Ci passava tutti i giorni in motorino, vicino a quel muro: grigio cemento, senza nemmeno un graffito, con un simulacro di marciapiede raffigurato da un'inutile striscia bianca. Inutile per i pedoni, perché nessuno sarebbe stato tanto avventato da avventurarsi in quel passaggio troppo stretto per l'intensità del traffico.
Ci passava tutti i giorni e lo rasentava, noncurante del giacchettino in pelle che alla mezza stagione cedeva brandelli di sé scoprendo le parti opache. Noncurante, in quell'estate calda e stolida, della sua stessa epidermide, raschiata più e più volte fino alla carne viva in quelle curve volutamente mal calcolate.
Ci passava tutti i giorni in lavanderia, a lasciare camicie strappate e a chiazze rugginose, tela d'autore del suo sangue rappreso. Snob quanto bastava ed elegante, impeccabile nei modi e strambo, scontrino alla mano ritirava i suoi straccetti lavati e stirati alla perfezione.
Ma non gli bastò più quella grattugia: un giorno finalmente se ne accorse, girò il manubrio e ricercò l'impatto. Il muro lo sospese per lussarlo, e alla caduta accoglierne le macchie, così benevolmente e in leggerezza, come nei gesti oliati dalla voglia. Ahilui non si sottrasse ed il suo viso andò a baciar coi bulbi la parete. Il freno conficcato nel costato, un ghigno storto sulla faccia pesta.
Adesso resta solo un punto in forse: se debba sopraggiungere un furgone e metter fine alfine alle sue pene. Oppure se arrestare il flusso immane, pericoloso traffico adirato, e sia lasciato indenne o almeno vivo il temerario insano e lesionato. Si ascolta il gocciolio che dentro al ventre produce a stille l'organo pulsante, quel cuore che sgozzato vuol cadere giù nell'abisso per dimenticare.
Ti manderei qualcuno a ricucirti, ma solo se prometti d'imparare: il cuore vuole palpiti e miraggi, tu ascolta i volontari che son saggi.
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