20 luglio 2014
Raccontare
Ci sono almeno due modi di farlo: raccontare per filo e per segno, a mo' di aggiornamento e/o resoconto, è uno. L'altro, di norma riservato agli amici veri e praticabile esclusivamente in caso di facile intesa, è in verità un non raccontare, se non per via indiretta, parlando normalmente nel qui e ora, come se non ci si fosse mai distanziati nel tempo e nello spazio. È quel che succede quando ci si ritrova e sembra che il clic scatti automatico: quando basta un'espressione del volto o dello sguardo per capirsi al volo, quando anche solo un gesto fa sì che l'essenziale si percepisca reciprocamente, al di là del dire (o del non dire, che non è un vero e proprio tacere). Un gesto e forse, o soprattutto, il modo di compierlo: magari una banalità, come il modo di accartocciare un tovagliolino. Sono i rari casi in cui l'interlocuzione diventa lettura illuminante di un essere in divenire, in cui la conoscenza di sé s'arricchisce di nuove sfumature grazie all'altrui affettuosa decodificazione. In tutto ciò, il racconto sgorga anche verbalmente, trovando un nuovo ordine e nuovi sensi dal disordine narrativo, con le sue intermittenze e il ritmo spezzato da deviazioni ora esilaranti ora inaspettatamente profonde, da scambi e interludi che si fanno moneta sonante d'euforica umanità.
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Grazie per aver letto le mie parole, sarò lieto di leggere le tue.