In un pezzo di film visto mentre mangiavo il risotto in un pranzo solitario e tardivo, dopo una corsetta e una doccia parimenti tonificanti, un tizio ha un'epifania grazie al riascolto di una sonata classica. La musica lo scuote e scardinandolo contribuisce alla sua salvezza nell'umana dimensione.
Più volte ho rimarcato la potenza dispiegata dalla musica nel disarticolarci scassinando qualsiasi tenuta, nello sgusciarci lasciando a nudo l'ovale emotivo, nel disarmarci rendendoci però più forti e d'una forza più vera.
Un recente esempio è stato al funerale di zia Giulia, all'inizio del mese scorso. A un certo punto, mentre si apprestavano a issare la bara all'altezza del loculo, mia sorella mi ha bisbigliato una proposta: "Cantiamo Amazing Grace?" Le ho chiesto di accennarmi la melodia e, fermando mia nipote che già stava armeggiando col cell per cercare il testo on-line, ho acconsentito purché la modulassimo senza parole. Eravamo lì tutti e quattro, fratelli e sorelle, cosa che non capita più molto spesso. Al nostro canto muto si è unita almeno una mia nipote, che a un certo punto faceva anche la doppia voce. Era bello, si sentiva una forza promanare da non so dove, anche quando qui e là una o l'altra voce veniva a mancare, sopraffatta dall'emozione.
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Bonus: Amazing Grace
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