Sono dotato di una discreta memoria, ma ho appena avuto conferma della sua selettività.
Mi è capitata in mano una vecchia cassetta riaffiorata dal solito marasma: London Calling dei Clash (1979). Nientedimeno! L'ho messa su.
Sono sempre loro. Sempre avvincenti, energici, avvolgenti. Ancora oggi i brani mantengono la forza delle origini e i nostri eroi attraversano il tempo. Se mai sfiorano il ridicolo, è quando si abbandonano alla presunzione di saper pronunciare lingue latine, come in Spanish Bombs (e in questo riescono a ottenere risultati peggiori perfino dei Pogues di Fiesta). Per il resto, nella loro rudezza continuano a essere attuali perfino nei testi.
Dunque un ascolto positivo, ancorché un po' distratto dalle varie incombenze a sovrapporsi. Abbastanza distratto da lasciar scorrere la cassetta anche dopo l'ultima traccia del lato A...
...fino al momento in cui la scia del fruscio lascia spazio a una musica che di primo acchito non riconosco. Non ricordavo di avere registrato i Clash sopra qualcos'altro. Ascolto incuriosito, poi m'intenerisco accorgendomi che si tratta degli Yes, gli Yes che ascoltavo verso la fine degli anni '70, gli Yes che rivaleggiavano coi mitici Genesis, gli Yes di Steve Howe e Rick Wakeman, con la vocina di Jon Anderson che s'inerpica lassù, nel mondo etereo e fatato... delle rotture di coglioni inenarrabili. Continuo ad ascoltare, riconosco i passaggi, dev'essere The Yes Album, no quello ce l'avevo in vinile. Ah, è quella pappetta di Fragile. Spengo. Ahr. Dose sufficiente per i prossimi vent'anni.
Ora basta con l'omeopatia: a disintossicare lo stereo deputo il CD che aveva compilato Palomar, benefico fin dal titolo.
Morale: c'è almeno una cosa che avevo completamente dimenticato. Non corro il rischio di diventare come Funes.
Nota per la serie "salviamo il salvabile": benché pallosissimi, gli Yes erano grandissimi strumentisti. Bill Bruford, poi, godrà per sempre di un salvacondotto speciale per aver prestato bacchette e tamburi ai King Crimson in Red (1974).
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