15 maggio 2006

Rituali

Parecchio tempo addietro, una certa penna stilografica non riusciva a sfondare sul mercato e gli esperti non si capacitavano del motivo, finché non si resero conto che dipendeva da un particolare trascurato: siccome il cappuccio non faceva "clic", l'utilizzatore non si sentiva mai sicuro di averla chiusa per bene.
Dev'essere proprio vero che ne abbiamo bisogno, che non possiamo fare a meno dei gesti simbolici deputati a suggellare la compiutezza di un evento o varare l'avvio di un mutamento.
Esistono quelli scaramantici (non essere superstiziosi porta sfiga, ricordalo), più o meno palesati, ma anche le piccole manie che obbligano a compiere una serie di azioni razionalmente ingiustificate senza le quali verrà a mancare il senso di completamento. Lo stesso avviene sul piano verbale, per esempio con le superflue chiose "A posto così?" rilasciate al termine di un'operazione presso un qualsiasi sportello. In tutti i casi pare evidente la valenza funzionale: attenuare la tensione, domare l'ansia.
Poi, forse, si tocca un altro punto: ha a che fare con le bandierine da piantare, il territorio da marcare, il possesso di cui assicurarsi. A questi insiemi, temo, attiene almeno in parte il rito di fine lettura: chiuso un libro, se è mio e non preso in prestito, annoto sul frontespizio la data; da parecchi anni, in ogni caso copio l'inizio per mandarlo all'Incipitario; negli ultimi tempi, qualche volta ne scrivo due righe da raccogliere in Letture e riletture*, come ho fatto l'altro giorno per Mastruzzi indaga di Pino Cacucci, una serie di raccontini che mi fecero compagnia in treno tra un sonnellino un panino e una telefonata.

* dall'agosto 2002, l'invito aperto a tutti è quello di uno spazio pensato per chi dopo ogni lettura desidera condividere le proprie impressioni o le proprie emozioni. Scrivimi e le pubblicherò.

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a cura di Giulio Pianese

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