08 aprile 2012

Mela mangio

Sbucciare la mela è un gesto familiare, un simbolo di cura per l'altro, soprattutto tra genitori e figli. Quando sbuccio la mela per qualcuno, sto sempre attento a togliere anche le pellicine del torsolo*, il cui contatto in bocca mi ha sempre infastidito oltremisura.
Da piccolo non avrei concepito di mangiare una mela non sbucciata, forse perché mi è sempre stata presentata già mondata. Questo, in verità, talora avveniva anche in età adolescenziale, le volte in cui, mentre studiavamo, ci veniva servita a spicchi trafitti da stuzzicadenti affinché non dovessimo sporcarci le mani (che vizi, ah, che vizi!).
Naturalmente, nel frattempo mangiavo anche mele intere, ma ero particolarmente schifiltoso quando arrivavo nei pressi del torsolo. Un giorno però, nel 1981 a Hastings, vidi Birgit, una ragazza di Basilea, che la mela la divorava intera e per intero, sputandone solo i semi, alla fine. Guardai e ammirai come, rimanendo col picciuolo in mano, coniugava voracità e nonchalance e cambiai atteggiamento nei confronti del torsolo**. Permase tuttavia l'esigenza di eliminare quelle pellicine dagli eventuali spicchi.
Ieri, comunque, ne ho sbucciata e mondata una per bene e ho fatto colazione con fette di mela e miele di abete, sorta di connubio tra una tradizione da capodanno ebraico e i sapori del Trentino.

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* torsolo che in realtà sarebbe il vero frutto.
** altro argomento decisivo in merito: Pinocchio e le pere.

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a cura di Giulio Pianese

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