Non si finisce mai d'imparare. Sarà che sono imbranato, ma ho fatto la ruota per la prima volta in vita mia a 42 anni suonati, sulla battigia ionica. L'ho eseguita imitando Lorenzo e chiedendo dritte alla Cajuina, che procedendo a sua volta alla dimostrazione ha spiegato, osservato e infine sentenziato: "Per essere un principiante, non l'hai fatta per niente male."
A vent'anni ovviamente consideravo i trentenni dei vegliardi e gli anta manco li vedevo, collocandoli oltre lo scollinamento del cammino mortale. Mai avrei immaginato che in quest'epoca della vita sarei riuscito a godermi le cose meglio di allora, anche le stesse in certi casi, ma con più gusto: quello della consapevolezza, tuttora unita al sorriso degli occhi.
Ora so o quantomeno immagino che ci sia sempre da assaggiare qualcosa di nuovo, che occorra imparare a gustarlo e talora a gestirlo. Va bene, mi dico, continuiamo l'apprendimento, una sorta di educazione permanente da sorbire diluita nella crapula di una voracità da temperare, da affinare, da orientare alla qualità. Va bene la qualità, dico, purché sia tanta. Purché ci sia sempre o almeno spesso.
No? Devo imparare la pazienza, lasciare tempo al tempo, concentrarmi sull'istante presente come recita l'Hagakure. D'accordo, ci provo, anzi, lo faccio. Poi però, ti avverto, non è detto che quanto avrò imparato non finisca appallottolato in un cestino, con la realizzazione del canestro accompagnata da un liberatorio vaffanculo.
Intanto, ho fatto la ruota.
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