Oggi sul calendario cattolico compare il nome della patrona dei musicisti. Santa Cecilia, però, al mio orecchio fa riecheggiare innanzitutto gli esordi canori.
Erano tempi in cui alla domenica papà (bestemmiatore dal cuore d'oro) ci accompagnava alla messa delle 10, quella "dei bambini". Mi piaceva, ci piaceva perché si cantavano parecchie canzoni, alcune anche con le doppie voci. E ci esaltavamo, sebbene fossimo lontani dalle partiture complesse che sentivamo intonare dalla cantoria in occasione delle messe solenni. Lontani anche fisicamente, perché il coro stava irraggiungibile lassù, accanto al maestoso organo della collegiata, dove non mi figuravo nemmeno come si potesse salire.
Invece, mentre ero ancora alle elementari, entrai a far parte dei pueri cantores: cantavo da soprano, però rimasi nel coro anche nella prima adolescenza, passando tra i bassi (meno peggio dei tenori per il mio registro pseudobaritonale).
Tutto iniziò in chiesa proprio alla messa dei bambini, la mattina in cui fui notato da una signorina che per il primo anno delle elementari era stata maestra di mio fratello: dopo avermi ascoltato per un po', fu lei a rendermi noto che quell'olimpo era in realtà accessibile.
Fu uno dei tanti sbalordimenti della mia vita, ma sono uno zuccone e ancora oggi continuo a credere impossibili certe mete e a stupirmi quando riesco a toccarle.
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