12 maggio 2006

Fino che Alzheimer non ci separi

Per me, lo dico, si ispira a Lester Young. Quando nel sax soffia a basso volume, riempiendo le curve d'ottone di sottintesi, la voce pastosa e non impastata si declina in espressioni fatte di memoria. Si vede che gli ascolti sono densi e molti, si vede che i lustri non sono scivolati via insapori. Anzi, più che si vede, si sente.
Sembrerà forse esagerato questo panegirico, ma è quanto ho percepito l'altra sera al Filodrammatici, quando Vittorio Castelli e i suoi hanno fatto da interpunzione a Woody Allen Café, spettacolo d'atmosfera e battute costruito sui testi dell'umorista dalla nevrosi più illuminante degli scorsi decenni.
L'ho aspettato, alla fine, per ricordargli di quando girava per la Brianza a spiegare con parole ed esempi che cosa fosse lo swing (dacché, si sa, è invece vietato chiedere che cosa sia il jazz). Sorpreso io stesso che da allora siano passati 26 anni (ma è noto che in me i ricordi continuano a vivere e che nessuno, tranne il tizio del titolo, potrà portarmeli via).

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a cura di Giulio Pianese

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