21 giugno 2004

Pastelli d'altri colori

Potrà sembrare un delitto sminuzzare una lettura fino alla mise en abîme per dedicarsi a un particolare richiamato marginalmente solo da un link, specialmente se ciò avviene con un post di Rillo, ma così mi capitò.

I Caran d'Ache! La scatola grande alle elementari permetteva di sbizzarrirsi in tutte le sfumature autunnali di una campagna più immaginata che vista.
Quei colori li accostavo con godimento, riempiendo tutti gli spazi della terra e del cielo, differenziando coltivazioni e arborescenze, fogliame e spazi aperti, muschi ed erbe d'ogni genere, ma assolutamente sconosciute allora a me bambino grandicello e tuttora a me adulto ancora infante per quanto attiene all'universo botanico.
Non che fossi bravo a disegnare, tutt'altro: non mi sono mai piaciuti i risultati approssimativi e ingenui che la mano mi permetteva di raggiungere quando tracciavo dei contorni, però l'uso estensivo del colore, quello sì ch'era soddisfacente, durante e dopo, quando riguardavo il foglio privo ormai di punti bianchi.
Una composizione di vedute naturalistiche di una natura mai vista in quel modo. Di vederla così mi capitò tanti tanti anni dopo, quando (ri)cominciai a guardare il paesaggio, oltre ai compagni di giochi e alle ragazze. Quando seppi che sapevo godere appieno delle cromie inafferrabili che regala all'occhio una salita dopo la pioggia, una teoria montana di verdi vivi dal prato alla pineta, uno sciabordio che scintilla sotto un calore cangiante. Quando mi resi conto che è tempo guadagnato e non perso quello che si passa a contemplare il limitare tra luminescenza e magia.

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a cura di Giulio Pianese

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