È stato il ventennale della morte di Frank Zappa, l'altro giorno, e non sembra. Zappa avevo cominciato ad ascoltarlo da ragazzino, alla fine degli anni settanta, grazie alle dritte dei miei amici bolzanini. Una passione che ben presto riuscii a condividere con il resto della compagnia di Seregno, fatta di adolescenti tutti attestati sul rock nelle sue varie forme, intransigenti fautori di quella che chiamavano "la nostra musica", salvo quando si trattava di organizzare una festa, unica occasione in cui ammettevamo sul giradischi del nostro seminterrato i vinili "nemici" (ossia brani di disco music che all'epoca avversavamo e che ora mi sembrano financo chicche d'un certo spessore).
Francis Vincent Zappa non smisi più d'ascoltarlo, né le sue Mothers of Invention, ma non ne facevo una nicchia da torre d'avorio, anzi: fui ben contento allorquando, sul principiare degli anni ottanta, risultò sdoganato anche presso chi era proclive ad ascolti meno impegnativi. Me ne accorsi nel momento in cui Drin, il mio compagno di banco di terza liceo, si mise a canticchiare brani da Tinseltown rebellion.
Zappa fu di tutto e di più, pure troppo: credo siano pochissimi ad avere ascoltato tutte le sue pubblicazioni. Per conto mio, m'accontento di quel che ho apprezzato finora e, seppure pronto ad accogliere altro, non sono disposto ad assumere l'atteggiamento da "completista". Semmai, rievoco singoli ricordi e qualche brano preferito, così, con un mezzo sorriso sotto i baffi: *, **, ***, ****.
06 dicembre 2013
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