30 aprile 2015

Ripetutamente

La settimana scorsa ho risposto così al quesito con cancelletto #ioleggoperché su twitter:
Leggo perché così un giorno potrò rileggere, e allora sì che.
Sulla rilettura mi sono già espresso (*, **, ***), ma questa volta l'affermazione acquista particolare rilevanza perché sto rileggendo American Pastoral di Philip Roth e l'effetto che mi produce rispetto a cinque anni fa è sostanzialmente diverso.
All'epoca la mia amica Raffa, che mi prestò e poi donò il volume, rimase stupita dal tiepido apprezzamento che riservai a quello che lei riteneva un capolavoro assoluto. Intendiamoci: riconoscevo la grande bravura dello scrittore, ma la lettura non giungeva a toccarmi profondamente né mi suscitava grandissimi entusiasmi.
Ora invece, conoscendo già la storia, leggo scevro da ogni smania di vederla progredire e giungo a considerare godibile ricchezza di enorme spessore, intellettuale e umano, quanto allora mi parve in parte macchinosità e schermo al piacere.
È vero che procedendo di lettura in rilettura si procede lentamente. D'altronde, come recitava il fioraio anarchico (Felice Andreasi) in Pane e tulipani: "le cose belle sono lente".

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bonus: Thomas L. Thomas, Dream (by Johnny Mercer)

29 aprile 2015

Un punto e una ricetta

Non so mica come facciano quelli che seguono certe minchiate in tivù. Capisco che non avrebbe senso sentirsi superiori solo perché di tanto in tanto capita di evitare d'impantanarsi. Inoltre, potrei concederlo, non è detto che i propri pantani siano in assoluto migliori di quelli altrui. Ciò che repelle è il sospetto che tanto la fruizione davvero volontaria quanto il gusto pienamente consapevole siano troppo spesso lontani, lontanissimi, al punto da lasciare il posto all'abbrutimento della passività rassegnata e giungendo perfino all'insopportabile estremo dello zapping infinito condito da infinite lamentazioni. Questo, e in fondo solo questo, è il punto. Di conseguenza, la ricetta è semplicemente: fai ciò che vuoi (Fay çe que vouldras), ma gustandotelo.

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bonus: Thurston Moore, Benediction

28 aprile 2015

Di tanda in tanda

Questo post inizia dal bonus. Una canzone intensa, intensa soprattutto se hai provato l'emozione di ballarla, lasciandoti coinvolgere ma non trascinare, ché devi essere in grado in ogni momento di dominare movenze e intenzioni, coordinandole e possibilmente armonizzandole. Dici tango e senti in sottofondo qualche sbuffo o qualche uffa, comprendi perché sai che se non ci sei dentro è piuttosto difficile apprezzare appieno; eppure continui a dire tango, un po' perché dopotutto sei tu a decidere di cosa parlare, un po' perché se una sensazione tende a traboccare va esternata e non compressa. Come per le lingue o per la musica, o più probabilmente per ogni cosa che conti, il percorso è praticamente infinito: più studi, più scopri le tue lacune e la necessità di colmarle, più impari e più preme l'esigenza di affinare il risultato, sempre troppo scarso. Tuttavia, è consolante rendersi conto di padroneggiare quel minimo che ti permette di poter giostrare un po' sull'interpretazione, incrementando l'intensità e il godimento condiviso di tanda in tanda. È uno dei più bei modi di sudare.

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bonus: Que te importa que te llore, orchestra di Miguel Caló, canta Raul Berón

27 aprile 2015

Sul calendario era segnato in rosso

L'appuntamento era sabato mattina alla Bovisa in bici col fazzoletto rosso al collo. Ancora una volta è stato bello e confortante ritrovarsi a girare l'intero quartiere per portare le corone alle lapidi dei partigiani e fiori alla memoria dei partigiani rimasti senza lapide.
L'entusiasmo ha fatto da traino anche per la manifestazione pomeridiana, dopo di che ho assecondato la necessità fisica di una serata tranquilla, con cena in famiglia riunita per l'occasione e poi con l'abbandono alle arti affabulatorie di Marco Paolini in tivù col suo Album d'Aprile.

Il venticinque aprile per me ha da essere una festa inclusiva. A certe condizioni, ovvio. I presupposti base di un sentire che ritenga inaccettabile la cieca e stupida oppressione brutale sono e devono essere il discrimine tra chi può stare dentro e chi è meglio giri al largo. L'inclusione fa sì che lungo il percorso ci si trovino accanto persone e gruppi dalle posizioni contraddittorie o addirittura contrastanti, minoranze delle minoranze spesso improbabili, oltre che, naturalmente, atteggiamenti diversi per coinvolgimento e talvolta per concezione stessa della ricorrenza e del modo di onorarla. La manifestazione, lo dice la parola, è l'esternarsi di un significato, che nel nostro caso ha carattere prismatico: ne deriva una festa che porta in sé i tratti della commemorazione e della rinascita, del ricordo e del vivere presente, della rivendicazione e della gratitudine, della trasmissione e della condivisione, dei contrasti e della concordia, dell'ancoraggio al passato e dello slancio verso il futuro divenire. Una ricchezza composita da cogliere con gioiosa apertura, buona disposizione e divertito apprezzamento. Senza mai dimenticare che tutto quanto fu fatto e si patì, lo si fece e fu patito con l'obiettivo essenziale di tornare a vivere e di vivere in un mondo e in un modo più bello.

Ho letto e ascoltato musiche e parole che m'hanno confortato nella sensazione di tranquilla serenità quando a metà manifestazione mio figlio s'è sfilato per raggiungere gli amici sullo skateboard. È per il giocondo vivere che ci si gioca la vita, altrimenti che senso ha?

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bonus: MCR, Oltre il ponte


a cura di Giulio Pianese

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