Sul palco i momenti difficili li hanno tutti, una volta o l'altra. Oltre ai piccoli inconvenienti materiali, come la rottura di una corda per un chitarrista, la perdita di una bacchetta per un batterista o il raffreddore per un cantante, quelli più insidiosi sono in realtà legati alla sfera emotiva.
Nel mio caso non sono mai giunti per via del pubblico o della paura da palcoscenico: le persone presenti tendo a percepirle come un aiuto, come fonte di energia e benevolenza. I rischi di défaillance, semmai, me li hanno procurati le assenze. Una volta faticai non poco a cantare Allison (cover dei Pixies inserita nella scaletta dei Pontebragas), perché con eccessiva fiducia nella mia disinvoltura avevo voluto dedicarla a un'amica morta qualche anno prima.
In altre occasioni, a formare pericolosi magoni da inghiottire o superare all'istante, sono intervenute associazioni d'idee tra il brano interpretato e situazioni particolari, malinconie sulle quali non ci si dovrebbe soffermare durante un'esibizione pubblica. Comunque son sempre riuscito a sfangarla e anzi in un paio di casi la carica emotiva ha perfino giovato all'intensità della resa.
Per il resto, fortunatamente di solito prevale la funzione terapeutica cui la musica sa assolvere e dal palco si scende sudati e felici.
Come ci si salga la prima volta, invece, lo racconta molto bene un corposo personaggio(*) in questo intervento.
(*) bassista con cui occasionalmente ho condiviso il palco, zonkerante con cui condivido l'appartenenza a una mailing list e il piacere della convivialità, da pochissimo ha aperto il blog L'Esprit De L'Escalier.
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