Si prende la cabinovia, in due tronconi. Inevitabilmente, si ripensa a quando lì c'era una funivia, a quando cadde tragicamente una prima volta e a quando invece la tranciarono strafottenti i top gun di cui siamo vassalli. Si trasborda sulla seggiovia ed ecco le vertigini perché accanto hai due bimbi che secondo le tue paure potrebbero scivolare giù a ogni momento e allora li obblighi a non staccare le manine dalla sbarra per l'intero tragitto, bello bello ma apparentemente interminabile.
Si arriva su e stranamente le orecchie non si sono tappate nonostante gli oltre mille metri di dislivello. Si cammina per tre quarti d'ora con una breve scorciatoia tra le rocce ("chiacchievrando questa scalata sembvra più bvreve") e si arriva ai laghetti di Bombasel. Sei bimbi a giocare con rane e tritoni, tre adulti a godersi la musica e i suoni: oltre agli archi, verso la fine del concerto si sono fatte sentire le marmotte coi loro fischi, immagino d'approvazione. I musicisti sono virtuosi ed espressivi, forse un filo troppo solisti in alcuni frangenti. Mozart rende felice il mondo e il mondo risponde con paesaggi straordinari tutt'intorno. Il sole a duemilaedue sembra discreto e invece picchia sul collo, ancora oggi arrossato.
Curioso, quasi scioccante, il divario tra quell'aria respirata senza pensarci per l'intera giornata e l'afrore ferale d'un autobus feriale nell'afa serale da orario estivo urbano. Ennesimo monito a godersi ogni meraviglia, finché c'è.
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