30 agosto 2011

Passo dopo passo

Un giorno camminavo e pensavo a quel che avevo addosso: la maglietta faceva parte di uno stock dismesso, anzi mai messo, da mio cognato; i pantaloni erano il lascito del papà di una persona assai cara, come pure il maglione; il cappellino era in prestito, giacché il mio l'avevo perduto in una ricevitoria; il cellulare era di un'amica che non lo usava più, essendo il mio andato in frantumi nell'urto con un tavolino a un aperitivo di nozze; lo zaino arancione, uno splendido regalo; anche il marsupio mi era stato regalato, dai miei figli; le scarpe, da mio padre; insomma, solo le mutande le avevo comprate io, al mercato rionale.
Ebbene, quel giorno camminavo e mi sentivo leggero. Povero, sì, ma leggero e sorridente. Le condizioni migliori per camminare, a pensarci. Quel giorno, come pure altri giorni, le salite non mi sono pesate, anzi m'hanno soddisfatto e gratificato. Sudare le sette magliette diventa bello se l'occhio può spaziare, se il respiro può espandersi, se il cielo s'avvicina e questo è capitato più volte. Più volte la gioia dell'immensità d'intorno era incontenibile per il torace da cui pulsava per uscire, vorace del canto del sole sulle rocce, suoni misteriosi nell'apparente silenzio. Momenti belli, ancor più se riesci a condividerli con il sangue del tuo sangue.

25 luglio 2011

Onda su onda

Quella volta che dalla Sardegna tornai in aereo fu un trauma. Non me ne resi conto immediatamente, ma il distacco era stato troppo netto, troppo brusca la disparità climatica e cromatica. S'era in settembre, sul finire del secolo scorso, e per colmo di effetto speciale al contrario, a Milano trovammo la nebbia; la nebbia d'estate, senza nemmeno nessuno con cui protestare. (La nebbia d'estate l'avevo già vista a Agadir, incredulo nonostante mi avessero preavvertito -- e no, non avevo mica creduto a Bogart e compagnia bella, e invece).
Comunque, tornare da un posto così, come l'isola magica, tutto d'un tratto, non fa per me. Mi ci vuole più tempo, più gradualità, mi ci vuole il traghetto. Difatti, quella volta dell'aereo, piombai in una sorta di sottile abbacchiamento, un'esitazione ad accettare la realtà, un rifiuto ad abbracciare il grigiore del cielo di quei giorni dopo aver sbrigliato tanto a lungo e tanto in largo lo sguardo in cromie profumate, i sensi in sapori e spensieri, le energie in allegre delizie e feconde.
Dicono del mal di Sardegna, e sarà anche per quello, ma dev'essere soprattutto perché non ci so fare coi distacchi. Quella cosa per cui a una festa o anche in una serata qualsiasi vuoi essere sempre l'ultimo ad andartene, quella cosa per cui in nave stai ancora a lungo a poppa quando ormai la riva è lontana e invisibile all'occhio, quella cosa per cui ti restano attaccati lembi di cuore ai ricordi come pezzi di labbro alla sigaretta tenuta lì troppo a lungo.
Non ci so fare coi distacchi, sebbene mi ridica che "ogni distacco va considerato come un trampolino". Mi viene meglio tenere tesi e vivi i fili del sentire, anche a distanza di tempo e di spazio, mi viene meglio tenere in bocca e negli occhi aromi e colori e sorridere per averne goduto, per esserci stato. E solo poi, da quel sorriso, strizzare l'occhio ai gabbiani che accompagnano il navigare, senza capire se siano sempre gli stessi, eleganti angeli muti, a disegnar volteggi come inviti al futuro.

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Musica: "Che colori hai negli occhi?" "Eh, verde smeraldo."

14 luglio 2011

Tradurre è un giardino di mestieri che si biforcano

Un esempio di intraducibilità lo si trova spesso nelle battute, ancor più di frequente nelle vignette o strisce comiche, come questa:


- Show me a philosopher leading a funeral procession...
- And I'll show you a guy who puts Descartes before the hearse.


Letteralmente, i due personaggi dicono:
"Mostrami un filosofo in testa a un funerale..."
"E ti mostrerò un tizio che mette Cartesio davanti al carro funebre."

Il fatto è che Descartes (Cartesio) in inglese suona più o meno come "the cart" (il carro), mentre "the hearse" (il carro funebre) richiama "the horse" (il cavallo). Sapendo che "to put the cart before the horse" equivale al nostro "mettere il carro davanti ai buoi", ecco che si svela il gioco di parole.

Ora dimmi: sarebbe stato possibile tradurlo o renderlo con un meccanismo umoristico equivalente? Come?

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Precedenti: Esercizio di traduzione uno e due

08 luglio 2011

Il cielo poi alla fine non cade mai

Un vero e proprio lavacro, a ripensarci. Forse una nuvola impazzita o chissà che, da su di botto scarica un temporalone battente*, non s'accontenta e rinforza con grandine, grossa, a picchiare su vetri e metalli; precari anfibi su ruote sollevano giochi d'acqua sui percorsi allagati mentre si procede verso il sole; tempo da arcobaleni, ma nisba, però i colori sono comunque più belli all'uscita da quell'autolavaggio celeste e non importa se poi i piedi si bagnano, non importa se niente di grosso è cambiato, perché basta un po' d'acqualuce nuova per sbattezzarsi e ribattezzarsi, un raggio di voce per risorridere al mondo un momento, anche senza l'arcobaleno, benché con l'arcobaleno sia meglio, si sa.

*stavo per scrivere in automatico "battente bandiera liberiana".

07 luglio 2011

Se per caso un giorno o l'altro

Che corricchiare e non correre sia il verbo giusto l'ho verificato anche oggi, quando due tizi mi hanno superato scheggiando via in scioltezza senza smettere di chiacchierare tra loro. Per la cronaca, non ho ceduto alla tentazione di forzare e ho mantenuto l'andatura. D'altronde la mia bravura era già stata un'altra: trovare la determinazione, nel pressante marasma lavorativo, di staccare per andarmi a concedere mezz'ora di sudore, non in dolce compagnia o amoroso convivio, ma in solitario.
Oddio, solitario per modo di dire, visto che sono perfino passato in mezzo a una caccia al tesoro, sorridendo alla ciurma che mi chiedeva invano delle dritte (dov'è una grossa scacchiera qui nel parco?), per non parlare dei pensieri che porto nel cuore e degli occhi tuttora intrisi di antico stupore. Se ero solo, lo ero col mondo intorno.

05 luglio 2011

Ma non ci dorme più nessuno

Se leggo Consonno, ancora oggi penso a una delle due linee urbane di Seregno, la numero 3, che taglia la cittadina da sud a nord e che all'epoca mia prendeva il nome dai due capolinea "Stadio-Consonno" (l'altra è la numero 1, "Dosso-Ceredo", mentre la 2 non è mai pervenuta).

Ora, mentre ammazzo zanzare usando le mani come piatti bandistici, il ricordo s'ingarbuglia perché riaffiorano visioni e sensazioni di viaggi quotidiani al ritorno dalla Terza Scuola Media (vicino allo Stadio) fino a via Montello (verso il Dosso), su un autobus che presumibilmente seguiva un percorso ad hoc per noi scolari, impegnati per l'intero tragitto in goffi animaleschi approcci esplorativi col genere complementare, rappresentato dalle nostre già sviluppate compagne di classe. Un ben di dio cui non si sapeva bene come attingere, in un bailamme tra finta ritrosia e allegra connivenza da zona franca itinerante, che iniziava e cessava quotidianamente in quel percorso d'autobus.

Consonno, scopro invece dopo qualche decennio, non è solo un quartiere seregnese, ma un'ex località dell'alta Brianza: una cittadella fantasma, frazione di Olginate in provincia di Lecco, dalla storia quasi incredibile, oscillante tra farsesca amarezza e tragedia grottesca, come racconta con parole e immagini il bell'articolo del blog Bizzarro Bazar, che rimanda anche al sito sulla storia di Consonno.

19 giugno 2011

Al parco, al parco!

Oggi ho risposto al richiamo della giornata che urla di azzurro e sole e sono tornato a corricchiare al parco Nord dopo oltre un anno.
Così, come se tutto fosse.

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Bonus musicale: Everybody's Gotta Learn Sometime interpetata da Beck, canzone ipnotica da un film la cui parola chiave per me è "intimità".

16 giugno 2011

Kiss

Leggo del tempo e delle attese, leggo del pensiero nel respiro, riascolto rasentando il pericolo del cuore sullo strapiombo, mi si apre la bocca, esce la nota, forte, un po' rauca ma deve uscire, deve riaprirsi tutto l'ansimare dopo il troppo annegarsi, e pazienza se insieme alla determinazione escono da sole le lacrime, sono lacrime di perdono, di superamento dell'angoscia, soprattutto di quella ricusata, ed è a quel punto che mi viene in mente che oggi è un anno, un anno dallo stop delle radioterapie, un anno dal sollievo, ma non dall'abbandono del dolore, quello fisico del napalm in gola, quello più intimo e legato al desiderio e ai sogni infranti, non meno devastante seppur prolungato fino all'agonia, comunque non importa l'anniversario, importa quel che sa fare la musica, come sappia sempre scardinare tutto quanto, anche le difese che non si credeva di avere allestito, le armature che si vedono più facilmente osservando gli altri che non sé stessi, la musica che è magica e terribile e dolce e tremenda, la musica che vuole e deve risuonare dentro e fuori e anche a metà strada tra noi e gli altri, la musica che è vibrazione vitale anche quando ti scaraventa in aria senza essere lì a riprenderti quando cadrai, la musica che voglio riabbracciare, presto o anche non presto, per come sarò o non sarò capace, perché ricominci a colorarmi l'anima dei toni iridescenti che tanto mi piacciono, affinché l'incanto parta da dentro ancor prima che dalle meraviglie donate dagli inesauribili incontri del vivere.

10 giugno 2011

Tra pelle e spirito

Sonno, non ti ruberò campo per scrivere, lascerò sia tu a masterizzarmi il verbo di quel che non s'afferra. Corpo, comprimerò di schianto il tempo o carezzevolmente a compiacerti e accontentarti, e in notte di librato volo ti raggiungerò.

L'anima è di carne, in note di terreno ardire scandisce già l'attacco di un tacer che sa di sogno lucido. Un regno da scoprire, s'irradia un bel pulsare dal sé. Ammicca e poi svapora all'appello dell'esistere, puf. Ha il segno del tuo dire, nel muto temporale tra un trepidar di palpebre e un suo respiro, clic.

Dormo, ritroverò il tuo sonno, di remiganti sillabe tarpate. Voce risponderà allo sguardo mentre al vegliarti rivedrò il mio volto. Allora saprò del tuo e del mio sopore, oltre ogni tempo la bramosia di riallacciarci in tutti e sette i sensi.

18 maggio 2011

Vai

Guideresti, ora, o ti pensi a farlo, lungo un'autostrada con un clima soleggiato ma non troppo caldo, con una radio accesa su musica gradevole ma non tua, con intorno paesaggi non abituali ma nemmeno ignoti, le mani su un volante ubbidiente, la leva del cambio docile e poi abbandonata, un motore onesto e agile di un'auto noleggiata, dimentico delle pesantezze eppure consapevole di un semigusto che abbevera ogni respiro, di un semisorriso che condiscende a quasi ogni sguardo, di un pensiero latente che prova a riesumare quanto hai sepolto in giardino: la dinamite dei sentimenti vissuti a metà.
Vai e vai e vai, guardi bevi mangiucchi, vai, scivolando sull'essere, vai, vai, vai, ascolti e lasci vagare il sé a sospendere il fare, vai e non sai, non sai quando né se ti fermerai, vai e intanto dolce lieve giunge un'autocarezza indulgente, un incoraggiamento dell'anima a far ricircolare linfa e calore, un sussurro dal vento tra i prati a rammentarti che il cuore saprà dischiudere i suoi petali ad altri aneliti e forse, un giorno, a ciascun istante del vivere.

02 maggio 2011

Uno di questi giorni

Cosa si può dire alle persone care di un'intera vita, lontane nel tempo o nello spazio? Così scrivevo ascoltando One Of These Days di Neil Young poco più di un anno fa. Riascolto il pezzo e le parole, mi tocca e lo capisco perché so che non ci si perde, anche quando sembra che. Lo so per esperienza, e sebbene poi i successivi distacchi non siano meno dolorosi, anzi, insisto ad affermare che è bello, è umano, è meglio rimanere collegati tramite fili invisibili, elettrodi dell'anima che quando si tendono danno strappi in mezzo al torace, vicino al cuore, ma che quando trasmettono danno energia a tutto l'essere.

Il testo lo trovi qui e dice più o meno così:

Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti gli amici che ho conosciuto e proverò a ringraziarli tutti per i bei momenti passati insieme, anche se siamo cresciuti così distanti.
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti i buoni amici che ho conosciuto, uno di questi giorni, e non ci vorrà molto.
Ringrazierò quel vecchio violinista country e tutti quei ragazzotti rudi che suonano rock and roll. Non ho mai cercato di bruciare ponti, anche se so di aver trascurato alcune cose buone.
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti i buoni amici che ho conosciuto, uno di questi giorni, e non ci vorrà molto.
Da Los Angeles fino a Nashville, da New York alla mia prateria canadese, i miei amici sono sparsi qua e là come foglie di un vecchio acero. Alcuni sono deboli, altri forti.
Uno di questi giorni mi siederò a scrivere una lunga lettera a tutti i buoni amici che ho conosciuto, uno di questi giorni, e non ci vorrà molto.

28 aprile 2011

Come siamo Messi?

Da circa un decennio seguo il calcio solo saltuariamente, cosa che provoca tuttora sconcerto in chi mi conosceva prima, quando ero tifoso accanito.

Ciò detto, vi sono gioielli degni di ammirazione anche da parte degli agnostici ed è bene sottolineare comportamenti che rendono onore alla lealtà sportiva: nel filmato che s'intitola "Messi non si tuffa mai" si vede come il piccolo grande Lionel sdegni la possibilità di farsi fischiare sacrosanti falli a favore, cercando di continuare l'azione in qualsiasi condizione.

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Tra l'altro, ieri sera ha segnato un gol strepitoso, come già sottolineava lucah.

24 aprile 2011

Attraverso

Risorgere si risorge, certo, come è certo che i buchi lasciati dai chiodi continuano a vedersi e si vedono perché ci sono, perché rimangono. Non crucciartene: nonostante tutto, lo sai, è meglio, molto meglio così che non cancellare tutto appiattendo la fisarmonica dei ricordi.

Dove inizi o finisca un uovo non è dato saperlo (le risposte "culo" e "bocca" non valgono), è un'altra versione dell'ouroboros, ma intuisci che se l'eterno ritorno esiste, la ciclicità ha luogo su una spirale e non su un cerchio, per cui ogni passaggio non sarà, non potrà mai essere identico al precedente. E meno male, altrimenti dimmi tu che sfizio ci sarebbe.

Mentre ti senti e sei padre e figlio con lo spirito giusto, lascia scorrere il laser sul disco fino alle tracce invisibili, è lì che troverai le sorprese pasquali.
Che le acque si aprano a permettere un buon passaggio oggi, che un mare rosso di fazzoletti al collo si richiuda sulle malvagità domani, per dar vita a nuovi respiri fino a innescare caldi sorrisi. Buona Pasqua e buon 25 aprile.

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Gli Easter egg li trovi, per esempio, nei DVD per l'intrattenimento domestico.
L'ouroboros (detto anche: uroboro, oroborus, uroboros o uroborus) era menzionato in un romanzo di Vázquez Montalbán.
Bonus musicale: Paul Weller, You Do Something To Me

08 aprile 2011

La vita mi piace un mondo

Insieme alla tessera del cineforum mi avevano dato un libricino di presentazioni, che leggo sempre dopo aver visto il film. Stamane ho avuto la bella sorpresa di vedervi citato un post di Elena Chesta a proposito di Julia Child, alla quale sul grande schermo dà vita l'immensa Meryl Streep.
Sarà un po' infantile, ma è stato bello l'effetto di veder proiettato nel quotidiano vivere uno spicchio di vita sul web (ché il mondo delle reti relazionali come lo intendiamo qui, dicemmo e ribadiamo, non è virtuale -- e questo non è plurale maiestatico, ma sentire condiviso).

Sull'onda del sorriso scivola il ricordo e riemerge un aneddoto: un paio d'anni fa un mio amico e vecchio compagno di palco, preparando il suo matrimonio, chiese al suo attuale cantante di consigliargli un dj da ingaggiare per la festa. Lui gli indicò un certo Manlio e cercando conforto al parere rovistò su internet per qualche notizia, trovò una recensione e gliela spedì via mail. Era un mio vecchio post e la sera in cui ci presentarono ci ridemmo su tutti insieme, brindando alle coincidenze, ai cerchi, alle cerchie, ai cerchioni, e naturalmente al rock!
Il fatto è che il mondo è piccolo e la rete è grande.

A quel matrimonio, poi, fui casualmente catalizzatore di una specie di carrambata, presentando mio fratello a Elena Petulia: momenti di commossa ilarità quando venne fuori che Beppe e il padre di lei si conoscevano bene...
Gli è che il frantumarsi dei gradi di separazione mi diverte e mi fa gioire, quasi fosse una proiezione di quei lacci bianchi illuminati.

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...finché mi risucchia una galassia a spirale dritto dritto nel dna dell'universo e risbucherò fuori nel mattino del tunnel blu senza ricordare nulla tranne una fragranza di buono e bello e uno sventolio di lacci bianchi a collegare il sempreora e il tuttovoglio con un bacio dal cuore del sole di notte, attraverso l’inverno a dar calore al nuovo chiarore.

04 aprile 2011

Oggi e sempre

Non c'è foto che tenga, figlio mio. Non c'è macchina da immagini abbastanza capiente, non grandangolo sufficientemente ampio, non esiste diaframma tanto sagace né obiettivo davvero capace di catturare tutto quel che smuovi tu e che il grandanimo effonde guardagodendoti nel naturale essere.
Il cielo, il caldo, la campagna a cinque passi dal solito ristare, una passeggiata tante volte esperita e sempre diversa, stavolta di più perché, ci rendiamo conto dai colori, per la prima volta è in primavera. Si dice che il mare sia blu e invece ne conosciamo le innumerevoli sfumature: lo stesso è per il verde del prato, lo vedi, lo vediamo. Poi, poco prima di dov'era quella volta il riccio, ecco i fiori viola delle ortiche, ben frequentati da bombi golosi. L'aratura marrone del granturco e poi di nuovo l'erba, morbida, giustaccogliente per sdraiarsi in un po' d'oblio.
Una fioritura bianca da andare a veder da vicino, nuovo spettacolo in ogni singolo fiore, rami da accarezzare, boccioli da incoraggiare e la magia del guardarli da sotto in su, spillone emotivo a trafiggere in unica estasi cuore occhio e cielo. La condivisione raddoppia il piacere, ne conveniamo. E poi ti vedo partire di corsa e tuffarti nell'erbetta alta, e percepisco l'enormità di un lievitare, dietro lo sterno e fino in gola, da cuorpompante che parola non cattura, per la felicità dell'essere, effimera ed eterna per ciascun istante. Non ho di che fissare in oggetto quel momento, ma non c'è foto che tenga, figlio mio, gioia grande. Sii.

01 aprile 2011

29 marzo 2011

Bestiaccia

Quelle d'idee sono associazioni a delinquere.
Cala la palpebra, vado a sciacquar la faccia, poi esco sul balcone dove mi trovo sempre a metà del cielo, di qua l'azzurro di là le nubi, che oggi sembrano voler seguire l'arco del sole per fargli da alabastro.
Ma cos'è 'sta sonnolenza, cos'è questo languore, sarà l'età o la primavera, sto per chiedermi, quando mi ricordo della maledetta zanzara che alle 4.55 m'ha svegliato per sempre, riaddormicchiarmi non vale come vero riposo, specialmente se il naso chiuso da presumibile allergia al cloro impedisce una soave respirazione. E va be', insomma, cosa vuoi che sia una zanzara, dove può portarti una luce accesa nel cuor del buio per darle la caccia... è che le associazioni d'idee son malandrine e insinuano lo struggimento dove la stanchezza lascia varchi.
Dunque non resta che scoprire un pezzo da ascoltare e lasciare che il pensiero vaghi attorno a formule di desiderio, tipo questa, magari: "Fammi fermare il tempo, fammi andare avanti e indietro nel tempo, a piacimento. Fammi fermare dove mi è piaciuto stare. Fammi restare lì per sempre. Per sempre."
Che poi so già che non accetterei, che vivere voglio vivere davvero, voglio, e per vivere davvero si va avanti e fino in fondo, si va, però... ma è tutta colpa delle associazioni d'idee, maledetta zanzara, e di un letto semivuoto.

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Ribadisco anche qui l'attribuzione precisando che la formula presa a prestito è di Flounder.

25 marzo 2011

Bi-sogno

La voce deve riposare, l'orecchio no. Voglio musica, quella delle note e quella delle voci, quella dei sorrisi e delle domande, dei racconti e dei respiri. Ubriaco di sonno per le ore mancate, ebbro di acquazzoni salati per le vite svaporate, cerco carezze nell'aria e sono fatte di parole. O di ricordi. Parole e silenzi, lontananze e assenze. Scambi che colmano gli istanti e scolorano poi nello straniamento. Strani intrecci e pulsanti emozioni. Numeri e dadi. Lanci condivisi, slanci frustrati. Inchiostri di condizionali e di futuri negati, mancanze liquide capaci di riempirti fino all'implosione, tracciati geroglifici sul palmo di una mano. Il sentire passa dai polpastrelli, l'elettricità si avrà al contatto e solo allora la malinconia saprà farsi accarezzare via, almeno per un po', almeno per un po'. Devo appassionarmi di me. Universo, fammi le fusa, non sarà uno spreco.

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Bonus: Carlos Gardel, El día que me quieras

23 marzo 2011

Di lei ci vivrei

Ieri era la giornata dell'acqua, ma voglio parlare dell'aria.
Di nuovo è il tempo in cui stendere il bucato fuori è non solo efficace, ma gradevole: affidi i panni all'aria e l'apertura sua te li profuma. La brezza soffia lieve, ma scompiglia e pare ebbrezza, strafatta di cromie che adescano la pelle. Seppure spalancato, l'occhio coglie l'invisibile e con respiro grato dice "vivo", ché è bene ricordarselo di quando in quando.
Di quando in quando è bene ricordarsi di quel che c'è e si dà per scontato. L'aria te lo insegna: magari non la calcoli, poi annaspi alla prima apnea. In verità, da queste parti, geopoliticamente parlando, s'annaspa tutto l'anno: la città e il suo hinterland sono fatti per la venerazione delle automobili, mai messe in discussione a favore dei portatori di polmoni.
Polmoni cercansi: polmoni rosa per scambi aerei senza bombardamenti, polmoni verdi per cittadini verdi di bile al semaforo rosso, polmoni d'acciaio per spasimanti dispnoici, polmoni pulsanti d'alacrità, polmoni allargati per chi agli spasmi caotici del quotidiano andirivieni fa ciao con la manina, almeno ogni tanto, per abbracciare il vento fino a scarmigliarsi il vivere.

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Bonus musicale: Strade parallele (Aria siciliana) - Giuni Russo e Franco Battiato

P.S.: dell'acqua ha parlato ieri in tutti i sensi Mitì, cui oggi vanno gli auguri di buon compleblog.


a cura di Giulio Pianese

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