13 maggio 2013

Tanto quanto un quanto

A un certo punto ci fu come un rallentamento. Se ne avvide grazie alla canzone che stavano trasmettendo alla radio: conoscendone bene il tempo, s'accorse dell'infinitesima discontinuità. La melodia continuava a funzionare, ma i giri erano lievemente indugianti. S'immaginò rimpicciolire fino allo spessore d'un'onda di frequenza ed entrare in quella fenditura per sottrarsi un momento, un istante, un'inezia, alla cronologia. Farlo attraverso la musica avrebbe per così dire garantito la bontà dell'effimera esperienza, quasi rappresentato un'assicurazione sulla possibilità di varcare l'ineffabile soglia anche in senso contrario. Schiudersi ed esplorare quel desiderio fu tutt'uno e così avvenne il passaggio: fu un mulinio d'immagini e sensazioni, un turbinare di evocazioni e ricordi, una congerie di punti di riferimento a far da madeleine in rapida e intensa successione, nel loro variopinto evocare, nella loro innata capacità di suscitare emozionanti picchi di multisensorialità. Quando tornò, avvertiva ancora una carica elettrica pervadere il suo essere, friccicante fino ai polpastrelli: era come l'accensione in serie delle lucine dell'albero di Natale, però ce l'aveva dentro la linfa. Alla fine, nulla era diverso dal solito, ma era cosciente di quel balzo e si ricordò una volta di più che nessuno può toglierti quello che hai ballato.

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a cura di Giulio Pianese

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