21 febbraio 2013

Geomania

Da piccolo disegnavo nel piatto della cena i profili degli Stati col puré o lo stracchino e conoscevo quasi tutte le capitali del mondo. I primi anni delle elementari mi ero creato un quadernino dove annotavo da non so quale fonte i dati sui Paesi europei. Scrivevo con il pennino intinto nell'inchiostro che quando scoloriva sul foglio o sulla carta assorbente presentava un aspetto ferrugineo e a matita disegnavo le sagome geografiche e le bandiere colorandole coi pastelli.
Avevo un po' contagiato anche mio fratello e mia sorella e insieme a loro imparavo che le coincidenze cromatiche trovavano distinzione nella disposizione, orizzontale o verticale, o in aggiunte decorative: così succedeva tra Belgio e Germania, così tra Francia e Olanda, e tra Olanda e Jugoslavia, con la stella rossa oltre all'inversione delle bande. Le croci variamente combinate dei paesi scandinavi erano un'altra serie meravigliosa. Riguardo all'Olanda: così chiamavamo i Paesi Bassi e credevamo che la capitale fosse L'Aia anziché Amsterdam. La sfumatura che differenziava Lussemburgo e Paesi Bassi ce la perdevamo, ma nessuno avrebbe potuto ingannarci con il vessillo dell'Irlanda.
Le capitali erano nomi noti, puri nomi, completamento di una scheda in cui i numeri, popolazione e superficie, sbiadivano d'importanza rispetto alla forma dei confini e ovviamente alla bandiera. Le capitali erano suoni, specialmente quelle degli altri continenti, erano musiche, come Tananarive. Anche quelle europee riuscivano però abbastanza esotiche, vedi le quasi parenti Budapest e Bucarest, graziosa e facile sfida mnemonica.
Se rimettendomi gli occhi di allora pensassi a quelle che non esistono più, come Bonn, o a quelle nate a mazzi negli ultimi decenni, rimarrei troppo male, perché ogni mutamento rispetto al mappamondo parrebbe un tradimento. Il mondo era così e lo si sognava immutabile, fatto di nomi noti, puri nomi, e colori variamente assortiti, come un gioco a disposizione di noi bambini e dei nostri quadernini. Forse perché così era come se le cose fossero capaci di non finire mai.

1 commento:

  1. è vero tutto si trasforma o cambia o quasi tutto...l'immutabilità di certe cose ci rassicura...fosse anche il negozietto di fianco alla stradina che porta all'abitazione dei nonni , al barbiere sotto casa...quello dalla poltrona rosso fuoco e dalle impunture a strisce, proprio come la nostra vecchia cinquecento...o quel vecchio all'angolo che vende "caliae semenza", con quel cane ...sempre quello..o par cosI...con quella vecchia bilancia, arruginita dal tempo, non alza mai lo sguardo se non costretto...ha un occhio bianco! tutto immutabile..fino a quando non sai come e quando...o perchè al posto del barbiere c'è un bar...tutto scintillante e della vecchia insegna puff...andata via...e quel cane nn fa più il suo servizio..del vecchio è rimasto una macchia al muro...fintanto non si cureranno di pitturare quell'angolo..chissà per qualcuno può dare quel senso di appartenenza a luoghi e cose...ecco l'appartenenza e luoghi...anche questo è cambiato...non sento più d'appartenere...e i luoghi sono solo posti dove si ci ferma...non è casa...la casa l'hai dentro...che il mondo cambi è meglio..anche in peggio...magari toccando il fondo si potrà risalire, si potrà scegliere un destino migliore per il mondo...chissà...tutto cambia e tutto importa...ciò che era invece resta dentro!
    Stella*

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Grazie per aver letto le mie parole, sarò lieto di leggere le tue.



a cura di Giulio Pianese

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