Sulla neve ci vado di rado ma sempre di buon grado. Di rado davvero: una dozzina di volte in una decina d'anni. Sugli sci ci andavo da bambino in Trentino, poi ho interrotto per lustri e lustri e lustri, fino a quando li ho riagganciati agli scarponi per accompagnare i miei figli sulle piste. In verità, sono più loro ad accompagnare me, visto il divario tra i miei limiti e la loro abilità, acquisita fin da subito.
In questo mese ci sono stato due volte: la prima in una splendida quanto inattesa giornata di sole con tanto di famiglia riunita per l'occasione; la seconda solo io e i pargoli, pronti a sfidare le intemperie annunciate dai bollettini meteo e dal cielo, che invece poi ci ha graziati, consentendoci di godere molte ore di discese.
Un amico che incontro per lo più a tavola dal nostro anfitrione Masciu e che spesso motteggia tra le molte pietanze e libagioni, una volta ebbe a dire: "Tra tutti gli abitanti della Terra ci sono 6 gradi di separazione. Per Zu, sono 3."
Ai Piani di Bobbio, meta di queste recenti gite sciistiche, ho prenotato un'ora di lezione con un maestro della locale scuola sci. Chiacchierandoci mentre salivamo in seggiovia, mi è tornato in mente quel motteggio e la sua dose di verità nel momento in cui ci siamo resi conto di esserci già visti, più di quarant'anni fa, quando io ero piccolino piccolino e lui, Massimo S., era scolaro di mia mamma. Da lì in poi, la lezione è stata ancor più divertente, oltre che proficua. Vado sulle rosse senza ansie né paure.
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bonus: Pentangle, Will the Circle Be Unbroken
31 marzo 2015
20 marzo 2015
Disco d'ombra
All'eclisse ho dedicato solo uno sguardo fugace, brevissimo, perché non ero attrezzato (ho usato una radiografia), ma la bellezza che m'ha strappato un "ooh" di meraviglia s'era già manifestata prima, per strada, mentre tornavo dalla ferramenta che aveva esaurito le lastre da saldatore ch'ero andato a cercare così tardivamente. Ero quasi giunto al portone quando ho sollevato un istante lo sguardo e, grazie allo schermo delle nuvole, ho potuto intravedere il disco nero dell'ombra lunare proiettata di sbieco su un sole che in quel momento, per fortuna, risultava assai pallido.
Se tento di risalire alle esperienze precedenti in tema di eclissi, scopro una memoria zoppicante: ho in mente l'immagine del cielo stellato in pieno giorno, uno stupendo brulicare delicato e transitorio di gioielli rilucenti, ma la ricordo come fosse il video d'un'altra vita, come il ricordo di un ricordo.
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bonus: Mano Negra, Salga La Luna
Se tento di risalire alle esperienze precedenti in tema di eclissi, scopro una memoria zoppicante: ho in mente l'immagine del cielo stellato in pieno giorno, uno stupendo brulicare delicato e transitorio di gioielli rilucenti, ma la ricordo come fosse il video d'un'altra vita, come il ricordo di un ricordo.
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bonus: Mano Negra, Salga La Luna
15 marzo 2015
La scardinatrice
In un pezzo di film visto mentre mangiavo il risotto in un pranzo solitario e tardivo, dopo una corsetta e una doccia parimenti tonificanti, un tizio ha un'epifania grazie al riascolto di una sonata classica. La musica lo scuote e scardinandolo contribuisce alla sua salvezza nell'umana dimensione.
Più volte ho rimarcato la potenza dispiegata dalla musica nel disarticolarci scassinando qualsiasi tenuta, nello sgusciarci lasciando a nudo l'ovale emotivo, nel disarmarci rendendoci però più forti e d'una forza più vera.
Un recente esempio è stato al funerale di zia Giulia, all'inizio del mese scorso. A un certo punto, mentre si apprestavano a issare la bara all'altezza del loculo, mia sorella mi ha bisbigliato una proposta: "Cantiamo Amazing Grace?" Le ho chiesto di accennarmi la melodia e, fermando mia nipote che già stava armeggiando col cell per cercare il testo on-line, ho acconsentito purché la modulassimo senza parole. Eravamo lì tutti e quattro, fratelli e sorelle, cosa che non capita più molto spesso. Al nostro canto muto si è unita almeno una mia nipote, che a un certo punto faceva anche la doppia voce. Era bello, si sentiva una forza promanare da non so dove, anche quando qui e là una o l'altra voce veniva a mancare, sopraffatta dall'emozione.
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Bonus: Amazing Grace
Più volte ho rimarcato la potenza dispiegata dalla musica nel disarticolarci scassinando qualsiasi tenuta, nello sgusciarci lasciando a nudo l'ovale emotivo, nel disarmarci rendendoci però più forti e d'una forza più vera.
Un recente esempio è stato al funerale di zia Giulia, all'inizio del mese scorso. A un certo punto, mentre si apprestavano a issare la bara all'altezza del loculo, mia sorella mi ha bisbigliato una proposta: "Cantiamo Amazing Grace?" Le ho chiesto di accennarmi la melodia e, fermando mia nipote che già stava armeggiando col cell per cercare il testo on-line, ho acconsentito purché la modulassimo senza parole. Eravamo lì tutti e quattro, fratelli e sorelle, cosa che non capita più molto spesso. Al nostro canto muto si è unita almeno una mia nipote, che a un certo punto faceva anche la doppia voce. Era bello, si sentiva una forza promanare da non so dove, anche quando qui e là una o l'altra voce veniva a mancare, sopraffatta dall'emozione.
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Bonus: Amazing Grace
13 marzo 2015
Parola
Alice Avallone mi ha fatto quattro domandine per il suo progetto Digitatack, dove abbina parole a storie creative. La parola che ha scelto per me è Parola.
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Alice la conobbi ch'era pischella, più di dieci anni fa, ma già allora mi fece una piccola intervista in quel di Asti.
In onore della sua città, il bonus oggi è: Sparring Partner, di Paolo Conte.
Qual è stata la prima parola in assoluto di cui ti sei innamorato?
Probabilmente qualche nome femminile. E anche per il resto, il valore affettivo delle parole dipendeva dai loro legame con la realtà. Di certo, una di quelle che pronunciavo di più tra l’infanzia e il primouso della favella era “ancòa”, quando chiedevo a mia nonna di rileggermi per l’ennesima volta la fiaba di turno, che conoscevo a memoria e che perciò doveva essere raccontata per filo e per segno, senza salti né scorciatoie.
Che cosa raccogli sul tuo blog Verba Manent?
Un po’ racconto il mio vivere; talvolta riconfeziono scatole di ricordi; in alcuni casi mi avventuro in equilibrio precario al confine con l’indicibile, nella zona in cui ogni verbalizzazione riuscita significa un insieme di sensazioni catturate alla consapevolezza e alla memoria.
È possibile insegnare a usare bene le parole?
Credo sia possibile aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di usarle.
Quali sono le parole più importanti per te in questo periodo della vita?
Respiro, condivisione, trasmettere, ascolto, vivere, ricordo/memoria, tango, musica, abbraccio.
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Alice la conobbi ch'era pischella, più di dieci anni fa, ma già allora mi fece una piccola intervista in quel di Asti.
In onore della sua città, il bonus oggi è: Sparring Partner, di Paolo Conte.
28 febbraio 2015
Una frase preziosa
Ero in sala d'attesa per un esame di controllo, poi andato bene, e al telefono raccontavo che subito dopo sarei partito per la Romagna perché era morta zia Giulia. Mi sembrava strano e non vero, come d'altronde mi sembra ancora adesso mentre lo scrivo, ma a parlarne la voce di quando in quando mi si strozzava. Alla domanda "Come ti senti?" risposi: "Eh, è un pezzo di me che se ne va."
La zia Giulia, bisogna sapere, non ha mai avuto figli e quando eravamo piccoli è stata spesso a lungo con noi. Nutriva per noi quattro nipotini un affetto forte e profondo e ce lo ammanniva miscelato con un piglio severo ma giusto, mai contestato perché coerente e chiaro. Lei e zio Aldo sono sempre state per noi figure carissime e la loro rara presenza contemporanea un motivo di festa in sé.
Parlando di un pezzo di me che se ne va, pensavo alla condivisione di antiche atmosfere nelle memorie di una persona che ti ha conosciuto e voluto bene fin dai primi vagiti. A quel punto, però, l'empatica amica con cui discorrevo mi ha regalato una frase preziosa: "Non è un pezzo di te che se ne va, è un pezzo di lei che rimane in te."
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bonus: Joni Mitchell, The Circle Game
La zia Giulia, bisogna sapere, non ha mai avuto figli e quando eravamo piccoli è stata spesso a lungo con noi. Nutriva per noi quattro nipotini un affetto forte e profondo e ce lo ammanniva miscelato con un piglio severo ma giusto, mai contestato perché coerente e chiaro. Lei e zio Aldo sono sempre state per noi figure carissime e la loro rara presenza contemporanea un motivo di festa in sé.
Parlando di un pezzo di me che se ne va, pensavo alla condivisione di antiche atmosfere nelle memorie di una persona che ti ha conosciuto e voluto bene fin dai primi vagiti. A quel punto, però, l'empatica amica con cui discorrevo mi ha regalato una frase preziosa: "Non è un pezzo di te che se ne va, è un pezzo di lei che rimane in te."
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bonus: Joni Mitchell, The Circle Game
27 febbraio 2015
Giro di
Quant'è bello condividere la soddisfazione incredula di quando a lezione un passo nuovo riesce quasi subito. Quando poi, prima o poi, riuscirai a eseguirlo davvero dentro la musica, dipingendola un pochino, almeno un pochino; quando riuscirai, con qualche tratto da amatore, ché non si parla di vere pennellate, a godertelo appieno, ecco che sentirai, e condividerai, un clic che è quasi un flash, un sentimento da cui alla fine scaturirà un sorriso complice di approvazione reciproca. Eh, perché un tango è quasi sempre meno di un giro di pista, ma qualche volta, o forse spesso, è meglio di un giro di giostra.
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bonus: Fuimos, orchestra di Osvaldo Pugliese, canta Roberto Chanel
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bonus: Fuimos, orchestra di Osvaldo Pugliese, canta Roberto Chanel
25 febbraio 2015
Passi croccanti
Correndo ripasso sul tratto di sentiero che poche settimane o forse pochi giorni fa era parzialmente coperto di neve, poso il piede dove c'era quel ghiaccio croccante capace d'insaporire il ritmo dei passi incalzanti e del respiro affannato, poso il piede e ora c'è terra umida, erba e fango. Passo e penso che la terra beve e assorbe tutto, compreso il seme schizzato sul pavimento e il detersivo occorso per lavarlo, corro e penso che la Terra beve e poi risputa tutto nell'atmosfera e di nuovo beve e riassorbe, spugna del suo vissuto, spugna del nostro piccolo vivere e dei nostri grandi ricordi. Gira e beve, e sputa e respira, gira e un po' sospira.
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bonus: Sharon Jones and the Dap Kings, This Land is Your Land
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bonus: Sharon Jones and the Dap Kings, This Land is Your Land
20 febbraio 2015
Invece di
Probabilmente sono spesso troppo ottimista o troppo ingenuo, ma la consapevolezza di ciò non mi conduce ad atteggiamenti cinici, anche laddove sta in agguato la rassegnazione, pronta a divorare come un contagio le energie fattive.
Certo le immediate conseguenze di un atteggiamento oltremodo fiducioso comprendono talvolta un certo carico di incazzature per le esagerate discrepanze tra aspettative e realtà, più di rado qualche delusione, ma più spesso succede che da apertura nasca apertura, che sorriso coltivi sorriso, che un gesto gentile innaffi fiori futuri.
Perfino in contesti improbabili, decisamente improbabili, come in quell'assemblea condominiale in cui mi sentii pronunciare un discorso conciliante e questa conclusione: "Non siamo millesimi, siamo esseri umani."
Insomma, come dice la canzone ascoltabile dal bonus sottostante: invece di sentirti triste, lasciati entrare il sole nel cuore.
P.S.: a proposito di contesti improbabili, vedi anche l'ormai antico post: Frasi da ascensore.
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bonus: Madeleine Peyroux, Instead
Certo le immediate conseguenze di un atteggiamento oltremodo fiducioso comprendono talvolta un certo carico di incazzature per le esagerate discrepanze tra aspettative e realtà, più di rado qualche delusione, ma più spesso succede che da apertura nasca apertura, che sorriso coltivi sorriso, che un gesto gentile innaffi fiori futuri.
Perfino in contesti improbabili, decisamente improbabili, come in quell'assemblea condominiale in cui mi sentii pronunciare un discorso conciliante e questa conclusione: "Non siamo millesimi, siamo esseri umani."
Insomma, come dice la canzone ascoltabile dal bonus sottostante: invece di sentirti triste, lasciati entrare il sole nel cuore.
P.S.: a proposito di contesti improbabili, vedi anche l'ormai antico post: Frasi da ascensore.
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bonus: Madeleine Peyroux, Instead
31 gennaio 2015
Un pezzettino di sé
Era un giorno di sole di un weekend di gennaio, ero solo ad aggirarmi tra lapidi e tombe nel cimitero di Galeata. Un po' mandavo saluti e sorrisi agli antenati, un po' cercavo di abbracciare con lo sguardo tre torri contemporaneamente: quella campanaria della chiesa in centro, quella medievale del palazzo del Podestà e il campanile a vela della chiesetta della Madonna dell'Umiltà. Quest'ultima era particolarmente cara alla mia nonnina e di tanto in tanto vado ad accenderle un cero, non da credente ma perché so che le avrebbe fatto più piacere di un mazzo di fiori. Comunque, mi trovavo in quel cimitero che è per me un posto speciale: oltre a essere del mio paese natale, è il luogo in cui vorrei essere sepolto quando verrà il momento, sia per un senso di compiutezza, sia perché mi piace un sacco, circondato com'è dalla vista delle colline che inconsapevolmente disegnavo da piccolo.
A un certo punto, con gli occhi tesi a sbirciare tra gli alberi nel tentativo di abbraccio architettonico descritto sopra, sono stato preso da una sorta di euforia malinconica, una coincidenza degli opposti capace di comprendere pienezza e perdita, il tutto mentre canticchiavo un motivo degli anni ottanta che allude al distacco e alla parcellizzazione modulando leggiadro: "Ogni volta che te ne vai, porti con te un pezzo di me". In effetti, pensavo, è proprio quel che succede quando muore qualcuno che ci conosceva: un pezzetto di noi se ne va. Inoltre, pensavo, in parte vale anche per i vivi, quando ci si separa proprio.
Poi, per sorte di quell'euforia malinconica di cui dicevo, m'è venuto di sentire come e quanto tale parcellizzazione sia anche una moltiplicazione. Una moltiplicazione dei riflessi, delle sfaccettature, come su una superficie d'acque mosse da piccole onde. Dalle piccole onde alle Ondine ci passa una bracciata di credulità, ma il mare del vivere si droga di soprannaturale e chi lo coglierà dentro di sé sarà fuori di sé dalla gioia, incontenibile come un'effusione di bolle più leggere dell'aria, che un attimo prima di scoppiare avranno rispecchiato le luci e i colori del mondo insieme al sorriso inebetito alimentato da un flusso che dalle piante dei piedi piantati a terra attraversando vertebre midollo carni e fluidi vari sgorgherà nel respiro d'un abbraccio allargato alla meraviglia e il bimbo sarà zuppo di gaudio per quell'unico istante in cui le tre torri si sono lasciate sfiorare dallo sguardo e dal sole, appena in tempo prima delle nuvole e dell'imminente partenza.
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bonus: Paul Young, Every time you go away
A un certo punto, con gli occhi tesi a sbirciare tra gli alberi nel tentativo di abbraccio architettonico descritto sopra, sono stato preso da una sorta di euforia malinconica, una coincidenza degli opposti capace di comprendere pienezza e perdita, il tutto mentre canticchiavo un motivo degli anni ottanta che allude al distacco e alla parcellizzazione modulando leggiadro: "Ogni volta che te ne vai, porti con te un pezzo di me". In effetti, pensavo, è proprio quel che succede quando muore qualcuno che ci conosceva: un pezzetto di noi se ne va. Inoltre, pensavo, in parte vale anche per i vivi, quando ci si separa proprio.
Poi, per sorte di quell'euforia malinconica di cui dicevo, m'è venuto di sentire come e quanto tale parcellizzazione sia anche una moltiplicazione. Una moltiplicazione dei riflessi, delle sfaccettature, come su una superficie d'acque mosse da piccole onde. Dalle piccole onde alle Ondine ci passa una bracciata di credulità, ma il mare del vivere si droga di soprannaturale e chi lo coglierà dentro di sé sarà fuori di sé dalla gioia, incontenibile come un'effusione di bolle più leggere dell'aria, che un attimo prima di scoppiare avranno rispecchiato le luci e i colori del mondo insieme al sorriso inebetito alimentato da un flusso che dalle piante dei piedi piantati a terra attraversando vertebre midollo carni e fluidi vari sgorgherà nel respiro d'un abbraccio allargato alla meraviglia e il bimbo sarà zuppo di gaudio per quell'unico istante in cui le tre torri si sono lasciate sfiorare dallo sguardo e dal sole, appena in tempo prima delle nuvole e dell'imminente partenza.
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bonus: Paul Young, Every time you go away
27 gennaio 2015
La memoria di internet
Grazie alla Wayback Machine, ho ritrovato una pagina scomparsa su degli scomparsi.
S'intitola "Ghosts of Auschwitz" (Fantasmi di Auschwitz) ed è più che mai appropriata, oggi come ieri (ho aggiornato anche i collegamenti del vecchio post).
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bonus: Paul Cantelon, Sunflowers - dalla colonna sonora di Everything Is Illuminated (Ogni cosa è illuminata)
S'intitola "Ghosts of Auschwitz" (Fantasmi di Auschwitz) ed è più che mai appropriata, oggi come ieri (ho aggiornato anche i collegamenti del vecchio post).
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bonus: Paul Cantelon, Sunflowers - dalla colonna sonora di Everything Is Illuminated (Ogni cosa è illuminata)
25 gennaio 2015
Ipsilon tango
Com'è stato bello ballare con la musica dal vivo. Com'è stato bello tornare al Tangoy, che prima della ristrutturazione ospitava anche le lezioni del mio maestro il martedì e che quindi sentivo molto familiare sebbene ancora non osassi frequentare la milonga del venerdì, inibito dalla soggezione.
Il ghiaccio l'avevo rotto lo scorso venticinque aprile. Conoscerai il meccanismo dell'orso che non guarda nella propria tana: si finisce per trascurare le opere d'arte della propria città se non accompagnando degli amici in visita per un occasionale giro turistico. Mi era successo per la pinacoteca di Brera nel 2008 e anni prima e tempo dopo per un sacco di altri luoghi di densa bellezza o di minuscola meraviglia.
Lo stesso meccanismo si applicò per quello che a torto o a ragione viene considerato il piccolo tempio del tango meneghino. Fu per accompagnarvi la selvadega che superai le mie inibizioni, anche se non totalmente la soggezione.
L'altra sera, invece, ero tranquillo e gaudente. Lieto di rivedere amicizie e conoscenze, contento della selezione operata dal musicalizador Peppo Del Fabbro prima e dopo l'esibizione orchestrale, entusiasta nel ritrovare tanguere già abbracciate e nello scoprire nuovi abbracci, ma soprattutto soddisfatto di poter ballare al suono della 3T Tango Orchestra: belle le scelte dei brani, belli gli arrangiamenti e le esecuzioni (a titolo di esempio, Desde el alma nella versione di Pugliese), ottima l'idea di strutturarli in tande, favorendo così la fruizione danzereccia.
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bonus: Carlos Gardel, Fumando Espero
Il ghiaccio l'avevo rotto lo scorso venticinque aprile. Conoscerai il meccanismo dell'orso che non guarda nella propria tana: si finisce per trascurare le opere d'arte della propria città se non accompagnando degli amici in visita per un occasionale giro turistico. Mi era successo per la pinacoteca di Brera nel 2008 e anni prima e tempo dopo per un sacco di altri luoghi di densa bellezza o di minuscola meraviglia.
Lo stesso meccanismo si applicò per quello che a torto o a ragione viene considerato il piccolo tempio del tango meneghino. Fu per accompagnarvi la selvadega che superai le mie inibizioni, anche se non totalmente la soggezione.
L'altra sera, invece, ero tranquillo e gaudente. Lieto di rivedere amicizie e conoscenze, contento della selezione operata dal musicalizador Peppo Del Fabbro prima e dopo l'esibizione orchestrale, entusiasta nel ritrovare tanguere già abbracciate e nello scoprire nuovi abbracci, ma soprattutto soddisfatto di poter ballare al suono della 3T Tango Orchestra: belle le scelte dei brani, belli gli arrangiamenti e le esecuzioni (a titolo di esempio, Desde el alma nella versione di Pugliese), ottima l'idea di strutturarli in tande, favorendo così la fruizione danzereccia.
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bonus: Carlos Gardel, Fumando Espero
16 gennaio 2015
Amarcord
Amarcord si pronuncia con la o chiusa e così domenica pomeriggio l'ho sentito pronunciare da mio zio Aldo (detto Botti, classe '28) mentre percorrendo un quasi inesistente sentierino costeggiavamo il "fosso", al secolo Rio Sasso, miniaffluente del Bidente in quel di Santa Sofia, quartiere Shanghai.
"Non sai da quanti anni non ci venivo!" e intanto i ricordi fluiscono nel racconto che inonda, forte come le acque di un tempo, l'ascolto delle generazioni successive, lì rappresentate da me e da mio figlio. "La mia mamma ci veniva a fare il bucato. Tutto intorno era pieno di orti, ché se piantavi due pomodori mangiavi qualcosa anche quando c'era la miseria. Ma la gente non se lo immagina mica, adesso."
In effetti, solo sentendolo con le mie orecchie vengo a sapere che "con le spuntature dei sigari si caricavano le pipe e i più poveretti andavano a raschiarne il fondo con uno stuzzicadenti, che poi infilavano in bocca per sentire il sapore della nicotina."
Ma è il fosso a farla da padrone nell'evocazione del passato più vivace: "Qui abbiamo imparato a nuotare... Quante battaglie! Avevano fatto anche una canzone." E me la canticchia e ci ridiamo su insieme mentre, riattraversata l'instabile passerella di legno, saliamo sul bel ponte di pietra. "Ah, quello che l'ha costruito non ha più mal di pancia." Ci metto un istante a capire il riferimento alla sua antichità e alla morte che porta via tutto.
C'è un sospiro d'aria sospesa, proprio quel miscuglio tra la pienezza dell'esserci stati e il pallore del futuro incerto, soprattutto quello delle persone più care. C'è un respiro, però, ed è quello dell'esserci e del poter ancora contare su qualche antidoto all'oblio.
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bonus: Pontebragas, Rumbablu
"Non sai da quanti anni non ci venivo!" e intanto i ricordi fluiscono nel racconto che inonda, forte come le acque di un tempo, l'ascolto delle generazioni successive, lì rappresentate da me e da mio figlio. "La mia mamma ci veniva a fare il bucato. Tutto intorno era pieno di orti, ché se piantavi due pomodori mangiavi qualcosa anche quando c'era la miseria. Ma la gente non se lo immagina mica, adesso."
In effetti, solo sentendolo con le mie orecchie vengo a sapere che "con le spuntature dei sigari si caricavano le pipe e i più poveretti andavano a raschiarne il fondo con uno stuzzicadenti, che poi infilavano in bocca per sentire il sapore della nicotina."
Ma è il fosso a farla da padrone nell'evocazione del passato più vivace: "Qui abbiamo imparato a nuotare... Quante battaglie! Avevano fatto anche una canzone." E me la canticchia e ci ridiamo su insieme mentre, riattraversata l'instabile passerella di legno, saliamo sul bel ponte di pietra. "Ah, quello che l'ha costruito non ha più mal di pancia." Ci metto un istante a capire il riferimento alla sua antichità e alla morte che porta via tutto.
C'è un sospiro d'aria sospesa, proprio quel miscuglio tra la pienezza dell'esserci stati e il pallore del futuro incerto, soprattutto quello delle persone più care. C'è un respiro, però, ed è quello dell'esserci e del poter ancora contare su qualche antidoto all'oblio.
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bonus: Pontebragas, Rumbablu
05 gennaio 2015
Come una rosa
Giornate d'un azzurro splendido si susseguono e le parole non potrebbero tener dietro alla meravigliosa e mutevole mise di questa nostra indispensabile atmosfera, dalla quale, col favore della rotazione terrestre, possiamo talora ammirare la vertiginosa indifferenza cosmica dell'illusoria volta celeste quando si tinge di blu notte.
Eppure, una volta ristabilite le proporzioni, vale la pena riportarsi alla minuzia puntolina del nostro vivere e goderne ogni possibile aspetto, a maggior ragione avendone appreso e ripassato il carattere transitorio.
Che la vita sia come una rosa dagli infiniti petali, benevoli nello schiudersi al momento giusto.
Che l'inevitabile malinconia s'inebri della scintillante gioia di esserci, o di esserci stati.
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bonus: Pino Daniele, Io vivo come te (1982)
Eppure, una volta ristabilite le proporzioni, vale la pena riportarsi alla minuzia puntolina del nostro vivere e goderne ogni possibile aspetto, a maggior ragione avendone appreso e ripassato il carattere transitorio.
Che la vita sia come una rosa dagli infiniti petali, benevoli nello schiudersi al momento giusto.
Che l'inevitabile malinconia s'inebri della scintillante gioia di esserci, o di esserci stati.
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bonus: Pino Daniele, Io vivo come te (1982)
31 dicembre 2014
Cinque, quattro, tre, due, uno...
Non affannarti troppo: c'è un sacco di gente, su questo stesso globo, che a quest'ora è già da un pezzo nel 2015!
La zucca nella zucca
L'ultima corsa del 2014 è stata questione di schivare sul terreno il ghiaccio o di farne scricchiolare a bella posta sotto i piedi la crosta. A dire il vero, è stata anche una mezz'ora di alterni pensieri contrastanti, per esempio sulla necessità di mangiare di meno e sul desiderio di farsi una pasta con la zucca appena rientrato, oppure sulla necessità di mettersi in pari con le incombenze incalzanti e sul desiderio di indulgere in svariate occupazioni mangiatempo, o ancora sui dubbi e sulle certezze, sui picchi e sulle bassezze, sull'interezza e sulla vita a spicchi, sul caffè da bere e sul macinarne i chicchi. Poi, per fortuna, c'è la doccia (abbastanza) calda.
30 dicembre 2014
Oh, ma... Capodanno?
Cosa fai a Capodanno è già di per sé una domanda imprecisa, perché in genere si intende chiedere notizie sui programmi dell'ultima sera dell'anno in corso. Manca ancora un sacco di tempo, ma credo di poter ipotizzare che domani sera, dopo aver cenato, a mezzanotte brinderò. Poi, magari, se per il resto della nottata si troverà ancora posto in qualche milonga, inizierò anche il 2015 a passo di tango (e di vals, e di milonga).
A proposito di propositi
La dieta non s'inizia col nuovo anno, né subito dopo l'Epifania.
Semmai, quando finiranno gli avanzi.
Semmai, quando finiranno gli avanzi.
27 dicembre 2014
Corsa, regali e giochi chirali
Non ho fatto in tempo a uscire sotto la neve, ma la mezz'ora corsa oggi mi permette di dire che finora l'unico allenamento saltato è stato quello del giorno di Natale, quando non ho voluto rinunciare né all'apertura dei regali in Bovisa alla mattina con la famigliola riunita per l'occasione, né alla convivialità della numerosa famiglia larga alle prese con attività primarie quali ingestione e digestione, tra l'incessante sequela di portate e vari giochi da tavolo atti a coinvolgere quasi tutti i commensali.
A proposito di regali: con la maglietta tecnica nera North Face Hybrid me paro diabbolik, ma tranquilli, senza chiavi non so entrare da nessuna parte e difatti ho dovuto accontentarmi di girare intorno a Villa Ghirlanda, avendone trovato i cancelli già chiusi.
A proposito di giochi: i più apprezzati in questi due giorni sono stati Taboo e Indomimando, quasi uno lo specchio dell'altro, e in entrambi i casi il maggior divertimento è stato per tutti quanti la partecipazione dei nonni.
A proposito di regali: con la maglietta tecnica nera North Face Hybrid me paro diabbolik, ma tranquilli, senza chiavi non so entrare da nessuna parte e difatti ho dovuto accontentarmi di girare intorno a Villa Ghirlanda, avendone trovato i cancelli già chiusi.
A proposito di giochi: i più apprezzati in questi due giorni sono stati Taboo e Indomimando, quasi uno lo specchio dell'altro, e in entrambi i casi il maggior divertimento è stato per tutti quanti la partecipazione dei nonni.
24 dicembre 2014
Buone feste in ogni caso
Sappiamo che c'era stato il dio Mitra, che si festeggiava il Sol Invictus, ecc. (vedi questo interessante e sintetico excursus al riguardo).
Tuttavia, volendo ammettere che domani sia il compleanno di Gesù, trovo crudele che l'iconografia, anziché rilanciare l'immagine di un bambinetto o di un saggio predicatore, prediliga il patimento di un essere inchiodato a una croce.
Insomma: tenere alla parete il crocifisso sembra normale perché prassi consolidata da una manciata di secoli, ma prova a immaginare un tifoso di calcio che appenda in cameretta il poster del suo idolo mentre si procura l'infortunio più grave della sua carriera!
I gusti sono gusti e se non mi metto a litigare con i fautori del panettone o del pandoro, figuriamoci se ci provo con i devoti. Tanto più che sono alle prese con la massima difficoltà del Natale: fare i pacchettini.
In ogni caso, dunque, buone feste.
Tuttavia, volendo ammettere che domani sia il compleanno di Gesù, trovo crudele che l'iconografia, anziché rilanciare l'immagine di un bambinetto o di un saggio predicatore, prediliga il patimento di un essere inchiodato a una croce.
Insomma: tenere alla parete il crocifisso sembra normale perché prassi consolidata da una manciata di secoli, ma prova a immaginare un tifoso di calcio che appenda in cameretta il poster del suo idolo mentre si procura l'infortunio più grave della sua carriera!
I gusti sono gusti e se non mi metto a litigare con i fautori del panettone o del pandoro, figuriamoci se ci provo con i devoti. Tanto più che sono alle prese con la massima difficoltà del Natale: fare i pacchettini.
In ogni caso, dunque, buone feste.
18 dicembre 2014
Ciak, si gira!
Ogni tanto, anzi spesso, formulo la domanda "Quand'è l'ultima volta che hai fatto una cosa per la prima volta?" e ovviamente la pongo soprattutto a me stesso. Quando capita di poter rispondere affermativamente, si tratta quasi sempre di esperienze positive, che irradiano un'aura di contentezza atta ad avvolgere, almeno per un po'.
Venerdì è stata una di quelle volte e mi sono divertito un sacco. Certo, conta anche come te le racconti le cose, e se scherzosamente le pompi un pochino, pur senza perdere la consapevolezza dimensionale della realtà, ti ritrovi ad apprezzarne gioioso l'aspetto giocoso.
Dunque, venerdì è stata una di quelle volte perché per la prima volta ho fatto l'attore. La mia amica Ganga, cantante originaria di Sri Lanka, mi ha chiesto di interpretare una piccola parte nel videoclip di una sua canzone. Non dico niente sul ruolo né sulla riuscita fintanto che non avrò visto il filmato e soprattutto il risultato del montaggio, ma al di là di quei pochi secondi di apparizione futura, so già di essermi goduto l'opportunità di passare una serata assai divertente. Divertente e gustosa, visto che era cominciata con le leccornie della cucina casalinga singalese e che si è conclusa con libagioni da Milano-da-bere: nella fattispecie un classico Negroni, carico e abbondante, a cura dei baristi del locale in cui abbiamo girato un paio di scene e che per caso (o per tirarcela, evidentemente pensando già al red carpet, ai paparazzi e agli autografi) si chiama Actors' Studios Cafè.
Venerdì è stata una di quelle volte e mi sono divertito un sacco. Certo, conta anche come te le racconti le cose, e se scherzosamente le pompi un pochino, pur senza perdere la consapevolezza dimensionale della realtà, ti ritrovi ad apprezzarne gioioso l'aspetto giocoso.
Dunque, venerdì è stata una di quelle volte perché per la prima volta ho fatto l'attore. La mia amica Ganga, cantante originaria di Sri Lanka, mi ha chiesto di interpretare una piccola parte nel videoclip di una sua canzone. Non dico niente sul ruolo né sulla riuscita fintanto che non avrò visto il filmato e soprattutto il risultato del montaggio, ma al di là di quei pochi secondi di apparizione futura, so già di essermi goduto l'opportunità di passare una serata assai divertente. Divertente e gustosa, visto che era cominciata con le leccornie della cucina casalinga singalese e che si è conclusa con libagioni da Milano-da-bere: nella fattispecie un classico Negroni, carico e abbondante, a cura dei baristi del locale in cui abbiamo girato un paio di scene e che per caso (o per tirarcela, evidentemente pensando già al red carpet, ai paparazzi e agli autografi) si chiama Actors' Studios Cafè.
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