Scrivere il suo nome sull'argilla dei mattoni freschi non gli sembrava stupido, al momento. Era una delle tante cose fatte senza minimamente pensare alle conseguenze: interi muri battezzati Tania che solo l'intonaco avrebbe saputo proteggere da occhiate indiscrete.
A scatti il filo d'acciaio scendeva a tagliare la materia prima. Con movimenti veloci un ragazzo impilava l'ennesima grata in legno, mentre gli altri due inforcavano i forati ancora umidi e ve li poggiavano. Semilavorati pronti ad accogliere l'alfabetico vagheggiare, prima che il carrello pieno si avviasse al sole e infine alle fornaci.
Come un flashback a colori - e che colori! biondazzurro favola, zucchero di bambola - di scena ripresa da più angoli, i gesti e le parole dell'istante irreversibile si eternavano nel racconto masticato insieme a pane e mortadella. Era stato detto e confermato: in mezzo a tutti quanti, una specie di festa in una casa libera, tra conversazioni e risa, il capo che ruota e rimbalza indietro a molla, stile cartoon, occhiata sbalordita alla vista di una figura stile fumetto, sguardo da colpo di fulmine - o ebete, a seconda della condiscendenza descrittiva, bocca spalancata in una sola domanda: "E tu chi sei?"
Poi non osò nient'altro. Lasciato il capoluogo, il cuore volava ma la ragione era tornata in valle. Figurati, immaginati tu se posso aspirare a tanto. E comunque, lei è là e io sono bloccato qui. La rassegnazione non smorzava però le fantasticherie, espresse anche ad alta voce una volta fermate le macchine.
Ci volle la saggezza da barchetta di giornale, la semplicità da primitivo parasole, per riportare sulla terra e nel concreto gli arzigogoli fatti di parole e ipotesi anziché di tocchi ed epidermide. Furono le poche frasi scandite e tagliate nette come l'argilla in uscita dagli stampi. Furono quelle a convincerlo che la figlia del boss era una ragazza come le altre, che lui era pur sempre un essere umano, che la risposta di lei era nel brillio degli occhi, l'iride incantato e la pupilla che dice ti ho visto davvero e sono già tua perché mi hai guardato veramente.
Prese coraggio, tornò a trovarla. Difficile però andare oltre il primo approccio: impossibile incontrarla a tu per tu, una strana atmosfera da vorrei ma non posso, non posso nemmeno parlare ora.
Tornò in valle grattandosi la capoccia e i mattoni freschi, sui quali adesso vergava anche esplicite dichiarazioni imperiture, e in effetti immortalate ai mille gradi della cottura. Immortalate e consegnate a una certa impresa edile, che coincidenza, proprio quella là.
Interi muri battezzati Tania che solo l'intonaco avrebbe saputo proteggere da occhiate indiscrete. Prima che ciò avvenisse, però, i muratori avevano visto e capito. Riferirono, i vigliacchi. Risultato: collegio all'estero, località ignota, nessun contatto. Nemmeno un addio. Un messaggio invece sì: sotto forma di massaggio, a opera di callosi dipendenti del boss, giusto per dare una lezioncina al ragazzo.
Allo specchio, la conta delle rughe non supera quella dei peli bianchi, i muscoli di solito reggono il sorriso nonostante tutto. Di solito, ma oggi no, oggi il viso deforma urla mute e gemiti tardivi, e per il motivo sbagliato: un giornale di provincia che racconta di scandali, droga e morte. Provi a trattenerlo, ma il ricordo che dormiva dentro esplode da sé, quella conclusione inappellabile bisogna gridarla. L'hai capito, perché dunque taci? Scava, dimmelo, perché? Se la voce si strozza di silenzio è colpa del cordone ombelicale arravogliato attorno al collo finché forcipe non ti richiami, dice. Da un buio rassicurante che non vuoi abbandonare a quello dell'ignoto di cui, potendo, rimandi sine die l'esplorazione, la vita scorre perfino mentre non la stai vivendo. Mentre stai al guado, dice. E sullo specchio con le dita scrive.
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