24 luglio 2014

Segni visibili e segni invisibili

Ci sono segni visibili e segni invisibili e sono questi ultimi a rimanere impressi più a lungo. Me lo disse un giorno una fanciulla che una sera s'era ferita il ginocchio sfregandolo ripetutamente, senza avvedersene, su un filo d'erba secco e dritto. La cicatrice sulla pelle, tenne a sottolineare, sarebbe scomparsa molto prima di quel che le era rimasto dentro come sensazioni, tra scambi d'energia di occhi e mani, di respiri e fludi, di terra calda e cielo illuminato da un generoso firmamento. Sono cose belle.

Così sarà anche per il segno visibile che a una settimana dall'escursione al Piz Boè reco sulla superficie corporea. Il fatto è che il giorno del mio compleanno, dopo l'arrivo in cima e la sosta alla Capanna Fassa, siamo scesi dall'altro versante e per divertimento abbiamo percorso un tratto scivolando sulla neve, usando come slittini i k-way stesi sotto il sedere. È stato bellissimo fino all'euforia, tanto che dell'ematoma sulla chiappa mi sono accorto solo un paio di giorni più tardi. Lì al momento, arrivati in fondo, si percepivano solo le risate per la neve che ci era penetrata fin sotto gli indumenti e che però non ci ha infastiditi più di tanto mentre a un tavolo all'aperto del rifugio Boè giocavamo a briscola in cinque (ossia briscola chiamata, altresì detta "ul dü", il due, in Brianza), sorseggiando chi un té, chi una Weissbier. Da lassù, prima e dopo e per tutto il giorno, c'era intorno tanto tanto mondo e dentro tanta sfavillante meraviglia, che rimarrà come cosa bella.

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a cura di Giulio Pianese

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