31 luglio 2009

Defrag

Ero piccolo, camminavo sul ghiaccio. Poi di colpo fu estate di sudori e allergie tra i prati. Ormai lontane le spiagge le onde i cavalloni. Non sapevo ancora nuotare, usavo uno strano salvagente che al ricordo sa di spugna rivestita di plastica arancione, legato attorno al torace. Prima d'imparare, mi ritrovai in montagna. Al mare però avevo visto e tracciato le piste per le biglie dei ciclisti e le riproducemmo lassù, nella vasca di sabbia. Lassù sugli alberi arrivarono anche le vertigini, o forse fu un cagnetto precipitato dal balcone, tra i vapori della calura e lo svaporare onirico al ridestarsi. Comunque l'estate ogni volta finiva e si ricominciavano altri giochi, in altri luoghi e orari. Tutto quel che finiva mi rattristava, comprese le serie di trasmissioni in bianco e nero. A colori erano le capigliature, motivo di tre classifiche diverse sulle preferenze del momento, peraltro non espresse alle interessate bionde more e castane. Boschetto, prato, cortile, bande, dispute, partite, nascondino, carezze. Pensieri, canti, fantasie, timidezze. Sogni a lungo appiedati. Più oltre, le bici grandi, ancora più in là il motorino. Volti nuovi, o riedizioni cresciute di colpo erompendo vitali dalle dismesse divise scolastiche. Grembiuli bianchi, grembiuli neri, perfino i fiocchettini si portavano, da lontano rivedo addirittura i calamai fino a un attimo prima che sparissero, dopo decine di frustranti macchie e fogli bucati dalle cancellature. C'è chi cancella tutto di botto e rinasce come tabula rasa, ma no. Fin che alzheimer non ci separi, nulla andrà perduto, sebbene l'hard disk cranico cominci a sentirsi pieno.

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a cura di Giulio Pianese

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