05 settembre 2015

A occhi aperti

Il piacere captato dalla realtà circostante o dal sottomondo intrecciato negli anfratti dell'indicibile si amplifica se riesci a raccontarlo, e condividerlo vuol dire questo, in special modo se le distanze impediscono di puntare occhi e spirito verso un medesimo panorama di multisensazioni.

Per questo, anche per questo, cerchi di raccontare i sogni, ma non tutti i sogni sono fatti per essere raccontati. Non certo per pudore, piuttosto per la mancanza di fili logici che riescano a tenere insieme il tutto. Quel tutto che un racconto, per l'appunto, saprebbe tenere insieme, restituendo o donando un senso a tante indifferenti singole casualità (dal caso alla causalità, ecco un percorso che si nutre di verbalizzazioni).

Sogni, sogni ne fai, ma non sai se ne hai. Quando ti chiedono qual sia il tuo sogno, un sogno qualsiasi, non ti affiorano risposte. Ti pare vada bene così, magari aggiustando un po' le cose, migliorandole e migliorandoti, ma non sapresti, non sai andare oltre un trittico di desideri a ogni plenilunio, con uno sguardo che rimane corto, nel bene e nel male.
Sogni a occhi aperti, però, sì, quelli li hai sempre fatti e, sebbene confinati a parziali e intense felicità, seguitano a risbocciare vivissimi, identici e diversissimi, schiudendosi al sorriso armonioso di un benessere condiviso.

Il piacere captato nei sogni a occhi aperti si mescola con quello captato dagli occhi in panorami da sogno. Anche in varianti inattese, come quella volta di un tardo pomeriggio sul confine tra Trentino e Alto Adige.

Ero partito con l'animo contrariato, perché l'iniziale richiesta di mia figlia per un passaggio preserale fino a Varena (3 paesi più in su di Castello di Fiemme) si era trasformata all'ultimo minuto in Malga Varena, che si trova oltre il passo Lavazè. Luogo stupendo e tra i miei preferiti, ma proprio quel giorno avevo declinato un invito ad andarci di pomeriggio, troppo lo sbattimento per così poco tempo, e così avevo lasciato che fossero mia sorella e un paio di amici a beccarsi l'acquazzone, mentre passavo qualche ora al computer a sistemare i testi per il sito web di un albergo (che prossimamente sarà on-line...).

Poi, raggiunta la destinazione poco prima del tramonto e lasciata giù la Caju, anziché ritornare subito proseguii fino agli Oclini e mi fermai a far spaziare lo sguardo. Il cielo era cupo, ma luce forte filtrava qua e là, agli orli delle numerose nuvole. In piedi tra Corno Nero e Corno Bianco, osservavo il Latemar in una colorazione inedita, scurissima e quasi violacea. Anche tutto il resto, a 360 gradi, restituiva immagini per me inconsuete, aduso come sono a godermi di lassù gli splendori di giornate climaticamente favorevolissime.

Avrei voluto fotografarlo, quel paesaggio, ma non ne avevo i mezzi né, in ogni caso, le capacità per renderlo in maniera soddisfacente. Il bisogno di ritrarlo fu soddisfatto grazie a una telefonata, giunta alle orecchie di uno sguardo capace di cogliere immagini dalle parole, e gustandole di sorridermi un sorriso celeste punteggiato di lentiggini tra boccoli di grano. E ancora una volta, la condivisione raddoppiò il piacere.

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bonus: Sam Cooke, I'll Come Running Back To You

2 commenti:

Grazie per aver letto le mie parole, sarò lieto di leggere le tue.



a cura di Giulio Pianese

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