisfatto grazie a una telefonata, giunta alle orecchie di uno sguardo capace di cogliere immagini dalle parole, e gustandole di sorridermi un sorriso celeste punteggiato di lentiggini tra boccoli di grano. E ancora una volta, la condivisione raddoppiò il piacere.

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bonus: Sam Cooke, I'll Come Running Back To You

31 agosto 2015

Stazionamenti

Un addio dato nei pressi di un treno è uno sguardo velato che si lascia ancorare, cuore mente animo e tutto, alla ritmica striscia di immagini costituita dai vagoni che sfrecciano dinanzi agli occhi, occhi prigionieri di quell'ipnosi transitante, timorosi dell'enormità transeunte e perciò pronti e proni ad agganciarsi al penultimo tratto del convoglio, quello della sincopata aspirazione di massa e rumore, quello che anticipa l'assenza che tutto asporta, che tutto si porta fino a farlo sparire nel vortice che trascina via l'essenza disintegrando la rete tra l'io e l'altro da sé da un momento all'altro, sempre troppo all'improvviso.

Dalla nostalgia preventiva ti fai prendere un momento prima che qualcosa o qualcuno ti venga a mancare. La collocazione temporale di quel "prima" dipende dalla lunghezza dello sguardo, ma anche dalla saggezza più profonda. Se lo sguardo è abbastanza lungo, coglierà in anticipo tale futura assenza e in piena coscienza si farà cogliere dai malinconici effetti della constatazione. Se è troppo corto, non s'accorgerà di nulla, ritrovandosi un vuoto all'improvviso e una carenza di consapevolezza. Se lo sguardo è troppo lungo, però, occorrerà far ricorso a una generosa dose di saggia miopia, perché altrimenti non si riuscirà a godere nemmeno per un po' del qui e ora benefico e dell'unicità dell'esistere.

Poi, comunque, si sa che un addio dato nei pressi di un treno non è un addio, ma un arrivederci.

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bonus: Velvet con Edoardo Bennato, Una settimana un giorno

28 agosto 2015

Fasi lunatiche

Pareva uno di quei momenti in cui se avesse domandato Che fai tu luna in ciel? quella avrebbe risposto Fatti li cazzi tua.
Così luminosa, ma per finta, solo di riflesso. Così grande, ma solo per la vicinanza. Così piena o quasi, ma da un lato solo.

Tuttavia, di lì a poco qualcosa sarebbe mutato: un refolo d'aria, gradito e atteso, lo schiudersi anzitempo d'un fiore di zucca, giallo e promettente, dei pensieri nuovi a guarnire vecchi vassoi di grattacapi, serti non solo ornamentali ma auspicabilmente forieri d'efficacia.

Lo sguardo successivamente rivolto al cielo trovò distanze diverse e diversi distacchi, che s'installarono nell'animo acquietato. Non più domande, non più per un po'. Spazi ampi e respiro. Respiro ampio, in attesa di un sonno ritrovato.


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bonus: Bob Dylan, The Night We Called It A Day

25 agosto 2015

Tango, provincia di

Il capoluogo è lì dove sei, nella milonga in cui ti trovi e il C.A.P. è quello della musica che guida la serata.

Questo mese ne ho toccate di nuove, nuove per me, di milonghe. Nuove, a parte il già noto Palatango, in quel di Segrate, dove sono stato la sera prima della chiusura e poi di nuovo alla riapertura. Novità però ce ne sono state anche in tali occasioni: infatti ho avuto l'opportunità di sintonizzare i passi con ballerine che non conoscevo ancora, assommando piaceri e utili esperienze.

Durante la permanenza in Trentino-Alto Adige, ho fatto un salto a Caldaro (grazie alla selvadega che mi ci ha condotto), scoprendo così la bellezza dello Spazio 8, proprio nei pressi del lago, e ritrovando quella delle tanguere che lo frequentano.

Tornato alla base, sono finalmente entrato negli spazi delle Cristallerie Livellara, in Bovisa, dove dall'inizio dell'estate è attivo lo Spirit de Milan. Ad attirarmi, una serata di tango con esibizione del duo Tango Pichuco e della cantante Carola Nadal. È sempre bello ballare sulla musica dal vivo. Un po' più difficile, ma affascinante, anche perché si incrementa il senso di unicità. Contento di esserci stato.

Anche sabato sera mi sono dedicato al "secondo più bel modo di sudare". In quel di Pessano con Bornago, per quanto ciò potesse sembrare improbabile a noi che ci si recavamo e al navigatore un po' confuso. Alla fine, una camicia e una maglietta intrise di bella musica e buone tande.

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bonus: Bajo un cielo de estrellas, orchestra di Miguel Caló, canta Alberto Podestá

15 agosto 2015

Picchi d'ozioso piacere

Da tempo vado dicendo che per me i simboli sommi dell'ozio o dell'otium goderecci e benefici sono essenzialmente due: farsi radere dal barbiere e dondolarsi su un'amaca.
Negli scorsi giorni ho verbalizzato qualcosa che di certo avevo dentro da un po', ma che affiorava solo sotto forma di sorriso: ferma restando la posizione di preminenza dell'amaca in questa speciale classifica, al secondo posto direi che si è ormai attestata un'altra situazione, e cioè il giocare a carte (briscola o scopone) all'aperto presso un rifugio ad alta quota bevendo una birretta dopo aver camminato in montagna per qualche ora.
Per esempio, per l'appunto, l'altro ieri alla Marmolada, tra Pian dei Fiacconi e il ghiacciaio, con il respiro a spaziare su tanto di quel mondo da abbeverare lo sguardo che faceva scorta di bellezza pura.

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bonus: Nina Simone, Turn Me On

31 luglio 2015

Egeomonia

Ho aspettato a lavare il telo mare, perché trattiene vaghe fragranze di spiaggia e macchia mediterranea, o forse la loro illusione. È un telo leggero, appena un po' troppo piccolo, ma bello e pratico, me l'ha regalato mia sorella. Si è fatto il viaggio nel bagaglio a mano fino al Dodecaneso e Nisyros dev'essergli proprio piaciuta.

Νίσυρος: facendo copia-incolla riesco a scriverlo nell'alfabeto giusto, quello che piano piano s'impara leggendo i menù, soprattutto peregrinando in scooter da un villaggio all'altro, tra un εστιατόριο e una ταβέρνα, sempre quasi a colpo sicuro grazie alle indicazioni delle persone giuste incontrate per caso allo sbarco.

Abbiamo familiarizzato e mangiato bene alla Captain's House sul porticciolo di Pali, soprattutto la moussaka, mai così buona nelle mie precedenti occasioni. Siamo stati trattati con un occhio di riguardo, forse perché raccomandati da Manos, da Irini a Mandraki, con un ottimo souvlaki preceduto da assaggi di formaggi locali e seguito da un dessert gustosissimo, a base di yogurt e arancia candita. Dopo una sauna naturale all'ingresso del panoramicissimo paesino, a Emporio abbiamo pranzato ottimamente al Μπαλκόνι (Balkoni), dove il dolce consisteva in yogurt con pomodori canditi, un'interessante e imperdibile leccornia. L'entusiasmo è traboccato al Λιμενάρι, una trattoria deliziosa priva di orari, di menù scritto e di internazionalità linguistica, in cui però ci siamo intesi abbastanza da rimpinzarci di fritture casalinghe qualitativamente impeccabili, con le πυτιά in primo piano. Il fil rouge era rappresentato da insalata greca (che fatta come si deve, con olio buono e ortaggi locali freschi, è tutt'un'altra cosa) e, dopo il tramonto, dalla retsina, il vino aromatico che ho ribevuto dopo vent'anni.

A proposito: erano più di vent'anni che non m'arrampicavo a cogliere dei fichi da mangiare lì per lì, come prima colazione. L'ho fatto dopo una delle nuotate mattutine, quella in cui siamo andati a vedere l'alba da una spiaggia ampia e defilata. Lì si nuotava nudi senza dover ricorrere ad arzigogoli, altra soddisfazione ritrovata.

Per rispondere alla domanda frequente Quand'è l'ultima volta che hai fatto una cosa per la prima volta?, in quest'isola sono entrato per la prima volta nel cratere di un vulcano. Lì dentro ci sono molti gradi, specialmente a metà giornata, ci sono le fumarole, con gli odori e i cristalli di zolfo, gialli e graziosi, al pari delle rocce colorate che striano le pareti, replicando in parte quelle che proteggono dal vento la stupenda spiaggia di Paliohori a Milos. Una fumarola l'ho voluta sfiorare, scottandomi leggermente e godendo di un contatto tattile morbidissimo con quella polvere di terra vaporosa.

Nisyros meriterebbe qualche giorno in più, perché pur essendo piccolina è ricca di cose da vedere, come il tramonto dalle mura del castello dell'antica acropoli, scorci da ammirare, come le viuzze di Mandraki, angoli da visitare, come il non luogo meravigliosamente balneabile di Avlaki, curiosità da esplorare, come le vecchie terme, in decadenza ma tuttora funzionanti, o come la piazzetta-bomboniera di Nikià, e perché la sua natura ti abbraccia dal primo all'ultimo minuto, come la vegetazione che circonda gli alloggi vista mare dei Mammis Apartments gestiti dal gentilissimo Iannis.

Ho aspettato a lavare il telo mare e non lo faccio nemmeno oggi.

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bonus: David Byrne, This Must Be The Place (Naive Melody)

30 luglio 2015

L'elitra scarlatta

Coccinellina, ci pensi che a quel manto colorato devi la tua sopravvivenza? Voglio dire, fossi in uniforme tetra, da camicia nera o camicia bruna come gli scarafaggi, non avresti scampo a meno di essere velocissima a imbucarti e invece te ne puoi stare lì tranquilla, prendertela comoda ed essere trattata con tutti i riguardi, tutt'al più spostata delicatamente su una foglia dopo esser stata accolta sull'epidermide come regalo gradito. Tutto per quel manto colorato rossonero. No, non ne facciamo una questione di tifo calcistico. In fondo, anche la libellula, che in certi casi è quasi nerazzurra, risulta presenza gradita e rispettata (tranne quella volta lì, ma non l'avevo fatto apposta). Insomma, coccinella, sei una privilegiata e non so se lo sai. Un favore: non dirlo alle cimici, perché non ho alcuna intenzione di sdoganarne le molestie. Quanto alle zanzare, pensa che addirittura m'avveleno l'aria per avvelenarle e talvolta risporco i muri per schiacciarle. Tu però stai pure serena. Qualora adottassi un geco, t'avvertirei prima.

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bonus: It Had To Be You, Harry Connick, Jr.

28 luglio 2015

Dialogacci

"Alla fin fine, stringendo all'osso e senza raccontartela, la vita punge come un filo spinato. Se non punge te, sta pungendo qualcun altro."
"Uella, che pessimismo! Sei di pessimismo e fastidio?"
"È che come ci si muove, si semina, ma troppo spesso si semina dolore o disagio."
"Ma no, dai, ma cosa dici! Se fosse davvero così, come li spieghi i sorrisi, le risate... Tutti i momenti belli passati insieme agli amici, alle persone care, o anche alla gente in generale? Non può essere così nera."
"Boh. Intanto so che gli errori si ripetono enne volte nel tempo, sempre diversi ma sempre gli stessi."
"Dai, va là, non mi fare il vascorossi del nuovo millennio."
"Eh, ti diverti a prendere in giro, ma intanto c'è una realtà oggettiva, anzi una realtà fatta di più soggettività che compone il puzzle, un puzzle disordinato e incompleto, ma la figura è quella."
"Senza raccontartela, però la vuoi raffigurare, eh?"
"Beh, insomma: un senso a tutta 'sta roba bisogna pur darlo, se no ti viene il tarlo."
"Questa te l'ha detta Carlo."
"Eh?"
"No, niente, è che non resisto a non dire minchiate, lo sai."
"Sì, sì, lo so, ma so anche che magari anche le mie lo sono. Non mi ci raccapezzo."
"Oh, raccapezzo: guarda quella lì che sta passando."
"Lascia stare, stasera va di birra e chiacchiere, e basta."
"Ciusca, proprio pessimismo e fastidio, eh. Cià che ordino un altro giro, va'."

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bonus: Enzo Jannacci - Giovanni, telegrafista

18 luglio 2015

Cavalli selvaggi



Wild Horses dei Rolling Stones è un brano magico e malinconico insieme.
In questa esecuzione dal vivo di una decina d'anni fa c'è come ospite nientemeno che la voce dei Pearl Jam. La cosa curiosa è che Eddie Vedder, indubbiamente un grande, qui, accanto a un vero e proprio mito come Mick Jagger, a tratti sembra uno scolaretto intimorito.
La soggezione invece andrebbe spazzata via quando si fa qualcosa insieme, tanto più che l'incontro tra generazioni diverse, preso dal verso giusto, può portare ricchezza in entrambe le direzioni, almeno per un po'.

Ora basta con le riflessioni sagge, altrimenti sembra che stia diventando vecchio e invece fino a oggi sono solo 52.

Vado avanti con la stessa energia insita nell'espressione idiomatica attorno alla quale gioca il testo: wild horses / couldn't drag me away significa che niente può strapparti a ciò cui tieni.
E nel finale, quando si torna al significato letterale: wild horses / we'll ride them some day, l'immagine evocata è bella e piena di futuro, di natura e di pluralità: cavalli selvaggi, un giorno li cavalcheremo.

30 giugno 2015

Osculi, oculi e loculi

Venere e Giove che stanno per baciarsi. Sì, vabbè, è vero che sono assai distanti, lo sono proprio molto, ma il bacio è nell'occhio di chi guarda. Un occhio sul cielo, lo sguardo che lo accompagna, le miscele di sensazioni contraddittorie condite dai colori di un luminoso crepuscolo.
Un bacio, il pensiero che lo accompagna e lo sguardo di un occhio nel cielo. È tutto nella nostra mente, questo è assai probabile, però aiuta. Come il fatto degli illusori allineamenti astronomici, è esteticamente bello oltre che consolatorio pensare che chi non c'è più fluttui lassù. Non è nemmeno in contrasto con le congetture più razionali: nulla si crea e nulla si distrugge, dicono, quindi da qualche parte ci si disgrega e ci si ricompone con il tutto. Questo è sicuro per quanto riguarda la parte più pesante, ma non è detto, non è affatto detto che una parte ondulatoria non possa propagarsi in altro modo e che siano quelle frequenze ad aver evocato in noi umani il concetto di anima.
Proiezioni, d'accordo, ma a chi non piace il cinema, quello bello? Venere e Giove forse si baceranno in occasione del plenilunio, perché sono sensibili e perché ci tengono allo spettacolo, fatto su misura per noi che puntiamo gli occhi e talvolta il cuore verso il cielo.
Ciao e arrivederci a te, a te, a te, a te...

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bonus: Alan Parsons Project, Sirius / Eye In The Sky

29 giugno 2015

Quante storie

Se una notte d’inverno un viaggiatore Fuori dall’abitato di Malbork Sporgendosi dalla costa scoscesa Senza temere il vento e la vertigine Guarda in basso dove l’ombra s’addensa In una rete di linee che s’allacciano In una rete di linee che s’intersecano Sul tappeto di foglie illuminate dalla luna Intorno a una fossa vuota Quale storia laggiù attende la fine?

Non ditemelo. Non ancora.
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Così scrivevo qualche giorno fa. Poi il libro l'ho terminato, trovandolo meraviglioso. Che Italo Calvino fosse una garanzia me lo dicevano le esperienze precedenti, ma apprezzarlo dopo esserne stato spiazzato è stato ancor più soddisfacente.
Questo genio era in grado di scrivere qualunque cosa, sarebbe stato in grado di scrivere quasi in qualunque modo: le settimane precedenti, oltre al divertentissimo San Isidro Futból di Pino Cacucci, avevo divorato un paio di bei gialli avvincenti (Pista nera di Antonio Manzini e Ksenia. Le Vendicatrici di Massimo Carlotto e Marco Videtta), ma scorrendo le evoluzioni calviniane mi rendevo conto di come lui fosse in grado di avvincere a partire da qualsiasi elemento, situazione, spunto e perfino dalla voluta assenza di spunti.
Durante la lettura, accanto all'ammirazione sconfinata si faceva spazio anche una vocina che ammoniva: se c'è gente che scrive così, tu non t'azzardare, profaneresti lo scrivere, lascia perdere, ma tutto, financo la lista della spesa. Poi, naturalmente, uno se ne fotte e continua a fare come gli pare. Il che mi pare giusto, altrimenti ci si dovrebbe proibire di giocare a pallone dopo aver visto, che so, Marco Van Basten.

L'importante, probabilmente, è non smettere mai di leggere. Almeno finché ti rimane la voglia irrefrenabile di ascoltare il racconto.
«Se una notte d'inverno un viaggiatore, fuori dell'abitato di Malbork, sporgendosi dalla costa scoscesa senza temere il vento e la vertigine, guarda in basso dove l'ombra s'addensa in una rete di linee che s'allacciano, in una rete di linee che s'intersecano sul tappeto di foglie illuminate dalla luna intorno a una fossa vuota, - Quale storia laggiù attende la fine? - chiede, ansioso d'ascoltare il racconto»
P.S.: non si può sapere tutto di tutto. Per la serie "io sono da solo a leggere*, quelli sono tanti di loro a scrivere**", è chiaramente impossibile arrivare a coprire tutto lo scibile, anche solo di un particolare settore culturale o ricreativo. Meglio dunque imparare a cogliere, assaporare e godere qualche spicchio, senza preoccuparsi che ciò avvenga tardi, più tardi, in ritardo. Sempre meglio che mai.

* oppure ascoltare, guardare...
** oppure comporre, suonare, dipingere...

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bonus: Courtney Barnett, Small Poppies

21 giugno 2015

Lepre

"Una ragazza al parco m'ha lasciato senza fiato."
"Era così bella?"
"Non saprei. Correva troppo veloce."

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Dai, vai, fammi da lepre. La tua cadenza è sciolta ma sostenuta; non so quanto la potrei reggere, ma intanto accelero e mantengo la distanza. Non penso più al fiato né alla fatica, solo alla lepre. Pur senza raggiungerla, percepisco la soddisfazione di riuscire a mantenerla nel campo visivo. Le gambe non protestano, l'affanno diventa trascurabile. Da quando la seguo, l'allenamento ha preso un piglio differente. Da quando ti cerco, ogni istante ha preso un piglio differente. La tua inafferrabilità è quanto serve a migliorarmi. Magari un giorno ti raggiungerò, a esplorare tutti i tuoi sorrisi. Magari tra qualche minuto la raggiungerò. Eccola, quasi a portata di falcata, quasi, forse, comunque non è detto che quando l'avrò raggiunta, la lepre m'interessi ancora. Poi ad un tratto svolta per un altro sentiero, io devo proseguire diritto; nel frattempo, anche tu svolti e sparisci alla vista della mia vita. Rimane nell'affanno, rimani nel respiro. Il cielo nel frattempo sorride e io con lui, io con lui.

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bonus: Velvet Underground, Run Run Run

15 giugno 2015

Ma sì

Ma sì, lascia fare alla malinconia, quella di quando, comunque la giri, ti manca un pezzetto, di qua o di là, di su o di giù. Ma sì, lascia cadere la pioggia sul mondo mentre la osservi al coperto, godendoti freschetto e musica dolce blippata quasi a caso.
Un po' d'indulgenza, perbacco: si mettano da parte stoicismo e sensi di colpa. Per quanto possa, dopo, risultare soddisfacente il fatto di aver corso sotto il temporale, non sempre se ne può aver la voglia o la forza. Lascia dunque andare pensieri e dita a ritrovare immagini e parole.
Il cibo è in caldo e già sai che è buono perché è lo stesso di cui ti sei nutrito al pasto precedente. Di bevande non hai bisogno, né d'ebbrezze. Letture ne hai finché ne vuoi, e giorni diversi tra loro anche.
Mettiti in pace: i lembi presto o tardi si ricongiungeranno e al massimo mancherà un pezzetto, di qua o di là, di su o di giù. Ma sì, lascia che cada la pioggia sul mondo, almeno finché ne sarà assetato.

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bonus: Amalia Rodrigues, L'important c'est la rose

01 giugno 2015

Agenda geometricamente analitica

L'agenda è piena ancora prima di iniziare. Perché ci sono gli arretrati di cose da fare e perché di cose da fare ce ne sono sempre di più.
Tra gli arretrati, incarichi lavorativi da assolvere e incombenze varie rimandate. Per fortuna, gli incarichi lavorativi sono più che interessanti. Quanto alle incombenze, quelle casalinghe sono meno noiose di quelle burocratiche, ma direi che entrambe assorbiranno inizialmente parecchio tempo e una cospicua dose di energie.
Tra le cose da fare che si moltiplicano, un peso specifico preponderante viene assunto dalle necessità fisiche: per mantenersi in una forma decente e soprattutto per contrastare o contenere i dolorini fisici occorrono sempre più minuti di esercizi, dei quali va curata la costanza.
Il problema è il mancato moltiplicarsi delle ore del giorno, ma dato che è per tutti così, bisognerà farsene una ragione e darsi da fare a spremere tempo tra un minuto e l'altro, imparando a contenere gli sprechi. Definisco sprechi le attività in cui a un certo punto prevale la passività senza che ci sia un reale godimento o una utile evoluzione.
Sono quasi certo che il meccanismo sarà simile a quando si tenta di riavviare un carro arrugginito: la prima spinta è la più faticosa, ma poi le ruote gireranno sempre meno faticosamente e chissà, magari troverà spazio perfino la volontà, ingrediente indispensabile a ridurre gli ingredienti assunti. In tal modo, grazie all'ellissi alimentare si chiuderà il cerchio di quella che sarebbe potuta apparire come una parabola dagli obiettivi iperbolici e si passerà dalla spirale negativa al circolo virtuoso.

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bonus: Rolling Stones, Time Is On My Side

31 maggio 2015

Tra due cieli

Era come trovarsi tra due cieli. Da un lato i nuvoloni carichi di gocce pesanti e generosi nell'offrirne una seppur diradata campionatura; dall'altro piccoli squarci d'azzurro che risaltavano al contrasto e fasci di luce solare che filtravano tra le persiane del cielo a far brillare le diverse tonalità di verde delle chiome arboree. Subito lo sguardo si attivava alla ricerca dell'arcobaleno, cromatico bacio tra cielo e terra, estetico premio per chi abbia tuttora occhi di bimbo.

Il luogo di questa scena non era un'amena meta vacanziera né una località particolarmente privilegiata da incontaminati angoli di bellezza naturale: a saper guardare, le nicchie di paradiso si trovano perfino nell'hinterland milanese, cintura metropolitana fornita di tutti gli ingredienti più nocivi per noi e per l'ambiente.
Non dico di non far niente per contrastare le alterazioni dell'equilibrio ambientale in cui ci tocca vivere, ma nell'attesa che si compia la umana speranza, sarebbe cosa buona e giusta assumere l'atteggiamento suggerito da queste parole di Italo Calvino nel magnifico libro Le città invisibili: "cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio".

Sorrido al pensiero che questo atteggiamento continua a essere mio nel tempo, come puoi leggere anche in qualche vecchio post.

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bonus: Sarah Vaughan, Gimme A Little Kiss

29 maggio 2015

Hetty Verolme

Un paio di settimane fa ho avuto il piacere e l'onore di fare da interprete a una signora classe 1930 e alla bambina piena di energia che è tuttora in lei. Hetty E. Verolme è una sopravvissuta alla Shoah e ha deciso di raccontare la sua storia in un bel libro, adatto anche per ragazzi: Hetty. Una storia vera, edito da Il Castoro nella scorrevole traduzione di Maddalena Fessart. Le vicende sono quelle da lei vissute dal momento in cui all'età di 12 anni fu deportata nel campo di concentramento di Belsen in Germania, dove le toccò occuparsi della sopravvivenza propria e di una quarantina di bambini.

Un bell'estratto dell'incontro si trova nell'articolo di Chiara Vanzetto (Corriere della Sera, 11 maggio 2015), scaturito dall'intervista a cui sono orgoglioso di aver contribuito come interprete. Da parte mia posso aggiungere che l'emozione dell'ascolto ha portato noi presenti sull'orlo della commozione, ma che la serenità trasmessa da Hetty è quella di un cuore che non ha mai smesso di pulsare anche per gli altri.

Sugli abiti le cucirono una stella gialla, ma dentro le risplende una stella d'oro. Sarà anche perché, dico io, di secondo nome si chiama Esther, the Morning Star o stella del mattino.


28 maggio 2015

Mongolfiere colme d'affetto

Oltre che persone, i figli sono eventi che ti riempiono d'amore fino a farti sollevare dal suolo. Le figure genitoriali, mongolfiere colme d'affetto, salgono fin quasi alle nuvole, ma senza staccare il filo che le lega a terra. Quel colmarsi risulta talvolta verbalizzabile, quantomeno in maniera approssimativa, ma il più delle volte è indicibile e si traduce in sguardi che accarezzano in silenzio la prole.

I figli sono persone e saranno loro le nuove mongolfiere, colme dell'amore ricevuto e di quello generato. Il filo che le lega a terra sarà nuovo, il nostro sarà già stato tagliato. Non è dato sapere se ci s'incontrerà in volo o di nuovo a terra.

Questo o quel colmarsi è intermittente e si alterna a brevi intensi scoramenti ogniqualvolta si percepisce la propria impotenza a garantire in ogni momento serenità assoluta o addirittura felicità ai frutti dei propri lombi, cosa impossibile perché altrimenti non sarebbe vita autentica. L'intermittenza è dunque una corrente alternata di pieni e vuoti, di positivo e negativo, di colmarsi e svuotarsi, ma funzionano così anche il pulsare che ci tiene in vita e il respiro.

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bonus e auguri di buon compleanno al mio Lorenzo: Talk Talk, Spirit of Eden (album completo, 1988)

05 maggio 2015

Nuovo esercizio di traduzione

Ecco un twit intraducibile di Bill Murray*:
The amount of people who mix up “to” and “too” is amazing two me.
Leggendolo ad alta voce e trascurando la grafia, significa: "La quantità di gente che confonde "to" e "too" è sbalorditiva per me."
Tuttavia è intraducibile perché il gioco di parole si basa su un'assonanza inesistente in italiano, quella tra "to" (a), "too" (anche) e "two" (due), il cui utilizzo improprio dà origine allo scarto umoristico.

Ho provato dunque a creare un adattamento, stando sempre nei 140 caratteri di twitter, anzi, in meno:
La quantità di gente che non sa quando usare a con l'acca ah dell'incredibile.
Che ne dici? Altre idee?


* in realtà la battuta non è di Bill Murray, ma di qualcun altro, visto che la pagina è una parodia e non appartiene al famoso attore statunitense.

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bonus: Holly Golightly & The Greenhornes, There Is An End


a cura di Giulio Pianese

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