23 ottobre 2003

Su e giù

Altalene, quelle che verticalmente hanno ancora le sbarre anziché le catene. Ce n'è una che descrive quasi un cerchio completo. Lei ci sta sopra in piedi, scarmigliata e col sorriso che urla. Un sorriso insano, con la faccia tirata. Spinge così forte da far temere il distacco delle meccaniche arrugginite e il suo successivo sfracellamento.
Al mio avvicinarsi, l'espressione le muta in un accento di dolore e chiusura. Continua a spingere, anzi lo fa più forte, selvaggiamente e quasi con rabbia.
Giro al largo, ma mi metto lì accanto, come aspettassi il turno. Allora ruota il capo e mi guarda sorridendo. Spinge ancora in modo eccessivo, ma con la gioia di chi se la sta godendo. Capisce che forse mi va di chiacchierare e inaspettatamente si mette a sedere, mentre continua le sue oscillazioni esagerate.
Rallenta un pochino, parliamo. Dopo un po' mi viene di farlo e lo faccio, il gesto di appoggiare la mano sul montante in movimento, movimento che accompagno e favorisco.
Ora so che non le chiederò di scendere: seguirò il ritmo ondulatorio impresso dal desiderio straziato, asseconderò gli impulsi liberatori di chi cerca di strapparsi il passato di dosso pur sapendo di non poter recuperare quanto non è stato vissuto, di non poter ottenere quanto è stato negato.
Se la tua vita ora è l'altalena, quell'altalena, non vorrai scendere. Nemmeno se intorno s'è addensata una presenza impaziente di bimbetti che si domandano come mai quella signora occupi tanto a lungo il loro gioco preferito.
Vi tocca aspettare, piccini. Aspetto anch'io. Può darsi che prima o poi deciderà di scendere e allora magari andremo a farci una passeggiata insieme, forse perfino mano nella mano, chissà.

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a cura di Giulio Pianese

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