06 febbraio 2006

Notizie dal Senegal / 3

Dopo una pausa di qualche giorno, riprendo a pubblicare il diario del mio vicino di casa Antonio, che per godersi il recente pensionamento ha pensato bene di spostarsi per qualche tempo in Senegal a dare una mano per un progetto di solidarietà.

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Nei quindici giorni trascorsi (mi sembra ieri) abbiamo avuto occasione di fare alcune cose concrete. Secondo me la cosa più importante è stato aver conosciuto una donna francese, Silvana, che lavora per una ONG belga occupandosi di studio e ricerca sulla condizione delle donne in tutto il territorio della comunità rurale di Tubab Bialao, che è il centro di cui fa parte anche Kelle. Silvana si occupa pure di intervenire sulla sanità, in particolare a favore delle donne, riguardo a maternità e altro.
La sua ONG ha fatto arrivare già due container: l'ultimo è arrivato proprio questa settimana e lei ci ha chiesto se potevamo aiutarla nel lavoro di distribuzione del materiale. Il container è depositato all'interno di una scuola; giovedì, quando ci siamo andati, prima di tutto abbiamo dovuto parlare con il responsabile, in questo caso il direttore (un personaggio che ho difficoltà a descrivere). Poi apri il container ed è un caos: banchi, sedie, libri, materiale per la pulizie, materiale elettrico, materiale per officina, insomma un caos. Metti un po' di ordine nel caos e cominci a caricare il furgoncino. Altro problema: sei circondato da centinaia di ragazzini che spingono, urlano, si menano tra di loro per avere il privilegio di aiutarti a caricare il furgoncino. Un macello. Alla fine riesci a mettere ordine e si può cominciare a lavorare.
Nel frattempo chiedo se posso visitare una classe. L'insegnante mi dice che ha sessanta alunni, ma a me paiono un centinaio. Faccio per scattare una foto e ricomincia il caos; viene di nuovo rimesso ordine e l'insegnante mi spiega un po' cosa insegna, date quelle condizioni (c'è da tenere presente che non tutti hanno la stessa età).

Partiamo per la consegna del materiale ai vari dispensari dei diversi villaggi della comunità rurale. Il materiale consiste in scatoloni con panni per le pulizie, disinfettanti, spugnette e pensate un po' un bidoncino di cera per pulire i pavimenti! In ogni villaggio bisogna andare dal capo villaggio, il quale poi ti porta dal responsabile della struttura sanitaria. La struttura sanitaria in alcuni casi è nuova di pacca, in altri ci sono solo le fondamenta, comunque noi lasciamo il materiale, dopo aver spiegato alle donne che nel frattempo sono state chiamate per capire l'utilizzo del materiale.
Ci sono almeno un sette o otto dispensari e altre strutture cui lasciamo questo materiale, ma siamo andati anche in un villaggio che era una cosa che per capirlo bisogna viverlo, perché qualunque descrizione non è sufficiente. Comunque provo a scrivere ciò che ho visto: ci allontaniamo di poche centinaia di metri dalla strada asfaltata ed entriamo in una pista di terra rossa; bisogna stare attenti a non insabbiare la macchina e si fa un dieci forse quindici km. E poi vedi il villaggio, quattro cinque capanne piccole buie, piene di fumo perché per loro fa freddo, non c'è acqua e luce, ci sono un po' di mucche, ma la cosa particolare è che siccome dato l'isolamento fanno figli tra di loro, ci sono dei bambini albini, cioè hanno i tratti somatici dei neri ma sono bianchi. Oltretutto hanno la pelle delicata, per cui sono pieni di scottature e di croste. Anche lì comunque siamo bene accolti e ci ringraziano; il capo villaggio piglia in disparte me e la Silvana, ci fa entrare nella sua casa e ci mostra con orgoglio una piccola cassaforte. Una cassaforte in una capanna! Ci domandiamo come ha fatto ad arrivare fino a lì, ma la cosa più strana è che ci spiega che non riesce ad aprirla. Dopo varie spiegazioni ci facciamo dare le istruzioni, per scoprire comunque che ha gli ingranaggi rotti per cui è inutilizzabile, ma lui la mostra con orgoglio. Ci salutano e ci ringraziano, per cui torniamo sulla strada e terminiamo le nostre consegne.

Il giorno seguente, con i nuovi arrivati Fausta e Lillo, siamo andati a fotografare i pescatori. Pescano come facevano da noi 50 anni fa, cioè tirano le reti a riva. Mi sono messo anch'io a tirare le reti: è una fatica bestiale e inoltre quel giorno, essendo il mare mosso, è stata una pesca misera. Ci hanno comunque spiegato che normalmente va meglio. Non troppo, ma comunque meglio.
Per ora vi lascio anche perché stanno preparando da mangiare e si sta facendo tardi, comunque sto cercando di scrivere un diario per cui dovrei riuscire a spiegarvi poi le mie impressioni e le esperienze che sto facendo.
Il tempo qui è bellissimo e riesco addirittura ad abbronzarmi. Sto comunque bene e si mangia bene, vi saluto tutti e vi prego di inviarmi informazioni per quanto riguarda le primarie ed altro, a Rosanna e a Matteo un grosso abbraccio, salutatemi tutti gli amici e i compagni non raggiungibili dalla hot mail. Un ciao a tutti, proprio tutti.

Antonio

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a cura di Giulio Pianese

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