23 luglio 2016

A riveder Guccini

Ho vinto un biglietto grazie alla tessera TECA+ della mia biblioteca, così sono andato a sentire Francesco Guccini a Villa Arconati. Al momento dell'annuncio telefonico m'ero illuso fosse un concerto, poi mi hanno fatto notare che si trattava di un incontro, ma ho deciso di non perdermelo comunque.

La prima volta che vidi Guccini su un palco ero un ragazzino: io e i miei amici giungemmo in bici da Seregno all'Arena di Milano, dove si tenne il concerto per Demetrio Stratos: nelle intenzioni doveva essere per sostenerne le cure, ma pochi giorni prima la leucemia non gli aveva lasciato scampo e così la serata si tramutò in un grande omaggio resogli da tutti o quasi tutti i cantautori e i gruppi italiani più importanti dell'epoca.
Credevo che la prima volta fosse anche l'unica, invece il riascolto della Locomotiva mi ha fatto ricordare di aver assistito a un intero concerto di Francesco Guccini, sempre a Milano, non saprei dire quando... probabilmente nella prima metà degli anni ottanta, e che quello era il brano conclusivo (vedi a proposito i "bis di Guccini").

L'altra sera è iniziata in modo per me inconsueto: sono arrivato addirittura in anticipo a Castellazzo di Bollate, luogo di un incantevole borgo antico attorno a una sontuosa e decadente villa storica in mezzo al parco delle Groane, purtroppo reputato incantevole anche da numerosissime zanzare di varie dimensioni.
Come previsto, Guccini è salito sul palco insieme a Ernesto Assante e Gino Castaldo, giornalisti e critici musicali, che l'hanno indotto a raccontare e raccontarsi, tra aneddoti, esperienze, spiegazioni e opinioni, seguendo il tracciato della sua musica e delle sue molte canzoni intramontabili.

Nella seconda parte sono stati presentati i Musici, ovvero i musicisti che negli anni l’hanno accompagnato in numerosissimi concerti live. Hanno interpretato alcune sue canzoni e la band ha funzionato egregiamente, com'è ovvio, con l'ovvio problema della resa vocale. Di cantare i pezzi s'incarica Flaco, il suo storico chitarrista, che dopo un inizio un po' zoppicante se l'è cavata bene ed è stato in grado di trasmettere la giusta intensità. Però.
Però non è lui, non è la sua voce e se ne sente assai la mancanza. Constatando le difficoltà, ci si rende anche conto della grandezza di un musico che da noi rockettari adolescenti era sempre derubricato a cantautore, come se rispetto alle nostre star preferite non fosse un vero cantante, come se contassero più le parole che la musica. Le parole contavano, contano, eccome, ma è la musica a intarsiare le vie dello struggimento. Lo è stato anche l'altra sera, molto, troppo.

L'annegamento del torace in certi istanti era quello da groppo in gola troppo grosso. So forse anche il perché: c'era una sensazione di presenza-assenza, un'anticamera della lontananza assoluta. Un po' come quando una ti lascia e come per caso ti trovi a passare la serata conversando con la sua amica, ad abradere un po' le ferite ancora aperte, in quel malsano atteggiamento che porta quasi alla ricerca del dolore pur di vivificare quel che più non è.
Ma tutto questo trovava via libera per due motivi: uno contingente, dovuto alla potenza scardinante della musica; l'altro personale, conseguente alle smagliature dell'animo ogniqualvolta tenti di abbracciare tutto il tempo, tutto quanto il vissuto e specialmente il distillato del sentimento del vivere, dell'essere e dell'esserci stato.

2 commenti:

  1. Non capisco perché non abbia cantato... le sue non sono davvero canzoni impegnative vocalmente, come quelle di nessun cantautore italiano, le può cantare senza nessun problema anche un novantenne fuori forma... boh. Il fatto è che questa gente se la tira un po'

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    1. Non sono d'accordo. Anche perché uno dovrebbe essere libero di scegliere quando vuole riposarsi o fare altro.

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Grazie per aver letto le mie parole, sarò lieto di leggere le tue.



a cura di Giulio Pianese

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