14 giugno 2006

Dire, fare, poi forse baciare

Un ubriaco, rientrando barcollante a tarda notte invita un neocompagno di bisboccia a casa sua. "E la tua signora?" si preoccupa l'altro. "Tranquillo, amico, ha il sonno pesante." Dopo avere un bel po' zigzagato, una volta ingarrata a fatica la serratura, entrano e la visita guidata comincia: "Ecco," dice, "la mia umile, hic, dimora. Lì c'è la cucina, di qua la sala..." "Ah, bello! Quello è il mobile bar?" "Sì, ma prima ti mostro il resto: questo è il bagno, va' che bella la doccia nuova! E questa, piano eh? Questa è la camera... il lettone... sssht, guarda: quella lì è mia moglie e quello che le dorme accanto... quello sono io."

La discrepanza tra quel che sei e quel che credi, la distanza tra dove sei e dove ti vedi è proporzionale allo schermo che separa il dire e il fare, mentre frasi lanciate come un giavellotto coprono tese e tese d'intenzioni e intessono una fragile copertura a rete su un'entrata in campo annunciata dagli speaker e attesa da uno stadio vuoto, mentre parole inanellate su un filo umorale dipingono e si dipingono, tratteggiano vaghe vagheggiamenti d'illusioni e aggregano scomposti mosaici di cui chissà quali muse forse ispireranno il disegno complessivo...

Nel tragitto che porta dal dire al fare, sii guida e portatore, occhio e mano, timone e vela, respiro e passo.
Tra il dire e il fare, dicevano quelli, c'è di mezzo "e il".
Non roba da poco, considerando che a rigor di grammatica si tratta di congiunzione e determinazione.

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a cura di Giulio Pianese

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