19 agosto 2003

Come Dumas

Vent'anni fa a quest'ora mi trovavo in un paesino ai piedi dei Pirenei, presso una comunità di recupero. Recupero di materiali, recupero di persone. Insieme a me a separare cartone, vetro e metalli non c'erano altri studenti di passaggio, ma ex-alcolisti, ex-galeotti e gente in sospeso, ragazzi e uomini che si erano estraniati dal vessante patto sociale. Una comunità che riusciva ad autosostentarsi e addirittura a creare fondi destinati alla beneficenza semplicemente attingendo agli sprechi della società dei consumi.

Mi ero catapultato lì dopo un periodo in East Anglia, dove avevo goduto appieno dei privilegi a me offerti dall'età e dalle circostanze. L'impatto non era stato morbido, ma la curiosità per l'interessantissima esperienza ben si accompagnava alla mia innata propensione all'ambientamento rapido. Conobbi realtà che incontravo per la prima volta nel giovane cammino della mia vita, intrecciando nuovi rapporti umani e fungendo già da tessitore anche nel ricucire strappi altrui.

Nessuna difficoltà dunque, se non fosse stato per la musica. Sì, perché quella ti frega sempre, come dice Bea. All'epoca, mi bastò riascoltare per caso la smielata Every breath you take per lasciarmi straziare dalla malinconia del ricordo, per avere lo sguardo velato a causa delle distanze incolmabili. Fortunatamente trovai occasione di grande conforto e piacevole distrazione in una breve trasferta a San Sebastian, dove la semana grande non tradì le attese.

E oggi? Vent'anni dopo, anche se le canzoni cambiano, la musica rimane la stessa. Ma ad ascoltare non rinuncio...

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a cura di Giulio Pianese

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