30 aprile 2014

Una frase da dire e da dirsi

Al liceo nella mia sezione la lingua straniera era il francese, ma quando capii di volermi orientare verso lo studio delle lingue, sebbene in terza media avessi optato per lo scientifico, decisi di iscrivermi a un corso di inglese. Lo seguii a Seregno presso l'International House, la cui scelta didattica era quella di utilizzare esclusivamente la lingua straniera, anche per insegnare ai principianti assoluti.

Il mio primo insegnante, David Jelley, fu bravissimo e simpatico e a fine corso ci scambiammo i contatti. Ricordo che era originario di Northampton, ma quell'anno risiedeva a Bristol (insieme a tre ragazze) e fu lì che lo andai a trovare partendo da Hastings, dove nell'estate dei miei diciott'anni seguivo gli utili e divertenti corsi dell'IH.

Era un sabato mattina quando mi accorsi di essermi svegliato troppo tardi per prendere il bus e ancora mezzo assonnato mi misi a fare autostop, dal lato sbagliato della strada. Dovevo tentare di arrivare in tempo alla stazione delle corriere per riuscire poi a raggiungere la Victoria Coach Station di Londra, da dove avrei preso il pullman per Bristol. La prima auto comunque si fermò, accostando sul lato opposto, e più che mai confuso salii a bordo spiegando alla bell'e meglio e ansiosamente la mia necessità. Quel signore gentile mi disse che mi avrebbe portato lì e poi aggiunse una frase che non capii. Chiesi spiegazioni e mi disse che sarei arrivato in tempo, scandendo lentamente: "You will be there in time."

L'espressione di cui non avevo inteso il significato era una frase semplice, una frase che si dovrebbe e ci si dovrebbe dire spesso, come potente incoraggiamento: You'll make it. Ce la farai.

Fu proprio così: arrivai a Londra addirittura con un certo anticipo, che mi permise di rifocillare corpo e spirito, con un panino e una bibita e poi, a sorpresa, con un bacio inatteso prima di salire in corriera alla volta di Bristol e di un'escursione sulle creste del Brecon Beacons, in una giornata inondata di sole e innaffiata di sidro.

Intercalari

La bestemmia non ti si addice, gli dice, ed è una critica garbata, indugiante sul limitare tra stima e delusione, con il tono che esita sul crinale per poi seguire il declivio dell'affetto. Hai ragione, le risponde, e ne è convinto, e ricorda i tempi in cui riusciva a padroneggiare meglio il proprio linguaggio, quando il lignaggio dell'anima prevaleva sulla piatta focosità degli intercalari inopportunamente volgari.
C'era quel film con Jack Nicholson, quello del tizio ossessivo e più che ruvido, capace di rovinare tutto dicendo sempre la cosa sbagliata nel modo peggiore; capace però anche di rivolgere il miglior complimento possibile: Mi fai venire voglia di essere una persona migliore.
Ci pensa, sorride e se ne convince: ogni volta che questa sorta di meccanismo evolutivo si mette in moto grazie a un'interazione, c'è di mezzo della vicinanza affettiva; c'è del bene, reciproco, e la voglia di trasmetterlo. Sono le forme a cambiare, non la sostanza più sottile.

Sollievo

Un sospiro, anzi uno sbuffo, di sollievo, tra l'emozione e la contentezza m'è uscito poc'anzi. Tentavo di avere notizie cliniche di un caro amico sottoposto a delicato e difficile intervento, quando ho ricevuto una telefonata direttamente dal suo cellulare. Così, ridendo di contentezza, ho saputo da Gilgamesh in persona che dopo dodici ore di operazione chirurgica più dodici di terapia intensiva si trova di nuovo in piedi, con la serenità di sempre. Buona guarigione, goppai!

Memoria e oblio

Alternare i ricordi e un po' di smemoratezza aiuta ad alleggerirsi, perché se è vero come è vero che la memoria passata e personale accresce la nostra ricchezza interiore, talvolta questa si fa bagaglio enorme, capace di schiacciare, rallentando o bloccando ogni movimento verso l'attimo futuro. Forse sarà sufficiente dotare di ante robuste la cabina armadio che custodisce il tempo perduto, cosicché sia possibile ritrovarlo, ma anche, temporaneamente, lasciarlo da parte.

26 aprile 2014

Qui e là

Fare i turisti nella propria città è uno dei vantaggi collaterali dell'ospitare forestieri, oltremodo piacevole se si tratta di persone care.
Così, dopo la manifestazione di ieri, oggi la passeggiata verso il centro ha avuto un bis di sole in fronte, un po' di vento sulle foglie, molto azzurro in cielo e lo sguardo contento di posarsi tutt'intorno.
L'unico rammarico è l'impossibile ubiquità, sebbene sia proprio questa mancanza a obbligarci in continuazione a scegliere, ottima e difficile occupazione evolutiva nel bel giardino dei sentieri che si biforcano del nostro attuale vivere.

24 aprile 2014

Aggiustamenti

Riuscire a riparare quel che si rompe è un gran vantaggio da diversi punti di vista: economico, ecologico, personale. Non esserne capaci non significa rinunciare: a medio termine, si può sempre imparare; nell'immediato, si può ricorrere a chi sa già farlo.
Per le bici non ce ne sono tantissimi in giro e di sicuro ce ne sono pochissimi che lo fanno anche a domicilio, come la Ciclofficina Sociale. Rivolgendomi a loro ho risparmiato un paio d'ore e domani potrò sfilare anch'io in bicicletta per le vie della Bovisa con un fazzoletto rosso al collo (appuntamento in via Mercantini alle 9.30).
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P.S.: riuscire a riparare agli errori è un'altra faccenda, ma non è detto che sia una faccenda senza speranza.

23 aprile 2014

Partecipare al venticinque aprile

In questi giorni è tutto un recuperare e far aggiustare le bici che serviranno per il giretto di venerdì mattina alla Bovisa coi partigiani. Dico proprio "coi partigiani", perché 25 aprile non significa solo commemorazione, ma partecipazione.

18 aprile 2014

La Passione a tavola

Era un bel po' che non cucinavo un pranzo intero per i miei figli. Tra le volte in cui andiamo dai nonni e le scorte che mia madre mi ammannisce, per esempio il ragù, c'è sempre qualcosa di già pronto cui ricorrere. Oggi invece, per scelta, ci siamo fatti un giretto al mercato rionale e lì abbiamo deciso l'orientamento del menu. Come secondo, un paio di orate che ho fatto al forno su un letto di veli di patate, zucchine e cipollotto già adagiato su olio, olive di gaeta, capperi e odori, e una sogliola che ho cotto in padella con condimenti simili. Il sughetto per gli spaghi l'ho improvvisato miscelando a fuoco vivo olio, aglio novello, peperoncino, tonno, pomodori datterini, oltre a olive e capperi e al basilico del balconcino. Li ho fatti brindare con me aprendo un vermentino di Alghero, poi sono andato avanti io ma solo fino a metà bottiglia, per preservare un po' di lucidità in vista del testo inglese per il quale la Caju mi aveva chiesto aiuto interpretativo. È stata una bella giornata fatta anche di musica e chiacchiere, mentre la tivù è rimasta sempre spenta.

17 aprile 2014

Cambiando di posto la erre e la gi

L'allergia porta starnuti e lacrimazioni, porta muco e ostruzioni l'allergia, e pure la rinite allergica, che vuole fazzoletti infiniti e spigoli lontani, pena capocciate irredimibili. L'allergia ai pollini t'isola e ridicolizza, t'invalida e ti stizza: è una condizione inumana e ironica, giacché ti colpisce quando la vita è tutta rose e fiori.

Quest'allergia comunque non è niente, perché poi passa, così come sta passando l'abbassamento di voce, mica come quella volta di quattro anni e mezzo fa, quando ciccai l'unica reunion dei Fragole & Sangue vent'anni dopo.
Quella volta, in coda al matrimonio del nostro tastierista, decidemmo di esibirci in alcuni nostri brani d'epoca e sebbene non li avessimo mai più provati da allora, riuscimmo a eseguirli con un buon impatto sonoro, a parte la voce, porcaccia la miseria, perché quel giorno le mie corde vocali sembravano in sciopero. Diedi la colpa all'allergia (all'ambrosia) e solo qualche mese dopo venni a sapere la vera causa.

Una di queste notti ho sognato proprio di dovermi riesibire con i Fragole & Sangue, ma di accorgermi all'ultimo momento di non avere minimamente ripassato i testi, che nel sogno non ricordavo bene. E sarebbe stato un peccato, perché il pezzo da suonare era Che è rimasto?, l'unico che ci rammarichiamo di non aver mai registrato in studio. Ma prima o poi lo ricanterò, in sogno o da sveglio, non so.

Quanto all'allergia, basta un piccolissimo anagramma per sorriderne.

P.S.: o anche una minifilastrocca.

08 aprile 2014

Da un CD in auto

Una canzone, basta una canzone antica, con le sue parole e le sue note. Una canzone relativamente antica, con le sue atmosfere che furono le tue. Basta ascoltarla, quella canzone, o anche un'altra, per sentire che ti tocca qualcosa dentro e che dentro la vibrazione risuona, tutta, in lungo e in largo, come una commozione in mezzo al torace capace di risalire tra il corpo la bocca e gli occhi, come un tentativo di capienza impossibile su vari decenni, come uno stretching dell'anima su un vasto pezzo di vita.

31 marzo 2014

Ora più ora meno

Del non star lì nemmeno a spostare le lancette, ché tanto, tempo qualche mese, tocca riportarle indietro. Poi, invece, orologio dopo orologio, uno si adegua, e va a tempo, per tempo (ciclicamente).
Domani come pesce d'aprile, annullati tutti gli orari e si va a senso, per quanto senso vi sia in ogni ciclo temporale.

27 marzo 2014

Tempo portami via con te

Leggo un bell'articolo sul dramma fittizio di essere indaffarati e su come sarebbe meglio evitare di dirselo e darsi invece da fare con calma e serenità. È di Hanna Rosin e nella traduzione italiana pubblicata sul Post s'intitola "Non avete poi tanto da fare, sappiatelo" (l'originale era su Slate: You’re Not As Busy As You Say You Are).

Mi viene da darle ragione, soprattutto se ripenso a quando, in uno dei momenti cruciali che nella primavera inoltrata del 1988 precedettero la consegna della mia tesi di laurea, una mattina piena di cose urgenti da fare scelsi invece di mettermi a leggere in poltrona, al sole e in pigiama, Se questo è un uomo di Primo Levi. Quella sosta non mi impedì di portare a termine i miei impegni e certamente mi arricchì.

Anche riguardo alla soluzione adottata dall'autrice di fronte alle cose da fare ("Le ho solo fatte, con calma, una dopo l’altra."), mi trovo d'accordo, da anni e anni.

15 marzo 2014

Ti piace Brahms?

Sto ascoltando la terza sinfonia di Bramhs (qui diretta da Leonard Bernstein). Avevo deciso di metterla su per far rilassare un po' Lorenzo e indurlo a riposare in vista della partita di pallanuoto che dovrà disputare nel tardo pomeriggio di oggi.

Sapevo che oltre a essere bella è abbastanza dolce da accarezzare i pensieri, lo sapevo non perché sia un esperto di musica classica, ma perché ricordavo di averla ascoltata una sera di fine ottobre scorso, mentre tornavo dalla Romagna guidando l'auto regalatami da mio zio. Si trattava del bellissimo programma "Il cartellone", che trasmette concerti in diretta. Quella sera era la volta della Filarmonica della Scala di Milano, diretta da André Previn. Oltre alla musica, trovai suadente la voce del conduttore radiofonico (forse Oreste Bossini), competente e appassionato.

So che oltre a essere bella è abbastanza dolce da alleviare i tristi pensieri, lo so perché mi sta aiutando a riprendermi da una bruttissima notizia che ho appena ricevuto, violenta come un colpo di clava: un ragazzo, alunno della scuola presso cui insegno, è deceduto ieri sera in seguito a un incidente in motorino. Non conosco ancora i dettagli, ma conoscevo lui, gli insegnavo e lo seguivo, ci scherzavo e lo redarguivo, anche ieri alla campanella di fine intervallo, invitandolo a tornare in classe in orario. Lunedì, invece, non lo troverò in classe e sarà un'altra botta, anche per tutti i compagni. Mi si ghiacciano i pensieri se immagino anche solo lontanamente il dolore dei suoi familiari. Non ci sono parole che tengano, per questo sono state inventate le formule fisse; formule, sì, ma non per questo meno sentite. Condoglianze, in effetti, significa esattamente partecipazione al dolore.

14 marzo 2014

La luna e il sole sul dondolo

Poc'anzi, anzi ormai alcune ore fa, erano lì, la luna e il sole, due tondi a farsi da contrappeso. Due tondi colorati talmente simmetrici sul dondolo dello sfondo cosmico da parere finti.
Da parere finti un po' come nel Truman Show, un po' come quando ti guardi intorno per capire se quello che ti sta succedendo è reale o se si tratta di uno scherzone (tra l'altro, la sensazione dello scherzone mi capitò davvero una volta, a Superga, poi invece era vero, incredibile ma vero, che bello).
Se la vita sia o meno uno scherzone è un interrogativo che si sarà posto a tutti, a molti, a qualcuno, almeno una volta, almeno di striscio, vero? Giusto per capire se un'occasionale deriva solipsistica faccia parte della normale esperienza personale di ciascuno, da piccolo o da ragazzino quantomeno.
L'interrogativo, comunque, c'era in un libro. Un libro meraviglioso e arcinoto: L'io della mente di Hofstadter e Dennett (di cui uscì per Adelphi negli anni ottanta la traduzione italiana di Giuseppe Longo). A un certo punto, mi pare di ricordare, gli autori istigano il lettore a ipotizzare che l'universo sia creazione di un dio e che questi non abbia ancora deciso se conferire alla sua opera il carattere comico o quello tragico. E chiedono: in quale decisione speri tu?
La scelta non è facile: in una commedia tutto finisce bene, però non la si può prendere sul serio, al contrario della tragedia, che però, per l'appunto, si conclude tragicamente.
Che fare, dunque? Boh, per conto mio so che sottrarsi a un dilemma è impossibile finché non si sposta il punto di vista, ma soprattutto so che nella salsa di pomodoro, irrinunciabile salato condimento, ci va anche un pizzico di zucchero, mentre la dolce ciambella richiede una presa di sale. In ogni aspetto, una punta dell'opposto.

08 marzo 2014

Giorno per giorno da Montevideo

I figli dei giorni di Eduardo Galeano (traduzione di Marcella Trambaioli) è un libro fatto come un calendario, o se vuoi come un blog assiduo. Bella la sua densa brevità. Efficace la pungente ironia. Istruttive le citazioni e le sue varie storie, pescate dal mondo attuale e passato.

07 marzo 2014

Verso l'uno o l'altro declivio

Da cuorcontento con la malinconia in agguato, mi basta poco a far vacillare l'umore verso uno o l'altro declivio del benessere interiore.
L'importante è agire. Tipo oggi, quando dopo la seduta dall'igienista dentale ho cambiato itinerario per intercettare il mio Lorenzo e salutarlo mentre si aggirava con amici e amiche in vena di scherzi carnevaleschi per la Bovisa e dintorni. È stato un toccasana in questo pomeriggio di pieno sole che sarebbe stato troppo azzurro e lungo senza gli affetti più cari più che vicini. O tipo poco fa, quando sono uscito sul balcone cogliendo con lo sguardo una scia d'aereo rosata e il bel croissant rilucente di questo quarto di luna abbondante e ammiccante.
Quando l'umore si stabilisce per il verso giusto, è anche più facile trasmetterlo, il battito da cuorcontento, come nella ridente telefonata della carissima seguidora rediviva, Elena, che non vedo l'ora di ritrovare in pista non appena le fortune lo permetteranno.

05 marzo 2014

03 marzo 2014

Di corsa in palcoscenico

Era tanto che non correvo e quella sera di gennaio non fu certo facile farlo con indosso il giaccone e in tasca le chiavi e il cellulare e il portafoglio e l'appunto con l'indirizzo del teatro cui ero diretto, in ritardo mio malgrado, non avendo trovato da parcheggiare se non a distanza notevolissima, distanza che mi trovavo a percorrere a spron battuto e senza grazia, sudato e col fiatone.
Lo spettacolo e la compagnia poi valsero la pena, giacché la mia amica Annalisa mi aveva un'altra volta invitato a una rappresentazione efficace e riuscita nel rendere i meccanismi di un classico del teatro del novecento come Lo zoo di vetro di Tennessee Williams, per la regia di Arturo Cirillo.

Per domani sera, un'altra amica mi ha consigliato uno spettacolo inedito e siccome mi spiace non riuscire a farcela, stavolta nemmeno correndo, mi sa, te lo segnalo, sperando di fare cosa gradita:
La scalata della Piramide di Sale di Antonio Conticello viene messa in scena dal “Teatro dei Cinque Sensi”: l'attore in scena interpreta un racconto, ritorna al cantastorie, con una combinazione misurata tra recitazione, musica, danza, canto, proiezione di foto e video che si mescola con i profumi sprigionati, sino ad appagare i restanti sensi come l'olfatto, il tatto e il gusto. Quattro ragazzi appena tredicenni vivono l’estate dei primi anni settanta in modo scanzonato prima di imbattersi in una vera e propria avventura legata a una misteriosa credenza popolare.
Appuntamento domani, martedì 4 marzo 2013 alle ore 21 al Teatro Delfino di Milano, in Via Dalmazia 11.
Per info, tel.: 333.5730340


02 marzo 2014

Nello spazio del cielo c'è il tempo

Oggi c'era un cielo che (ma uffa parli sempre del cielo non guardi altro) un momento, lasciami dire: c'era un cielo che sembrava quello di quel giorno là, quello in cui ci baciammo in un cimitero, ricordi, vero, ricordi e ridi, eh, ché saranno mica cose da fare, dici, no che non sono da fare, ma lo rifaresti e lo rifarei anch'io e so che ti sembra una cosa bella, perché lo è, e comunque hai visto, eh, hai visto che non guardo solo il cielo o meglio che nello spazio del cielo c'è il tempo, quello del meteo, però c'è anche l'altro tempo, quello della memoria.

01 marzo 2014

Marzo bagnato

No, non mi sembra una giornata orribile solo perché piove, anzi. Con la pioggia, l'aria diventa respirabile, il cielo si lava e quando di nuovo si mostrerà nudo sarà più nitido. Con la pioggia, puoi stare in casa e approfittare per sistemare qualcosina rimandata tante volte, oppure puoi uscire a bagnarti un po', o un po' di meno se non ti dà fastidio impugnare un ombrello. Con la pioggia, la musica sospesa cade per lasciarsi ascoltare. Che bussi o meno, tu aprile la porta. È la pioggia di marzo, ma non quella dell'altro emisfero, che potrebbe risultare malinconica per la stagione che introduce. Qui, la pioggia di marzo annuncia a modo suo la primavera e come potresti non aprirle la porta?
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bonus musicale: Richard Hawley, Open up your door


a cura di Giulio Pianese

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