C'è qualcosa di bello in te, in quello che fai, in come sei. Così diceva e diceva fosse questa la prova del ritrovato amore per sé. Sembrava difatti stesse contemporaneamente da entrambi i lati dello specchio, in tutti i sensi. Non solo alla vista, insomma: se ne accorse trovandosi a masticare un torroncino che s'attaccò alle cuspidi e pervase le papille gustative senza prima essere stato introdotto nella cavità orale.
Se ne accorsero in due via via che le sensazioni venivano percepite in assenza di stimolo immediatamente riscontrabile, in una comunione a distanza che fu spesso fonte d'imbarazzo proprio e perplessità altrui, quando non addirittura terrore mascherato.
Tale comunione percettiva originò un rimbalzo d'identità clamoroso ma talvolta comodo, fin dai tempi dei compiti in classe. Il fatto che all'epoca non si conoscessero ancora fu un ostacolo superato non appena impararono a staccare gli alluci dai confini tridimensionali. Cominciarono allora a catapultarsi in qua e in là di anni o lustri, lungo la linea delle loro vite biunivoche.
Viaggiare nel tempo ignorando perfino in quale vita sarebbe avvenuto l'atterraggio era cosa eccitante, ma non scelta: l'ineluttabile guidava perfino il godimento animale, ogniqualvolta per la duplice casualità di un lancio gemellare si ottenevano dadi doppi e coincidenti sospiri d'anima e corpo riossigenati da bolle di istanti atemporali.
Durò in eterno, per tutte le festività di quell'anno bisestile, secondo il loro calendario duale. In alto, frattanto, sfrecciava immobile un'apparizione, la coda di ghiaccio stagliata come saggina sul cielo scuro più del carbone.
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