28 febbraio 2011

Quello che non ho

Non è che non lo si possa fare, ma è inutile cercare quel che non c'è. O cercarlo dove non c'è.
Così è per il proverbiale "midi à quatorze heures" ("Non cercate il mezzogiorno alle due!", tale sarebbe risuonato in una resa letterale l'ammonimento che Madame Ponsy ci rivolgeva nel secolo scorso durante le lezioni di traduzione). Così è, pure, per un ventinove febbraio in un anno non bisestile. Così è, purtroppo, per i fili che pur aleggiando ancora in qualche dimensione sottile faticano a trovare o ritrovare gustosa consistenza nel mondo della comunicazione terrena.
Per questo tra poco si passerà direttamente al primo marzo, per questo l'orologio non tornerà indietro, per questo il sorriso punterà a ricentrarsi sul qui e ora. Ben sapendo, tuttavia, che un anno bisestile prima o poi torna, che ai fusi orari anticipati si può anche andare incontro e che il "qui e ora", se lo si vuol portar con sé, può stare anche in uno zainetto arancione.

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Nota: dato che in rete c'è chi finisce anche qui cercando di capire come si traducano determinate espressioni, diciamo chiaramente che "chercher midi à quatorze heures" significa "complicarsi l'esistenza".

13 febbraio 2011

Quando gli occhi chiedono

Un film è davvero bello quando alla seconda visione risulta addirittura migliore. Il segreto dei suoi occhi di Juan José Campanella, opera di notevole levatura per temi e trattazione, lo è.

Il tentativo di scrittura con cui si apre raddoppia per un momento il velo del fittizio dinanzi agli occhi dello spettatore, che non sa se un secondo schermo si frapponga tra fruizione e narrazione. Quando poi il racconto retrospettivo si rivela reale, dispiega un secondo intreccio di eventi e di emozioni: come in un'ouverture operistica, i temi si propongono subito tutti quanti, in una ricchezza sospesa.

Un caso archiviato, la volontà di ripescarlo dalla memoria e di riesumarne protagonisti e vittime, anche collaterali; un fastello di ricordi misti al rimpianto di un mancato vivere; una doppia vicenda che alternando i piani temporali si dipana a nuovi sviluppi. Sullo sfondo, la percezione di un'Argentina alla vigilia di orrende prevaricazioni. Il golpe, viscidume stramaledetto, strisciava già da prima e teneva ghermito il senso del giusto e il respiro dei giusti: contraltare pubblico, politico, della bellezza brutalizzata.

Gli attori sono bravi e ben diretti, ruoli secondari compresi. Tra di essi, quello di Pablo Sandoval, sottoposto del viceispettore Benjamín Esposito, rappresenta il personaggio chiave per le dinamiche del film. Detta i tempi comici, ha le intuizioni giuste per smuovere le acque dell'indagine, dice come stanno le cose anche sul piano privato, pronuncia il fondamentale discorso sulle passioni. Alcolista pervicace, impenitente, disadattato, nella sua innocente consapevolezza regala spunti quasi farseschi, ma lo si immagina capace d'eroismo tragico.

Titolo del romanzo ispiratore è La pregunta de sus ojos, letteralmente: la domanda dei suoi occhi. A saperli leggere, gli occhi, insieme agli sguardi che convogliano, danno la risposta, che solo il timore impedisce al protagonista di cogliere anche per sé stesso, oltre che per il caso da risolvere. Risposta che per qualcuno chiude le porte alla vita, alla speranza, alla voglia di futuro.

Eppure, perfino decenni dopo, le porte, anche quelle del cielo, si possono riaprire: basta accorgersene, trovare la chiave giusta per convincersi che quanto sembra impossibile, di rado lo è di fatto. L'esitazione e la paura fanno perdere interi tranci di vita. E invece, quando gli occhi chiedono, la risposta dev'essere tremendamente appassionata.


a cura di Giulio Pianese

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