L'altra mattina sono caduto dalla bici e ho ancora le ginocchia sbucciate, come da bambino.
È successo mentre salivo di fretta sul bordo basso del marciapiede vicino all'entrata della Mazzini: un po' l'asfalto bagnato, un po' l'effetto rotaia, la ruota mi è scivolata di lato e ho dovuto lasciar andare il velocipede evitando di poco un impatto diretto con le auto parcheggiate. Sono atterrato nello spazio tra due veicoli, riuscendo a rimettermi in piedi senza nemmeno imprecare.
Al momento ho avvertito solo il dolore delle escoriazioni e ho fatto lezione normalmente, dopo essermi medicato grazie al kit gentilmente improvvisato da Frankie, storico e mitico bidello. Solo il giorno successivo sono emerse le acciaccature dovute ai colpi e contraccolpi subiti.
Così è l'effetto iceberg del dolore: ciò che spunta all'inizio è solo una minima parte di quanto soggiace. A questo penso, e un po' lo temo, quando sbuffo, m'arrabbio e mi struggo espirando il vuoto mentre fatico ad accettare l'irreversibilità degli eventi.
Per l'animo ferito dispongo innanzi all'occhio della mente gli antidoti: in primis la memoria, dettagliata forza del ricordo a scongiurare il tempo perduto, con la consolazione delle felicità passate, poi la ragionevolezza, capace di accompagnare l'accettazione, quindi gli affetti, potenti lenitivi ed efficaci nutrienti, non ultimi gli scambi d'energia umana, molteplici canali aperti e all'apparenza inestinguibili, e infine la consapevolezza dell'infinita finitezza di noi tutti, irresistibile magia di questo esistere.
E tuttavia, sai che c'è? Mi sta un po' sul cazzo l'irreversibilità degli eventi.
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