L'ho sentita e sono subito andato ad aprire la finestra meglio orientata per udirla meglio. Forse sta suonando nel piazzale antistante alla chiesa, forse in una delle vie limitrofe, non so perché non la vedo. Ho però ascoltato una marcetta e un'altra poco dopo, niente di che in realtà, eppure irresistibile richiamo.
Più o meno come succedeva alla mia bisnonna romagnola, stando ai racconti di sua figlia Teresita: la Iacmèina (Giacomina), quando non era occupata a partorire, faceva la contadina; ogni volta che la banda suonava, lei si spostava dal lato del campo più vicino, contenta di quel godimento. A casa sua non c'erano la radio né altri apparecchi di riproduzione sonora, e comunque la musica sarebbe stata bandita dalla rigorosa severità dell'ottocentesco capofamiglia. Era dunque, il suo, un assaporare impreziosito dalla fame, la quale è notoriamente il miglior condimento di qualunque pietanza.
E oggi? Non è certo la penuria a indurmi il fanciullesco entusiasmo, quando basterebbero un paio di clic per avere a disposizione quasi qualunque brano di qualsivoglia genere. Sarà allora il fascino dell'esecuzione dal vivo, preziosa in quanto irripetibile; sarà la nostalgia di un passato vissuto indirettamente, come la tv attraverso la radio*; sarà il desiderio di ali che servano a volare ma che sappiano anche proteggere o accudire.
Nel frattempo, là fuori le arie più leggere sono state rimpiazzate da una marcia funebre e capisco che si è trattato di un funerale come si deve: accompagnato dalla musica e da qualche parola di apprezzamento. Un funerale quasi come quello del Marieuz (Mariuccia, la sorella maggiore di mia nonna), che ebbe l'accompagnamento della banda di Galeata che suonava la sua preferita: Romagna mia.
* questa versione è stata trasmessa l'altra sera da Ratka Piratka.
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