17 marzo 2004

Fugge, corre, svanisce, oppure

Fin dall'età di dodici anni mi angustiavo per l'eccessiva velocità alla quale sentivo scorrere il tempo.
Trovandomi negli anni successivi a leggere i romantici francesi o i testi di Neil Young non scoprii novità, ma rinfrancai quella sensazione.
Poi, di recente (relativamente parlando) ci fu un periodo in cui il tempo sembrò fermarsi. Più che un arresto, in verità era una sorta di paradosso di Achille e la tartaruga trasposto dal piano spaziale e quello cronologico. Come nella recherche proustiana, ciascun istante assumeva la facoltà di dilatarsi quasi indefinitamente. Una rosa dagli infiniti petali a schiudersi incessantemente per lo stupore benefico di occhi golosi di cuore.
Ora, purtroppo, avverto nuovamente la furia della vertigine, con il rincorrersi delle settimane che a folate fanno scattare il contagiri dei mesi, a loro volta squieti e scalpitanti, pronti a travolgere ogni evento, a trascinare ogni cosa, a macinare il reale senza nemmeno concedere alla memoria il tempo di fissare i momenti.
Colgo il segnale, l'avvertimento, il monito a ricentrarmi sull'essere, qui e ora. E a vibrarne col sorriso interiore.

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Grazie per aver letto le mie parole, sarò lieto di leggere le tue.



a cura di Giulio Pianese

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